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Capitolo Quinto.
La seconda volta si videro ad un matrimonio. Questo
«figlio Gaos» era stato indicato per darle il braccio. Da
principio si era immaginato di essere contrariata;
sfilare nella strada con quel giovanotto che tutti
guarderebbero per la sua alta figura e che del resto,
probabilmente non saprebbe dirle nulla!... E poi egli l’intimidiva
con quell'aria selvaggia. All’ora indicata, tutti erano
già riuniti per il corteo, ma Yann non era comparso. Il
tempo passava ed egli non veniva, e già si parlava di
non attenderlo più. Allora ella comprese che per lui solo aveva fatto toletta; con qualunque altro giovanotto la festa, il ballo per lei sarebbero mancati di attrattiva.
Alla fine egli era arrivato, in bella tenuta anche lui, scusandosi senza imbarazzo, presso i genitori della sposa.
Era stato obbligato di cercare uno che lo avesse rimpiazzato alla pesca e a farlo accettare dal padrone della barca; ecco la ragione del suo ritardo. Questi motivi erano stati perfettamente compresi dai pescatori, che l'ascoltavano e nessuno aveva pensato a volergliene. Si sa bene, che nella vita tutto dipende più o meno dalle cose impreviste del mare, tutto è sottoposto ai cambiamenti del tempo ed alle partenze misteriose dei pesci. Gli altri islandesi che erano là rimpiansero solamente di non essere stati avvertiti presto per profittare come quelli di Ploubazlanec, di questa fortuna che sarebbe toccata a loro.
Troppo tardi ora, tanto peggio! Egli non aveva che ad offrire il suo braccio alle ragazze. I violoncelli cominciarono a trillare la loro musica allegra; si misero subito in cammino. In principio non le aveva detto che quelle frasi banali che sogliono proferirsi durante i matrimoni, alle giovanette che si conoscono poco. Fra tutte quelle coppie essi soli erano estranei l'una all'altro; nel corteo non vi erano che cugini e cugine, fidanzati e fidanzate. Di amanti ve ne era anche qualche coppia; perchè in questo paese di Paimpol, si va molto lontano in amore all'epoca della rientrata in Islanda (solamente si ha il cuore onesto e ci si sposa dopo).
Ma la sera, mentre si ballava, la conversazione essendo ritornata tra di loro sul grande passaggio dei pesci, egli le aveva detto bruscamente, guardandola bene negli occhi, questa cosa inattesa:
— Non ci siete che voi in Paimpol ed in tutto il mondo per avermi fatto mancare a questa partenza; per nessun’altra io mi sarei allontanato dalla mia pesca — signorina Gaud....
Stordita dapprima dall'audacia di questo pescatore, ma poi lusingata deliziosamente, ella aveva finito por rispondere:
— Vi ringrazio, signor Yann: ed anche io preferisco stare con voi più che con altri.
Questo era stato tutto, ma da quel momento sorse tra loro una confidenza intima e voluttuosa. Si ballò al suono delle viole, dei violini; quando egli veniva a riprenderla, dopo aver ballato per convenienza con qualche altra essi scambiavano un sorriso come di due amici che si ritrovino e continuavano la conversazione interrotta.
Ingenuamente Yann raccontava la sua vita di pescatore, le sue fatiche, le prime ed aspre difficoltà della vita. Ora si erano tranquillizzati, a causa di un resto di naufragio che suo padre aveva trovato nella Manica, e la cui rendita gli aveva fruttato circa diecimila lire senza la parte che ne aveva dato allo Stato; ciò aveva permesso di costruire un primo piano al di sopra della loro casa, la quale era alla punta del paese Ploubazlanec, tutta alla uscita delle terre, al borgo di Pors-Even, dominante la Manica, con una veduta bellissima.
— E’ duro — egli disse — questo mestiere d’Islanda; partire come adesso dal mese di febbraio, per un tal paese, dove fa un freddo così intenso e con un mare cattivo.....
