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II. Dello stesso
I. Di Cleobolo III. Descrizione di Taranto

II

Dello stesso

[Famiglia di Archita — Carattere di lui — Mnesilla — Ncarco]

Archita non è qui: gli affari della sua patria lo ritengono in Lucania. Ma noi riceviamo dalla sua famiglia tutta quell’ospitalitá, che avremmo potuto sperare dall’amico presente.

La moglie di Archita è una donna dell’etá di circa quarantanni: tutti la dicon savia, moltissimi amabile, non pochi anche bella. Ha molto amore per i suoi figli, e per suo marito molto amore e molta stima, senza la quale, dopo venti anni di unione, non vi sarebbe piú amore. I figli maschi sono ancora fanciulli: delle femmine una ha preso per marito un giovane tarantino di onesti costumi e di molto ingegno, che Archita ha preferito ad un altro pretensore, pieno di ricchezze e di vizi.

Altri invidieranno ad Archita il posto che tien tra i sapienti d’Italia; altri la sua fortunata popolaritá e le dignitá onde la sua patria lo ha tante volte rivestito; altri il suo valore e la sua fortuna militare. Sai tu ciò che io piú invidio a lui? La sua bella e buona famiglia. Un gran filosofo, un gran capitano, un gran magistrato, il quale, ritornando nella sua casa, non vi ritrova l’amicizia, l’ordine, la pace, rassomiglia un uomo, il quale sia in sogno possessor d’infiniti tesori, e poi si ritrovi poverissimo quando, destandosi, ritorna in se stesso.

Gli stessi servi amano Archita. Quello, che è stato destinato al mio uso, mi diceva ieri che né egli né i suoi compagni lo avean mai veduto in collera. Un giorno gli domandò come mai potesse fare a conservar sempre tanta eguaglianza di animo.

Ed Archita gli rispose: — Volendo sempre il giusto e non sperando mai dagli uomini piú di quello che posson fare. — La collera indica che l’uomo o è pazzo o lo è stato. Archita arrossirebbe di pronunziare la minima di quelle parole indecenti, che, nei primi e spesso irresistibili moti dell’ira, ci corron tanto facilmente sulle labbra; ed, a sfuggirle con piú sicurezza, ne’ momenti di pericolo dá li suoi ordini in iscritto.

Ciò mi fa ritornare in mente il tratto di Platone, il quale, sdegnato contro un suo servo, disse a Speusippo: — Trattalo tu per me come ti piace: io son troppo sdegnato1 — Mentre i sofisti disputan tra loro, i veri filosofi si imitano.

Son tre giorni che siamo qui; e, sebbene non vi sia Archita, pure siam sempre assediati da un gran numero di persone die vengono a far visita all’amico ed all’ospite di Archita. Vengono i parenti, vengono gli amici, vengono i filosofi; e la folla maggiore è sempre di coloro i quali voglion parere amici del loro primo magistrato e seguaci del piú illustre tra i loro filosofi. Che vuoi fare? Negli uomini, anche la giustizia, che talora rendono al merito altrui, non è altro che vanitá.

Abbiam frequenti visite di donne. Imperocché tu devi sapere che qui la filosofia non è privativa degli uomini soli, come tra noi: le donne contano un numero di filosofanti non minore. Ve ne è, tra le altre, una il di cui nome è Mnesilla... Che vuoi tu che io ti dica? Se potesse avvenire, come desiderava Socrate, che la virtú si mostrasse sotto fonile mortali, essa sarebbe bella come Mnesilla.

Tra gli uomini, quello col quale I10 stretta maggiore amicizia è un giovinetto chiamato Nearoo. Appartiene ad una delle principali famiglie di Taranto, congiunta per affinitá con quella di Ardiita, ed è degno dell’amicizia di costui per la docilitá e canditezza de’ suoi costumi. Tu forse non lo diresti ancora filosofo, perché ama ancora troppo i piaceri; ma non credi tu che una parte principale della saviezza sia quella di saper godere?

  1. PLUTARCO, Adversus Coloten
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