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VII.
Questa baraonda elettorale, questa lotta indecorosa non di principj ma di persone, non di partiti ma d’individui, giova pure a qualcosa: ci dà la misura della politica e della morale italiana in questa agonia del secolo.
I partiti si scindono, si suddividono, si sminuzzano in un bulicame di esseri anfibi che lottano e s’addentano l’uno con l’altro; tutti vogliono tutto; l'egoismo è lo stato, il tornaconto è l’ideale. Da per tutto l’impotenza che coccoveggia il potere: unica leva l’ambizione, unica arma l'insidia. La politica si muta in casistica di teologanti; la morale in esercitazione di retori; la legge in cavillazione di legulei; l’arte e la letteratura in raffinatezze smancerose e voluttuose di dilettanti e di rimbambiti; le vecchie Muse, rimbellettate e rimpiccicottate, colanti tutte di bava e di sanie, hanno imparata l’alta scuola nei casini e l’insegnano ai ragazzi stemprati dall’amor solitario e agitati da un erotismo infecondo. La critica minuziosa, espressione ultima dell’ingegno e del carattere della borghesaglia putrefatta, s’è impadronita di tutte le manifestazioni della vita. I vermi trionfano.
Ricostituiamo i partiti, si grida. Illusione o frode. Per ricostituire i partiti bisogna ricostituire i caratteri. I partiti si sono disgregati e disfatti, perchè i nostri uomini politici non hanno più fede in un ideale qual sia: mancano cioè di carattere. Senza fede in un alto ideale di libertà e di giustizia sociale, senza la virtù del sacrificio di tutte le proprie forze a questo fine, ogni ricostituzione di partiti è un sogno. Si avranno fazioni e sètte, tutt’al più; mobili gruppi d’individui legati da un interesse effimero, che si sposteranno e si confonderanno e si sparpaglieranno da un giorno all’altro a un mutar di vento.
Da questa babilonia di interessi privati, mascherati dalla commedia del patriottismo, non può sorgere che il governo-monopolio, un’accozzaglia di elementi diversi, tenuti insieme dall’ambizione e dall’avarizia, pronti a trasformarsi di bianchi in neri, pur di serbarsi al potere: un mostro da sette od otto trombe aspiranti, dalle branche innumerevoli, sparse tutte d’innumerevoli coppette. È lo stato ― monopolio, che tutto vuole per sè: un privilegio immane. Non si giova della violenza, ma dalla frode; vuole assorbire e distruggere tutto, ma legalmente: la legge è la sua maschera. I ministri e i così detti rappresentanti del popolo (di quale?) rappresentano la commedia del Patriottismo. Si adunano quali rappresentanti del popolo, si squadrano, fan quattro chiacchere, si bisticciano, vengono a’ capelli: e, recitata ciascuno la sua parte, sia di tribuno o di lanzichenecco, sia di legislatore o d’apostolo, si fanno la riverenza, e, ghignando del popolo e di sè stessi, torna ognuno alle proprie faccende. Ha distrutto parecchie industrie private, facendosene appaltatore, cioè sfruttatore irresponsabile. Ora delle cose del corpo vuol salire a quelle dello spirito: dal sale e dai tabacchi alla istruzione. Vuole innalzare il livello della nazionale cultura, lui! E come? Restringendo il numero delle scuole. Bel metodo d’illuminare, spegnendo i lumi! L’istruzione diventerà un privilegio dei ricchi. Avremo l’istruzione aristocratica! Per potere esercitare il nobile mestiere di medico o di avvocato bisognerà procurarsi un diploma nelle città privilegiate. Chi non ha gambe da recarvisi e quattrini da mantenersi, crepi; o vada a zappare la terra.
E gli apostoli legalitari pensano intanto e si arrabattono e si accoltellano per ricostituire... che cosa? i partiti o sè stessi? Non ricostituiranno un bel nulla. Il popolo lo comincia a comprendere, e un giorno o l’altro farà da sè.