Gaud ricordava questa conversazione lontana, come una cosa di ieri, la ripassava lentamente nella sua memoria, guardando la notte di maggio cadere su Paimpol. Se egli non avesse avuto delle idee di matrimonio, perchè le avrebbe detto tutti questi dettagli della sua esistenza, che ella aveva ascoltati un poco come fidanzata? Egli non aveva pertanto l’aria di un giovanotto banale, amante di confidare i suoi affari a tutti.......... Il mestiere è buonissimo — aveva detto egli — e per me non lo cambierei affatto. Degli anni sono ottocento franchi, degli altri milleduecento, che mi danno al ritorno e che consegno a mia madre.
— Che voi consegnate a vostra madre, — signor Yann?
— Ma sì, sempre tutto. Da noi, islandesi, questa è l'abitudine, signorina Gaud. Così, io, voi non lo crederete, non ho quasi mai danaro. La domenica è mia madre che me ne dà un poco, quando vengo a Paimpol. Per tutti è la stessa cosa. Quest’anno mio padre mi ha fatto fare questi abiti nuovi che porto, senza di che io non sarei potuto mai venire al matrimonio. Oh no! certamente non avrei potuto darvi il braccio con i miei abiti dell’anno scorso.
Per lei, abituata a vedere dei parigini, gli abiti di Yann forse non erano molto eleganti; ma la figura che si disegnava al disotto era irriprovevolmente bella e dava al ballerino un’aria di distinzione affascinante. Sorridendo egli la guardava bene negli occhi, quando le diceva qualche cosa, per vedere ciò che ne pensasse. E lo sguardo di lei restava calmo e sorridente, mentre egli raccontava tutto questo per prevenirla che non era ricco. Anche ella sorrideva guardandolo bene in faccia, rispondendo molto poco, ma ascoltandolo con tutta la sua anima, sempre più stordita e più attirata verso di lui. Che miscuglio era egli di rudezza selvaggia e di fanciullaggine carezzevole. La sua voce grave, che con gli altri era brusca e decisa, diventava, quando parlava a lei, sempre più fresca e carezzevole; per lei sola egli sapeva intonarla a un’estrema dolcezza, come una musica velata di strumenti a corde.
E che cosa strana ed inattesa, questo grande giovanotto con la sua figura disinvolta ed il suo aspetto terribile, che trattato sempre come un fanciullo dai suoi, trovasse ciò molto naturale, quantunque avesse corso per il mondo, tutte le avventure, tutti i pericoli. Ella lo paragonava con gli altri, con tre o quattro farfallini di Parigi, che l’avevano perseguitata con la loro adorazione, per il suo danaro. E questo qui le sembrava il migliore di quanti ne aveva conosciuti, e ne era pure il più bello. Per mettersi vieppiù alla sua portata, ella aveva raccontato che, anche da lei, non si erano trovato comodamente come ora, che suo padre aveva incominciato ad essere pescatore d’Islanda, ch’ella medesima si ricordava di aver corso a piedi nudi, piccola, sulla spiaggia, dopo la morte della sua povera mamma!... Oh! Quanto ne era lontana questa notte di ballo, la notte deliziosa, decisiva ed unica nella sua vita! Tutti i bei ballerini pescavano ora là basso, sul mare d’Islanda, all’ombra del pallido sole, nella solitudine immensa, mentre l’oscurità si faceva tranquillamente sulla terra bretone.
Gaud restava sempre alla finestra. La piazza di Paimpol, quasi chiusa da tutti i lati da case antiche, diventava sempre più triste con la notte; non si sentiva alcun rumore da nessuna parte. Al disopra delle case, il vuoto ancora luminoso del cielo, sembrava elevarsi, separarsi di più dalle cose terrestri. Di tanto in tanto una porta o una finestra si chiudeva; qualche antico marinaio usciva da un’osteria andandosene per le piccole strade scure; oppure qualche ragazza ritardataria rientrava dalla passeggiata con dei fasci di fiori di maggio. Una, che conosceva Gaud, nel darle la buona sera, alzò il braccio con un ramo di biancospino come per farglielo odorare; si vedeva ancora un poco nell’oscurità trasparente questo leggiero tuffo di fiori bianchi. Vi era del resto un altro odore dolce che era salito dal giardino o dalle vie, quello dei caprifogli fioriti sul granito dei muri ed anche un vago odore di alghe marine, che veniva dal porto. Gli ultimi pipistrelli vagavano per l’aria, con un volo silenzioso come le bestie dei sogni.
