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XXVI.
L’inesperto della vita, e spesso anche l’esperto, in sui primi momenti che si conosce còlto da qualche infortunio, massime dove egli non abbia colpa, se pure gli corrono all’animo gli amici e i familiari, o in generale gli uomini, non aspetta da loro altro che commiserazione e conforto, e, per tacere qui d’aiuto, che gli abbiano o piú amore o piú riguardo che innanzi; né cosa alcuna è sì lungi dal cadergli in pensiero, come vedersi, a causa della sventura occorsagli, quasi degradato nella societá, diventato agli occhi del mondo quasi reo di qualche misfatto, venuto in disgrazia degli amici, gli amici e i conoscenti da tutti i lati in fuga, e di lontano rallegrarsi della cosa, e porre lui in derisione. Similmente, accadendogli qualche prosperitá, uno de’ primi pensieri che gli nascono, è di avere a dividere la sua gioia cogli amici, e che forse di maggior contento riesca la cosa a loro che a lui; né gli sa venire in capo che debbano, all’annunzio del suo caso prospero, i volti de’ suoi cari distorcersi ed oscurarsi, e alcuno sbigottire; molti sforzarsi in principio di non credere, poi di rappiccinire nell’estimazione sua, e nella loro propria e degli altri, il suo nuovo bene; in certi, a causa di questo, intepidirsi l’amicizia, in altri mutarsi in odio; finalmente non pochi mettere ogni loro potere ed opera per ispogliarlo di esso bene. Così è l’immaginazione dell’uomo ne’ suoi concetti, e la ragione stessa, naturalmente lontana e aborrente dalla realtá della vita.