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Vespri

XVI.
Domus - Mundus
Vespri - A Vittor Hugo Mezzenotti


Domus— Mundus



I






La bella mano gli posò sul crine
  E disse: — io vedo il tuo serto di spine,
  E sento l’onda che hai qui dentro ascosa,
  O mio dolce poeta, e son gelosa!

5Son gelosa de’ tuoi vaghi dolori
  Delle tue belle vendemmie di fiori,
  Sono gelosa della fantasia
  Che ti dilunga dalla soglia mia....

Oh, dimmi, i fantasimi
10Che sogni nei cieli;
Se posso, cingendomi
Di candidi veli,
Se posso evocarli,
Se posso imitarli!


15Qual fu stanotte, quando tu vegliavi,
  La dea che del tuo canto incoronavi?
  Ah dimmi che fu larva antica e bruna,
  O mammola di monte, o fil di luna,

O vecchie frate, o bambolo ricciuto,
  20O cadavere, o uccello in mar veduto,
  Ah dimmi, dimmi che nel ciel dimora,
  E che tu t’en dimentichi all’aurora!

Non vedi? son pallida,
Son tacita anch’io;
25Perchè, quando a vespero
Favello con Dio,
Mi guardi nel viso
Col mesto sorriso?

Io m’affiso lassù, tu in basso guati;
  30Io mi faccio gentil, tu ti fai strano....
  Oh dove, dove sono i dì volati,
  I dì che insieme viaggiavam lontano?

Era in riva del mar, nel paesetto,
  In mezzo ai boschi.... mi ricordo ancora!
  35Quanta speranza ti cantava in petto,
  Come ridendo correvamo allora!

Davanti alle placide
Chiesette del monte,
Allora, rammentati,
40Chinavi la fronte;
Quei buoni curati
Li hai tutti scordati?


Pensa ai bimbi del lido, ai ritornelli
  Che col vento venian dai navicelli;
  45E mi dicevi, seduti all’ombrìa,
  L’universo è giocondo, e tu sei mia!

Io sospirava: amo, confido e credo;
  Il futuro lo sento, il Dio lo vedo!...
  O puri affetti, o rime pensierose
  50Di farfallucce, di baci, e di rose!

Il nido facciamolo,
Dicevi, o ben mio,
Coi fili di paglia
Che piacciono a Dio;
55Coi raggi, coi fiori,
Coi versi e gli amori!

Oblìa gli amici che han lo scherno in viso;
  Non è un mar di amicizia il mio sorriso?
  Oblìa, poeta, il mondo, e il cielo oblìa;
  60La cattedrale è la stanzuccia mia!

Qui la pace, la fede e l’esultanza,
  E qui l’asilo d’ogni tua speranza!
  Porgi a’ miei baci questo cuor che geme,
  Chiudiam le imposte, e addormentiamci insieme!


II


65Calava il sole e la notte salìa.
               Piovevano con quelle
               Parole e colle stelle,
     Goccie d’amore e di malinconia;
     Calava il sole e la notte salìa.

70Egli guardava attonito,
     Triste, cogli occhi immoti,
     L’universale accendersi
     Dei continenti ignoti;
     Egli sognava, o limpido
     75Raggio, o profondo velo!
     La vastità del cielo,
     E della donna il cor.

     . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Perchè, cretino e splendido
     Mondo dei Filistei,
     80Sotto l’arcano incendio
     Fremevi, e intorno a lei?

     Perchè prigione è l'anima,
     Prigione eternamente,
     Dell’orror tuo ridente,
     85Del tuo feroce amor?

Cantate, o antiche vittime,
     Cantate, o giovinetti,
     Arche di lunghe lagrime,
     Nidi di brevi affetti;
     90Cantate ai buoni spiriti
     Qualche preghiera nuova
     Che il vecchio giogo smova
     E che redima il vol!

Guardate: è l’uom che sanguina
     95Da una terribil piaga;
     È l’uom cui l’astro suscita
     E cui la mota indraga;
     È l’uom cui l’irco secolo
     Disse: — per me lavora,
     100Per me contempla, esplora
     Il vuoto, il buio, il sol!

Cercami il Dio; risuscita
     Qualche gagliarda fede,
     Per chi empiamente dubita
     105Per chi vilmente crede;
     Abbatti, uccidi, interroga
     I morti e le rovine,
     Cingimi, o bardo, al crine
     L’irrevocato allor! —


Egli lasciò le facili
  Gioie, le soglie care.
  E lo venian dal placido
  Suo tempio a scongiurare
  Le dee della famiglia,
  Le sue dilette glorie,
  Cinte di pie memorie,
  Belle di noti fior....

Tacque, partì. Fu l’angelo
  Fu il demone, fu il bruto?
  Fu il precursor, l’apostolo,
  L’uomo dall’uom voluto?
  Per la profonda tenebra
  Che disse al torvo Urano?
  Che tolse al foco arcano
  Che strepita lassù?