Gaud aveva passate molte serate a questa finestra, guardando la piazza malinconica, pensando agl’Islandesi che erano partiti, e sempre a quel ballo fatale.
.....Faceva molto caldo verso la fine del matrimonio e molte teste di ballerini cominciavano a girare. Ella lo ricordava nell’atto di ballare con altre fanciulle o mogli, di cui aveva dovuto essere più o meno l’amante; ricordava la sua condiscendenza verso di loro. Come era differente con quelle!...
Egli era un grazioso ballerino, diritto come una quercia di bosco. Di tanto in tanto egli le additava la piccola sorella Maria e Silvestro, i due fidanzati che ballavano insieme. Egli rideva di un’aria buona, vedendoli tutti e due così giovani, l’un presso l’altra, facendosi riverenze, prendendo un’aria timida per dirsi a bassa voce molte cose che dovevano essere anche molto amabili. Egli non lo avrebbe permesso, se fosse stato diversamente; ma ci si divertiva assai di trovarli così ingenui; scambiava allora con Gaud dei sorrisi d’intelligenza intima che dicevano: «Come sono gentili e curiosi i nostri due piccoli fratelli!»
Ci si abbracciò molto alla fine della notte: baci di cugini, baci di fidanzati, baci di amanti, che conservavano, malgrado tutto, un’aria franca ed onesta.
Egli, beninteso, non l'aveva abbracciata, non si permetteva ciò con la figlia del signor Mevel; solamente la strinse un poco più contro il suo petto durante l’ultimo valzer ed ella non fece resistenza, abbandonandosi anche con tutta l’anima sua.
— Avete visto quella sfrontata come lo guarda? — dicevano due o tre belle ragazze dagli occhi costantemente abbassati sotto le ciglie bionde o nere, e che in mezzo ai ballerini avevano per lo meno un amante se non due. Effettivamente Gaud lo guardava molto, ma aveva questa scusa che era quello il primo, l’unico uomo a cui avesse fatto attenzione nella vita.
Lasciandosi il mattino, quando tutti erano partiti disordinatamente, al principio del giorno ghiacciato, essi si erano detto addio di una maniera speciale, come due promessi che vogliono ritrovarsi l’indomani. E allora per rientrare ella aveva dovuto attraversare quella medesima piazza con suo padre, per niente stanca, sentendosi svelta ed allegra, contenta di respirare, amante di quella nebbia gelata del di fuori, trovando tutto squisito e soave.
.....La notte di maggio era caduta da molto tempo, le finestre si erano poco a poco chiuse, con dei piccoli rumori. Gaud restava sempre là, lasciando la sua aperta. Gli ultimi, rari passanti che nel buio, distinguevano la forma bianca della sua cuffia, dovevano dire: «Ecco una fanciulla che certamente pensa al suo innamorato». Ed era vero, ella vi pensava con un desiderio di piangere; i suoi piccoli denti bianchi mordevano le labbra, disfacendo continuamente quella piega che sottolineava in basso il contorno della sua bocca fresca. E gli occhi restavano fìssi nell’oscurità non guardando niente delle cose reali.....
.....Dopo questo ballo perchè non era più tornato? Quale cambiamento in lui! Incontrato per caso, egli aveva l’aria di fuggirla, spesso ella ne parlava con Silvestro, che neanche sapeva comprenderlo. — E’ con quello che tu dovresti sposarti, Gaud — le diceva — se tuo padre lo permettesse, perchè tu non troverai nel paese un altro che lo valga. Egli è molto saggio senza averne l’aria; è difficilissimo che egli si ubbriachi. Qualche volta fa il testardo, ma in fondo è dolcissimo. No, tu non puoi sapere quanto è buono. E poi, che marinaio! ad ogni stagione i comandanti si contrastano per averlo.
Il permesso di suo padre era sicura di averlo perchè mai era stata contrariata nella sua volontà.
Le era quindi indifferente che non fosse ricco. Con un marinaio come quello basterebbe un po’ di danaro di anticipo per fargli seguire sei mesi di corso di navigazione ed egli diventerebbe subito un comandante a cui tutti gli armatori avrebbero confidato i loro navigli. Non le importava che egli fosse un poco gigante, essere troppo forte poteva essere un difetto per una donna, ma per un uomo non nuoce affatto alla bellezza.
