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IV.


Non avendo nè voglia nè autorità di far lungo discorso sull’immancabile questione fra settentrionali e meridionali d’Italia, mi restringo ad osservare che dal fraterno dissidio a me paiono principalmente colpevole i primi, che le Provincie nostre han considerato sempre come terra di conquista; e precipua cagione dei loro falsi giudizi è l’ignoranza lacrimevole che essi hanno della nostra storia, della condizione del nostro popolo, della vita insomma e dell’esser nostro: ignoranza gradita alle camorre più o meno politiche e industriali, che ne fan prò; alimentata stoltamente da un branco di novellatori che ci descrivono, per partito preso e per ragion di mestiere, come un popolo di accoltellatori e di bruti; suggellata e quasi santificata dai biciclettisti di una scienza novissima, che ci ha marchiati e gabellati per barbari e condannati a barbarie perpetua. Ma le male arti dei diffamatori, dei calunniatori e dei mestieranti hanno ormai tanto di barba; e il popolo se ne accorge e ne freme. La parola d’ordine «Unione e non unità» si va, dopo quarantanni d’esperienza, facendo strada nell’animo degli onesti; e coloro che ci voglion tenere in perpetua tutela, per dissanguarci a lor comodo, si accorgeranno finalmente che le Provincie meridionali, e la Sicilia in ispecie, non hanno mai tollerato a lungo le male signorie. Ci pensi e provveda chi può.

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