< Poemetti (Rapisardi)
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L'impenitente XIX
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Vibra dall’infeconda arbore a’ rami
Il mattutino giardinier la scure,
Ed a mirar la prossima caduta
Dell’ombra annosa il passeggier si arresta.
5Gemono a’ colpi ben temprati i nocchj
Rubesti; incerte tremolan le foglie
All’insulto incompreso, e con sommesso
Murmure l’aura interrogando vanno.
In un silenzio sospettoso assorte
10Stan le piante vicine, e dei cognati
Ceppi all’eccidio abbrividir le vedi.
Piombano intorno scavezzate o in brevi
Rocchj mozzate le frondose braccia;
Crocchia a’ crolli iterati il fusto nudo,
15Che disperato il natio suolo abbranca,
Finché vinto abbandonasi, e con sordo
Rombo la gleba sconquassata opprime.

Pietà ne sento: è triste ogni rovina;
E fu triste la tua, magico errore,
20Che ombrasti già del mio pensiero il regno.
Ma se penso, o domata arbore, a quanta
Parte d’azzurro col perpetuo crine
Invidiasti e le bramose ciglia;
Se al vivo raggio io penso e alle rugiade
25Che usurpasti gran tempo agli egri arbusti,
L’irsuto braccio e l’affilata scure
Che ti recise io lodo. Ecco, il mio sguardo
Spazia libero alfine; ecco la via
Ampia, diritta, popolosa, i tetti
30Supini al sole, i domi austeri, il golfo
Gemino e il mar divino e d’Ibla i colli
Rosei sfumanti ne l’immenso opale.
Salve, o provvido acciar, che le nemiche
Ombre diradi e i vecchi inciampi atterri!
35E voi, suddite piante, umili erbette,
Ravvivatevi alfine: il sole è vostro!

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