Da allora ella si era informata, senza averne l’aria, da quelle ragazze del paese che conoscevano tutte le storie di amore, non gli si conosceva alcun impegno; senza sembrare di tenere all’una più che all’altra egli andava da destra a sinistra a Lèzerdrieux ed a Paimpol appresso alle belle che avevano desiderio di lui.
Una sera, era di domenica, molto tardi, ella lo aveva visto passare sotto le sue finestre, conducendo e stringendo vicino una certa Giovanna Caroff molto graziosa, ma di cattiva fama. Ciò le aveva fatto gran male.
Le avevano anche assicurato che egli era molto irascibile, che essendo ubbriaco, una sera, in un certo caffè di Paimpol, dove gl’islandesi fanno le loro feste, egli aveva lanciato una grossa piastra di marmo a traverso una porta, che non gli si voleva aprire....
Tutto ciò ella lo perdonava; si sa bene come sono i marinai presi dalla sbornia.... Ma se egli aveva il cuore buono, perchè era venuto a cercarla, quando ella non pensava a niente, per poi lasciarla? Che bisogno aveva egli di guardarla tutta una notte con quel bel sorriso che sembrava così franco, e di parlarle con quella voce dolce, per farle delle confidenze come ad una fidanzata?
Ora ella era incapace di attaccarsi ad un altro.
In quel medesimo paese, prima, quando era una fanciulla, avevano l’abitudine di dirle, per sgridarla, che ella era una cattiva fanciulla, ostinata nelle sue idee come nessun’altra, questo difetto le era rimasto. Graziosa signorina, ora, di figura un poco seria ed altera, ella restava in fondo la stessa.
Dopo questo ballo estivo, l’inverno ultimo era passato nell’aspettativa di rivederlo, ed egli non era neanche venuto a dirle addio prima della partenza per l’Islanda.....
..... Suonarono le undici all’orologio del municipio, con quella sonorità che diventa più misteriosa e suggestiva nelle tranquille notti di primavera.
A Paimpol alle undici è tardissimo; Gaud chiuse la finestra ed accese la sua lampada per andare a letto..... Yann agiva così forse per sola selvatichezza, oppure, essendo lui così fiero, aveva paura di essere rifiutato, credendola troppo ricca?
Ella avrebbe voluto domandarglielo semplicemente, ma Silvestro aveva detto che non si poteva fare, e che non sarebbe stato bello per una ragazza mostrarsi così ardita. In Paimpol già si criticava la sua aria e la sua toletta... ..... Ella si levò le sue vesti con lentezza distratta di una fanciulla che sogna; prima la sua cuffia di mussola, poi il suo vestito elegante fatto alla moda di città, che gettò a caso su di una sedia.
In seguito il lungo busto di signorina che faceva parlare la gente per la sua figura parigina. Allora la sua persona una volta libera, divenne più perfetta; non era più compressa, nè troppo smagrita in giù, riprese le sue linee naturali scultorie come quelle delle statue in marmo; i suoi movimenti ne cambiarono gli aspetti, ed ognuna delle sue pose era squisita a guardarsi.
La piccola lampada rischiarava misteriosamente le spalle ed il petto, forme ammirabili che alcun occhio umano non aveva mai viste e che sarebbero andato perduto per tutti, finchè Yann non l’avesse voluta per lui.
Ella si sapeva graziosa di figura, ma era perfettamente incosciente della bellezza del suo corpo. Del resto in questa regione di Bretagna presso le figlie dei pescatori islandesi è quasi di razza quella bellezza, non si rimarca più ed, anche le meno sagge, invece di farne pompa avrebbero pudore di lasciarle vedere. Solo i raffinati della città annettono tanta importanza a queste cose. Ella cominciò a disfare i capelli, le due trecce caddero sul dorso come due serpenti pesanti. Le avvolse sul sommo della testa. Con quel suo profilo diritto rassomigliava ad una vergine romana.
Intanto le braccia restavano rialzate e, mordendo sempre il suo labbro, continuò a smuovere con le dita le trecce bionde — come un fanciullo che tormenti un gioco