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NOTA
I
La prima edizione del Tesoretto e del Favolello fu fatta, su due codici chigiani, dall’Ubaldini (Roma, 1642). Seguí quella dello Zannoni (Firenze, 1824), fondata su 6 codici per il Tesoretto e su 7 per il Favolello. Superiore alle precedenti è l’edizione critica data da B. Wiese, su tutti i manoscritti allora noti, nel 1883 (nel vol. 7° della Zeitschrift für Romanische Philologie, pp. 236-389).
Un’accurata revisione del testo critico pubblicò, molti anni dopo, il Wiese (Biblioteca romanica, n.i 94 e 95), tenendo conto di qualche altro ms. e valendosi con molto profitto delle osservazioni del Mussafia (nel Literaturblatt für germanische und romanische Philologie del 1884).
Il testo, preparato con acume e diligenza dall’esperto filologo tedesco, è stato, com’è ovvio, da noi seguito in questa edizione laterziana; ma il nuovo esame della tradizione manoscritta (offertaci dal Wiese stesso, e, per un frammento, dal Bertoni) ci ha suggerito parecchi sicuri emendamenti. Il frammento, edito e sagacemente illustrato dal Bertoni nel vol. 12° (1915) degli Studi romanzi, è contenuto in un ms. della Nazion. di Parigi (Nuovi acq. 1745). Esso, per l’etá, è da aggiungere ai 7 mss. del sec. XIV: il Laurenz. XLV pl. XI, il Laur. Strozziano 146, il Quirini di Brescia A. VII. 11, l’ L. 5. 5. 49 della Nazion. di Firenze, il Chigiano L. V. 166, il Chig. L. VII. 249 e il Corsiniano 44. G. 3. Ma per la lezione, il frammento parigino è affine (come dimostrò il Bertoni) al Magliabechiano VII. II. 1052, che, come il Laur. Gadd. XC inf. 47, è del sec. XV. Il piú antico ms. è il Riccard. 2908, del sec. XIII; i piú recenti (sec. XVI) sono il Vatic. 3220 e il Marciano C. 11, 7.
II
Si trovano riuniti, per la prima volta, nella seconda parte di questo volume, poemetti e rime varie sulla cui attribuzione lungamente si è discusso da oltre mezzo secolo.
Infatti, de L’Intelligenza è ritenuto comunemente autore Dino Compagni (l’infelice attribuzione a maestro Giandino fatta da V. Biagi fu subito confutata); della possibilitá che il Fiore fosse dovuto alla penna dell’Alighieri si fecero valorosi paladini Guido Mazzoni e Francesco D’Ovidio; e all’Alighieri il Salvadori sostenne che si debbano dare le 5 canzoni adespote del cod. Vat. 3793; e secondo diversi studiosi, tra cui lo stesso Salvadori, sono di Guido Cavalcanti i 61 sonetti costituenti un trattato d’Amore1.
Ebbene, dopo lunghi studi e pazienti confronti concettuali, stilistici e sintattici, io credo di poter affermare con piena sicurezza che l’autore delle opere sopraricordate (e del Detto d’Amore che giustamente2 è considerato gemello del Fiore ) è uno solo, e precisamente quel Lippo Pasci de’ Bardi di Firenze a cui il Vat. 3214 dá i quattro sonetti con cui la 2a parte del presente volume si apre.
Addurrò altrove le ragioni del mio saldo convincimento; qui voglio solo accennare a sagaci indagini critiche recenti che hanno giá persuaso molti a ritenere che le attribuzioni a Dante, al Cavalcanti e al Compagni non reggono. Scrive l’ultimo solerte editore de L’Intelligenza, il Mistruzzi (p ccxiv dell’Introduzione): «Insomma, per quanto ci si sforzi di trovare nel poemetto qualche tratto che ci lasci intravvedere la personalitá storica ed artistica del Compagni, non si viene a capo di nulla, perché le analogie di concetto e di locuzione, d’atteggiamento o di colorito che il Del Lungo credette notare anche con le rime non hanno maggior forza persuasiva di quelle avvertite per la Cronica ...
A sostegno dell’attribuzione de l’Intelligenza al Compagni non v’è, allo stato attuale delle nostre cognizioni, alcuno elemento sicuro».
La paternitá dantesca del Fiore fu validamente combattuta, nel 1921, dallo Zingarelli e dal Torraca3; e nel suo acuto e compiuto profilo, Michele Barbi ha scritto pochi anni or sono: «piú si cerca in esso il fare di Dante e meno vi si trova» (p. 14).
