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LIII.
DESOLAZIONI
Il marchio aspetto delle bianche chiome,
A cinque lustri errando nella vita,
Vecchio come una quercia, e affranto come
4Un sibarita.
E lo sa Iddio se la mia perla fina,
Questa infelice giovinezza mia,
Profanò la sua luce adamantina
8Per bieca via!
Lo sa Iddio se ho vegliato al mio gioiello,
Se mai vil senso l’anima mi punse;
Vissi aspettando un mio fantasma bello
12Che mai non giunse;
Vissi a fior d’acqua, fra i giunchi materni,
E il sudiciume non cercai del mondo;
Ma l’empia ressa dei calci fraterni
16Turbava il fondo,
E, poichè il fango sal come la nube,
Come l’incenso e la prece devota,
Sul bianco viso del natante impube
20Giunse la mota!
E la beata castità del core,
La pura fede, e la placida speme,
E della mente il vergine fervore
24Sparvero insieme.
L’idea, la casta idea, nei penetrali
Dell’anima crescente all’avvenire,
Per arcano pudor raccolse l’ali,
28E per morire.
Quando, un sorso del calice libato,
Ti assal la pigra voluttà del tosco;
Quando a tutte le maschere hai gridato:
32Io ti conosco!
Amico, i sogni allor sono svaniti,
E tu ti accorgi che diventi serio....
Oh invoca, allora, invoca i santi attriti
36Del desiderio!
Il ciel le sue benigne aure non spira
A giovinetto capo che si lagna,
Ma la terra nel suo seno l’attira
40Per le calcagna;
E un’anima di cento anni che ingora
Un odiato involucro ventenne,
Geme dietro le rose e canta: è l’ora
44Di alzar le penne!
Oh baci, oh soli prodigati al bimbo,
Ironie degli aprili e delle madri!...
Meglio una bara di due palmi, e il limbo
48Dei santi padri!
FINE.