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XIV.
25 settembre 1903.
Troppa importanza a me pare si dia a codesto viavai di sovrani, come se da cortesie di regali cugini, da volpeggiamenti di pontefici e di imperatori e da civettamenti di repubbliche e di monarchie dipendesse ancora, dopo un secolo buono dalla rivoluzione francese, l’avvenire e la gloria della civiltà. Ne speri altri i vantaggi più splendidi alla salute dei popoli; io non vedo in codesti celebrati convegni imperiali e reali che il desiderio di un’intesa per un’azione comune a danno degli Ideali che agitano il mare della coscienza contemporanea. Anch’essi gli unti del Signore sentono l’aura del fato e s’adoperano, come possono, a costituir leghe e a galvanizzare Alleanze Sante. Tutto il resto è commedia, rappresentata più o meno bene da compagnie privilegiate, illuminata a fuochi di bengala dagli appaltatori del pubblico entusiasmo.
Il popolo, come sempre, accorre allo spettacolo; dimentica un tratto le sue miserie; ammira tanto brulicame di schiene che si piegano e di ambizioni che si rizzano; s’ubbriaca di colori e di suoni; applaude non sa chi; schiamazza senza saperne il perchè; si fa magari arrotare e schiacciare dai cocchi augusti. Ma non pochi vi sono tra la folla che vedendo, tra due minacciose dighe di carne militarizzata, passar di volo come inseguiti dalle Eumenidi codesti poveri commessi viaggiatori della regalità, non pochi vi sono i quali penseranno che di ben altre intese han bisogno i popoli per rannodare le loro forze, per ravvivare i loro commerci, propagare la fede nelle comuni origini, raccendere il culto dei sublimi Ideali e rendere finalmente possibile il trionfo della giustizia, della libertà, della pace.