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IV.
Questo che segue, non è un pensiero, ma un racconto, ch’io pongo qui per isvagamento del lettore. Un mio amico, anzi compagno della mia vita, Antonio Ranieri, giovane che, se vive, e se gli uomini non vengono a capo di rendere inutili i doni ch’egli ha dalla natura, presto sará significato abbastanza dal solo nome, abitava meco nel 1831 in Firenze. Una sera di state, passando per via Buia, trovò in sul canto, presso alla piazza del Duomo, sotto una finestra terrena del palazzo che ora è de’ Riccardi, fermata molta gente, che diceva tutta spaventata: ‘Ih, la fantasima!’ E, guardando per la finestra nella stanza, dove non era altro lume che quello che vi batteva dentro da una delle lanterne della cittá, vide egli stesso come un’ombra di donna, che scagliava le braccia di qua e di lá, e nel resto immobile. Ma avendo pel capo altri pensieri, passò oltre, e per quella sera né per tutto il giorno vegnente non si ricordò di quell’incontro. L’altra sera, alla stessa ora, abbattendosi a ripassare dallo stesso luogo, vi trovò raccolta piú moltitudine che la sera innanzi, e udí che ripetevano con lo stesso terrore: ‘Ih, la fantasima!’ E riguardando per entro la finestra, rivide quella stessa ombra, che pure, senza fare altro moto, scoteva le braccia. Era la finestra non molto piú alta da terra che una statura d’uomo; e uno tra la moltitudine che pareva un birro, disse: ‘S’i’avessi qualcuno che mi sostenessi ’n sulle spalle, i’ vi monterei, per guardare che v’è lá drento.’ Al che soggiunse il Ranieri: ‘Se voi mi sostenete, monterò io.’ E déttogli da quello: ‘Montate,’ montò su, ponendogli i piedi in sugli omeri, e trovò presso all’inferriata della finestra, disteso in sulla spalliera di una seggiola un grembiale nero, che agitato dal vento, faceva quell’apparenza di braccia che si scagliassero; e sopra la seggiola, appoggiata alla medesima spalliera, una rocca da filare, che pareva il capo dell’ombra: la quale rocca il Ranieri presa in mano, mostrò al popolo adunato, che con molto riso si disperse.
A che questa storiella? per ricreazione, come ho detto, de’ lettori, e inoltre per un sospetto ch’io ho, che ancora possa essere non inutile alla critica storica ed alla filosofia sapere che nel secolo decimonono, nel bel mezzo di Firenze, che è la cittá piú culta d’Italia, e dove il popolo in particolare è piú intendente e piú civile, si veggono fantasmi, che sono creduti spiriti, e sono rocche da filare. E gli stranieri si tengano qui di sorridere, come fanno volentieri delle cose nostre; perché troppo è noto che nessuna delle tre grandi nazioni che, come dicono i giornali, marchent á la téte de la civilisalion, crede agli spiriti meno dell’italiana.