< Pene d'amor perdute
Questo testo è completo.
William Shakespeare - Pene d'amor perdute (1597)
Traduzione dall'inglese di Carlo Rusconi (1858)
Atto terzo
Atto secondo Atto quarto

ATTO TERZO


SCENA I.

Un’altra parte della stessa.

Entrano Armado e Moth.

Arm. Canta, canta, fanciullo; rapisci i miei sensi colla tua voce.

Moth. (cantando) Concolinel.....

Arm. Bell’aria? Va, caro giovine, prendi questa chiave, poni in libertà il pastore; ho bisogno ch’ei rechi una lettera alla mia amante.

Moth. Signore, vorreste voi conquistare il cuore di una fanciulla colle lettere?

Arm. E in qual altro modo lo potrei io dunque?

Moth. Se volete, v’insegnerò un’altr’arte; cantate un’aria di minuetto sulla punta della vostra lingua, accompagnatela coi vostri passi danzando; animatela ruotando intorno le vostre pupille; sospirate, affettate delirii: qualche volta assorbite con impeto l’aria, come se trangugiar voleste l’amore; qualche volta fiutatela con veemenza, come se di una presa d’amore foste bramoso; e intanto tenetevi il cappello ben calcato sugli occhi; le braccia incrociate sul petto, come un coniglio sullo spiedo: oppure riponete le mani in saccoccia, come un ritratto antico; badando di non serbare troppo lungo tempo un medesimo tuono, ma alternandoli tutti con eloquenza. — In questa guisa si seducono le fanciulle, che anche senza tali modi resterebbero sedotte, e in questa guisa si ottiene quella considerazione che non è dovuta che agli uomini d’intelletto.

Arm. Come hai tu acquistata tanta esperienza?

Moth. Colle mie osservazioni. Ma pensate alla vostra amante.

Arm. L’avevo quasi dimenticata.

Moth. Negligente scolaro, imparatela a memoria.

Arm. Conduci qui il pastore, egli porterà la mia lettera.

Moth. Il messaggio è ingegnoso: un cavallo che si fa ambasciatore d’un ciuco.

Arm. Che dici tu?

Moth. Sarebbe meglio mandare il ciuco sul cavallo, perchè ha l’andatura molto lenta. — Ma parto.

Arm. Il cammino è brevissimo; va.

Moth. Colla celerità del piombo, signore.

Arm. Qual è la tua idea, mio vago? Il piombo non è forse un metallo lento e pesante?

Moth. Minime, onesto signore; o piuttosto no.

Arm. Io dico che il piombo è lento.

Moth. Troppo presto lo dite, signore: è egli lento quand’è lanciato dal cannone.

Arm. Bel fumo di rettorìcal Ei mi reputa un cannone, e se stesso la palla. — Via, io t’ho avventato sopra quel pastore.

Moth. E seguo la pinta. (esce)

Arm. Un arguto garzone, pieno di volubilità e di grazia! Sia col tuo favore, bel Cielo, ma convien ch’io sospiri dinanzi alla tua faccia. Dura e feroce malinconia, il valore ti cede il campo. — Ecco il mio valletto che ritorna. (rientrano Moth e Costard)

Cost. Che vuole da me il mio ignobile carceriere?

Arm. Odimi, Costard, per la mia dolce anima! Io intendo di riporti in libertà, sciogliendo la tua persona. Tu sai in quali miseri panni ti trovavi anche testè!

Cost. Lo so, ed ora voi vorreste servirmi di purgazione, e rilasciarmi.

Arm. Ti ripongo in libertà, dischiudo le porte della tua prigione, e per tal benefizio t’impongo soltanto una condizione: porta questa mia lettera alla giovine Giacometta. — Eccoti in compenso danaro: perocchè la più bella qualità del mio grado è dì ricompensare coloro che mi servono. Tu, Moth, vien meco. (esce)

Moth. Come una seguenza. — Messer Costard, addio.

Cast. Una dolce libbra di carne umana! Cuor mio. — (Moth esce) Ora vuo’ guardare alla sua ricompensa. Tre monete di rame! Oh splendidissimo signore, onore della tua gloriosa Spagna! (entra Biron)

Bir. Mio buon Costard, godo di trovarti: ho bisogno di te. Se vuoi ottenere le mie buone grazie, compi la cosa ch’io ti dirò.

Cost. Quando dev’esser fatta?

Bir. A mezzogiorno.

Cost. La farò: addio.

Bir. Ma tu non sai ancora qual è?

Cost. Lo saprò quando mi sarò adoprato per voi.

Bir. È necessario che tu lo sappia prima.

Cost. Verrò a trovare Vossignoria domani mattina.

Bir. Ma è d’oggi ch’io ti parlo; ascoltami, furfante. La principessa verrà a cacciare qui nel parco con al suo seguito nna bella giovine. Allorchè le lingue addolciscono i loro suoni, esse ne dicono il nome, e la chiamano Rosalina. Fa di vederla, e consegnale questo biglietto. Eccoti il tuo guiderdone. (dandogli danaro)

Cost. Guiderdone, oh dolce guiderdone! esso è migliore della ricompensa. Farò quanto mi diceste, signore, e v’ubbidirò con prudenza. (esce)

Bir. Oh sono davvero invaghito! Io che fui nemico dell’amore, e punii i sospiri amorosi, che un austero censore mi mostrai, un pedante imperioso per quel fanciullo sovrano dei mortali, per quel fanciullo gigante, che giovani e vecchi doma; per quel Cupido, signore dei teneri amplessi, monarca legittimo dei sospiri e dei gemiti, re degl’infingardi e dei malcontenti; principe formidabile delle gonne, sovrano dei giustacuori, solo imperatore e generale delle torme bipedi. — Oh mio povero cuore! ed io pur dunque dovrò portare le sue divise, come il pazzo quelle del signore che lo alimenta? Io, io amerò? pregherò? cercherò una sposa? Una donna, ch’è cosa simile ad un orologio di Germania, in cui v’è sempre qualcosa di guasto, e che cessa d’andar bene tosto che si cessa di sorvegliarlo. E perchè? per divenire spergiuro, e per amare una bianca e folle creatura, che ha due piccole palle di pece attaccate sul volto a guisa d’occhi. Sì, per il Cielo! una donna che saprà sfogare i suoi talenti, quand’anche un Argo eunuco ne fosse custode! Ed io sospirerò per lei? pregherò per ottenerla? per lei veglierò? Ah! quest’è un flagello con cui Cupido vuol punirmi per aver dimostrato troppo poco rispetto pel suo terribile e onnipossente impero. Ebbene, amerò, priverò, sospirerò, pregherò, impetrerò, gemerò: necessario è bene che qualcuno ami le dame, se vi sono altri a cui piacciono le forosette. (esce)



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