Cantate, o antiche vittime,
  Cantate, o giovinetti,
  Arche di lunghe lagrime,
  Nidi di brevi affetti;
  Cantate ai buoni spiriti
  Qualche preghiera nuova,
  E il vecchio giogo smova
  Che ceppo al bardo fu....

Pregate — il bardo sanguina,
  Ma, se nell’alto sale,
  Dalla cruenta pioggia
  Che gli cadrà dall’ale,

  Germoglieranno i mistici
  Orti dell’avvenire!
  Pregate — ei dee soffrire
  Sciogliere il volo ancor!

. . . . . . . . .

Egli guardava attonito,
  Triste, cogli occhi immoti,
  L’universale accendersi
  Dei continenti ignoti.
  Egli sognava, o limpido
  Raggio, profondo velo!
  La vastità del cielo
  E della donna il cor.

Calava il sole e la notte salìa.
Piovevano con quelle
Parole, e colle stelle,
  Goccie d’amore e di malinconia;
  Calava il sole e la notte salìa.


III


Ed ella a lui: — fuggiam da queste bolge
  Alla nostra pendice;
  Sotto il verde e l’azzurro il tempo volge
  Lento e felice.


Avrai l’aperto della tua pianura,
  Benedetta da Dio;
  Avrai le rime e i fior della natura,
  E l’amor mio.

Io so trovarli i mesti sentieruoli
  Pieni di caprifoglio,
  E in un bosco ben noto agli usignuoli
  Condur ti voglio.

Ti innonderò di mammole il lettuccio
  Ai dì di primavera;
  E leverò, se vuoi, dal suo cantuccio
  La croce nera.

Quella che, mi sovvien, spesso hai guardato
  Come si guarda un morto,
  Non già coll’occhio di chi pensi al fato
  Di un Dio risorto!

Povera croce!... e ne torrò, se vuoi,
  I lunghi affetti e i voti.
  Appesi insieme un dì da tutti noi,
  Bimbi devoti!

E verrò teco, in mezzo alla campagna,
  A semplice orazione;
  Sull’ara ove sacrifica e si lagna
  La crëazione.


Crederò, se tu credi, a questo Iddio
  Senz’occhi e senza trono;
  Se ti piace e ti serba al tetto mio,
  Anch’esso è buono!

Ma lascia al fango e all’odio il mondo triste
  E gli uomini perversi;
  E se sospiri ancor sante conquiste
  Di santi versi,
 
Deh, ripulisci all’amore il gioiello
  Della tua dolce vita,
  Deh, mesci il genio del poeta a quello
  Dell’eremita! —


IV


L’hai tu veduto, pensierosa luna,
  L’hai tu veduto il suo bacio all’amica?...
  Sorgevi appunto allor, per l’aura bruna,
  In un manto di fosforo e di mica.

Qualche nube raminga attraversava
  L’immenso buio, e, zanzara celeste,
  Entro l’orbita tua si avvoltolava,
  Per arder l’ali luminose e leste.


Caldo era il vento e fulgida la sera;
  Volghi e campane avean finito il coro,
  E nei vasi di fior della ringhiera
  S’udian le foglie bisbigliar tra loro.

Sacra natura, nella tua dolcezza
  Chi mai le sventurate anime arresta?...
  Il poeta languïa per l’amarezza,
  Come un uom che morisse in una festa.


V


Pel ragno sospeso
  Tra fila d’argento
  I baci del zefiro
  Son sbuffi di vento.

Al verme indifeso
  Togliete la fede
  Che il fango non l’odia
  Che l’astro lo vede;

E il verme s’arresta,
  Ripensa il cammino,
  Le scarpe degli uomini,
  La neve, lo spino....


L’allegra foresta,
  L’aiuola s’infosca,
  E il verme le semina
  Di bava che attosca.

Pel ragno sospeso
  Tra fila d’argento
  I baci del zefiro
  Son sbuffi di vento.


VI


Quella notte davanti agli specchi
  Della casa un fantasma passò;
  E ai ritratti dei poveri vecchi
  Alzò il pugno, e gemendo parlò:

— Siete teschi, laggiù in cimitero,
  Genitori del mio genitor;
  Dadi orrendi del giuoco Mistero,
  Da Dio colmi di sterpi e di orror.
 
Siete teschi, e nessun più vi dice:
  «Fingi, ridi, pensoso buffon!
  La moneta dell’uomo infelice
  Non ha corso, nè luce, nè suon!» —


Gote mie cui non seppero i baci
  Mascherar del sol velo sincer,
  Quando a braccio di donne fugaci
  Correvamo i perduti sentier!...

