< Pescatori d'Islanda < Parte IV
Questo testo è completo.
Pierre Loti - Pescatori d'Islanda (1886)
Traduzione dal francese di Carlo De Flaviis (1911)
Capitolo IV
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Capitolo Quarto.


Una sera che essi erano seduti sul loro banco di pietra, nella solitudine della loro scogliera, mentre cadeva la notte, i loro occhi si fermarono, per caso, su un cespuglio di spine — che cresceva tra due rocce all’orlo della strada. Nella mezza oscurità sembrò loro di distinguere su quel cespuglio dei piccoli tuffi bianchi:

— Si direbbe che è fiorito — disse Yann. E si avvicinarono per assicurarsene.

Era tutto in fiore: non vedendovi bene lo toccarono, verificando con le loro dita la presenza di quei piccoli fiori che erano umidi di nebbia. Ed allora provarono come una impressione di primavera; e pensarono infatti che le giornate si erano allungate e che vi era qualche cosa nell’aria di più tiepido e di più luminoso.

Ma come era precoce la fioritura di quel cespuglio! Da nessuna parte nel paese e all’orlo di nessuna strada se ne sarebbe trovato uno simile. Senza dubbio esso era fiorito là per loro, per la loro festa di amore...

— Oh! noi allora ne coglieremo — disse Yann.

E quasi a tentoni formò un bouquet con le sue mani callose; col gran coltello di pescatore, che portava alla cintola, ne levò accuratamente le spine e poi lo mise in petto a Gaud.

— Là, come una sposa — disse indietreggiando per vederla bene, malgrado la notte. Al di sotto di essi il mare calmo, rumoreggiava debolmente sulla spiaggia, con un piccolo rumore intermittente, regolare come una refrazione tranquilla; sembrava indifferente, anzi quasi favorevole a quell’amore che si manifestava sotto il suo sguardo.

Aspettando la sera per vedersi, i giorni sembravano loro eterni e, la sera, quando al colpo delle dieci si lasciavano, provavano come uno scoraggiamento di vivere, perchè era tutto finito...

Bisognava sbrigarsi, per le carte, per tutto, altrimenti non sarebbero stati pronti ed avrebbero lasciato fuggire la felicità, e avrebbero dovuto aspettare fino all’autunno.

Essi erano degli innamorati diversi dagli altri, più gravi e più inquieti. Perchè il loro amore, che si svolgeva la sera in quel luogo triste, al rumore continuo del mare, con la febbre ansiosa pel tempo che volava, acquistava qualche cosa di lugubremente caratteristico.

Egli non le diceva quello che, per due anni, aveva avuto contro di lei, e quando la sera se ne andava, quel mistero la tormentava; però egli l’amava: di questo non poteva dubitare.

E’ vero che egli l’aveva sempre amata, ma non come ora: quell’amore aumentava nel suo cuore e nella sua testa come i marosi che salgono sempre fino ad inghiottire tutto. Non aveva mai conosciuto questa maniera di amare.

Di tanto in tanto, sul banco di pietra egli si allungava, quasi si stendeva con la testa sulle ginocchia di Gaud, così per vezzo, per farsi carezzare, ma poi si drizzava subito perchè gli sembrava una sconvenienza. Avrebbe voluto coricarsi per terra là ai suoi piedi e restare con la fronte appoggiata sul suo vestito. Tranne quel bacio di fratello che le dava appena giungeva e appena se ne andava, non aveva più il coraggio di abbracciarla. Egli l’adorava per quel non so che d’invisibile e di spirituale che era in lei, per il suono puro e tranquillo della sua voce, per l'espressione del suo sorriso, per il fascino del suo sguardo limpidissimo.

E dire che, nello stesso tempo, era una donna di carne più bella e più desiderabile delle altre; ed ella gli apparterrebbe ben presto e più completamente delle sue antiche amanti, senza cessare di essere ciò che era ella stessa!.... Quest’idea lo faceva fremere fino al midollo delle ossa; egli non sapeva concepire prima la oscura voluttà di quell’ebbrezza: pensandovi però sempre, si domandava se egli avrebbe osato commettere quel delizioso sacrilegio....

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