Poichè porvi non vale alla mostra,
  Come due palimsesti d’ amor;
  E può leggervi il volgo la giostra
  Combattuta dai mille dolor;

Poichè al volgo narrarle non lice
  Le vittorie dell’aspra tenzon;
  E il quattrino dell’uomo infelice
  Non ha corso, nè luce, nè suon....

Oh cadete, mie pallide gote,
  E sull’ossa lasciate impietrir
  L’onestà delle sfingi, le immote
  Che al deserto non ponno mentir!


VII



Come un mortale anelava il fuggente
  Globo di Venere;
  E le montagne sotto il dì nascente
  Parean di cenere.


Era l’ora del sonno, e del dolore,
  E dei patiboli;
L’ora che il frate le celle, e l’amore
  Lascia i postriboli.

L’ora che, errando per la fredda chiesa,
  Sbadiglia il chierico;
E la matrona si dibatte, appesa
  A un sogno isterico.

Dalle cantine stridevano i galli
  Col canto rauco;
E le lanterne erano sgorbii gialli
  Sul cielo glauco.

Qualche tempio qua e là si dipingeva
  Di negre spoglie;
E il pispiglio dei passeri sorgeva
  Fuor dalle foglie.

Ed era un altro dì fra i dì già sorti
  E scesi al tumulo;
Un altro giorno che dei giorni morti
  Correva al cumulo.

VIII


Vidi schifose diventar le belle,
     E vidi i buoni diventar cattivi;
     Vidi col minio all’anima e alla pelle,
     I casti santi e gli angeli lascivi.

E maledissi gli angeli
     Per me, per tutti gli infelici, a cui
     Avvelenò la giovinetta vita
     Il contemplarli, e la manìa precoce
     Delle parole dette a bassa voce.

E in mezzo ai santi, candido
     Di fedi e di speranze il giglio fui;
     Foglia a foglia mi han l’anima spartita...
     Ma una perla trovâr fra le mie spoglie,
     Quella è la perla che nessun mi toglie.

Perla ove splende un’iride celeste:
     Un sorriso di donna amante e bella,
     Il crin di un bimbo, e le pupille meste
     Della mia madre, e della mia sorella.


IX


Un dì due chèrubi
  In un essere sol vestîr la creta;
  Quel dì fra gli uomini
Giunse a esultare e a piangere il poeta.

Uno era lamia
  Conscia dei mali che l’Adamo indura;
  E l’altro silfide
Educata ai pudor della natura.

Son mille secoli
  Che i due chèrubi insiem corron la terra,
  Fra rose e triboli,
In amistà perenne e eterna guerra.

Son mille secoli
  Che che innalzan le braccia al Nume ignoto,
  Nè mai si svincola
L’amor del cielo dall’amor del loto.


X


— Qual fu stanotte, quando tu vegliavi
  La dea che del tuo canto incoronavi?
  Ah dimmi, dimmi che nel ciel dimora
  E che tu t’en dimentichi all’aurora! —


XI



Di tutte le notti fu il lungo lavoro,
  La dea che mi segue da sera a mattin;
  Amica, due chèrubi parlaron fra loro,
  Per fosco, per duro, per dolce cammin.

Amica vo’ dirti la nenia segreta,
  Vo’ dirti il collocquio che agli astri volò;
  Fur molte, fur vaghe le idee del poeta,
  Ma questa, o mia bella, sol questa ne so!


XII


— Galoppa, farnetica,
  Bestemmia, sospira,
  Col sogno, coll’orgia,
  Col dubbio, coll’ira;
  Nel fango, nell’aria,
  Sui letti del mondo,
  Sul capo profondo
  Del Bello e del Ver!...

Avviva i fantasimi
  Che vivono un’ora,
  Le amiche dell’anima
  Che un soffio scolora;
  Ti gonfia di orgoglio,
  Vigliacco diventa,
  Tormenta — addormenta
  L’illuso pensier!...

Fratello, sul tumulo
  Sei dunque arrivato;
  Adesso raccontami
  L’immenso passato;
  Ricordi il tuo viaggio?
  Le rive dilette,
  Le vette — le strette
  Battute dal cor?


Lo spettro novissimo
  Spalanca la bocca;
  Fratello, raccontami
  Se il vaso trabocca;
  La tomba è una pallida
  Cui l’oro non monta;
  Fratello, racconta,
  L’affronta senz’or! —

— Son muto, son gelido,
  Scordai la mia vita;
  È nebbia, è caligine
  La landa infinita;
  Fratello, inginocchiati,
  Degli angeli è l’ora;
  Le guance mi sfiora
  L’aurora del ciel....

Son tre che mi accostano,
  Son tre che rammento;
  Son dessi che riedono
  Nel sacro momento....
  Son dessi — un bel pargolo,
  La madre pensosa,
  La povera sposa
  Che bacia l’anel! —

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