Il Barbi stesso ( Studi danteschi, vol. X, pp. 5-42) confutò magistralmente la tesi cara al Salvadori (che le 5 canzoni siano di Dante e i 61 sonetti del Cavalcanti), escludendo la paternitá dell’Alighieri e del Cavalcanti e provando «che si tratta di un autore medesimo per le canzoni e il poemetto».
III
Le prime 4 poesie della 2a parte si trovano nel pregevole cod. Vaticano 3214 (n.i 146, 147, 148 e 149; pp. 118-120 dell’accurata edizione Pelaez) con le seguenti rispettive rubriche: «Lippo pasci de bardi», «Lippo detto», «Lippo pasci de bardi di firenze», «Lippo detto». L’attestazione del cod. Vaticano è suffragata per i n.i 146 e 148 da quella di una fonte manoscritta collaterale, rappresentata ora dalla Raccolta bartoliniana (nella parte derivata dal perduto codice Beccadelli) e dal cod. Univ. Bologn. 1289.
Nel pubblicare il son. n. 148, mi son giovato della felice restituzione critica fattane dal Mazzoni e di quanto osservò il Barbi (a p. 165 dei suoi Studi sul canzoniere di Dante); per gli altri, che per la prima volta qui si stampano in corretta edizione, ho dovuto far da me. Ovvie mi sembrano (per fermarmi alle cose essenziali) l’inserzione di «che» prima di «fanno» e la correz. di «color» in «di lor» nei vv. 9 e 10 di Io sí vorrei.
Ma tutt’altro che sicura mi appare la ricostruzione che ho fatto dell’ultima terzina del n. 147 (Compar che tutto tempo) la quale nell’unico ms. è cosí riferita: «intanto ke da mia parte si dichi il centinaio assai verrebbe massa per acconciare et abellir mi mostro».
Per quel che concerne l’ultimo son. (Io mi credeva), credo accettabili le correzioni che ho introdotte nei vv. 2, 6, 7, 8 (l’unico ms.: «luogo di», «in oco facciendo», «ch i par ragiono», «voler lo mi contende»; ma, in cauda venenum: «sermenti onde pori omo abeverarsi salui mia ueggia ne non uo che si spanda».
⁂
Le 5 canzoni son contenute nell’antico e ben noto cod. Vat. 3793 (trascritte, però, da mano piú recente), non senza, qua e lá, errori ed omissioni, di quasi sempre agevole restituzione.
Per la famosa risposta a Donne che avete intelletto d’amore, ho seguito il testo fermato dal Barbi (ediz. fiorentina delle opere di Dante, pp. 59-61); per le altre quattro, mi son giovato delle stampe curate dal Salvadori e dal Della Torreí4, mai trascurando le citazioni di alcuni passi fatte dal Barbi nel cit. 10° vol. degli Studi danteschi. Nello stesso cod. Vat. 3793 son trascritti, dalla stessa mano che esemplò le 5 canzoni, i 61 sonetti, che il Salvadori5 per primo pubblicò in buona lezione e illustrò, sostenendo che ne fosse autore il Cavalcanti. Per il testo, e per l’esatta interpretazione, ho preso in esame, a volta a volta, qualche buon suggerimento del Pellegrini, del Lega, del Sanesi6 e del Barbi; ma non mi è stata utile l’edizione Rivalta, perché tutt’altro che esente da sviste.
⁂
Passando a L’Intelligenza, dirò anzitutto che degne di elogio sono le diligenti cure prodigatele da V. Mistruzzi (1928) che ne ha dato un testo7 migliore anche di quello, pur buono, approntato da R. Piccoli nel 1911.
Com’è noto, il poemetto fu pubblicato la prima volta da A. F. Ozanam (1850), poi da E. Camerini (1863), da D. Carbone (1868) e da P. Gellrich (1883).
Il Piccoli, che rettamente chiamò «giudiziosa ma non definitiva» l’ediz. Carbone ed osservò che il Gellrich, oltre a travisare il colorito linguistico dell’opera, piú volte non aveva letto bene ed altre volte aveva risolto male i nessi paleografici, si rifece direttamente ai manoscritti, con diligenza e sagacia; presentando (come dice il Mistruzzi) l’Intelligenza. «in una veste che poteva, almeno in parte, soddisfare i desideri dei dotti e le esigenze del gran pubblico dei lettori».
Poco piú in lá il Mistruzzi aggiunge «in generale il Piccoli è accurato, ma ciò non toglie che anche a lui siano sfuggiti errori ed inesattezze, sebbene si riducano a poca cosa».
Poche e non gravi sono anche le sviste e le imperfette restituzioni critiche che ho potuto notare nella pregevole edizione procurata dallo stesso Mistruzzi, alla quale sempre dovrá ricorrere chi voglia, oltre al testo corretto; una ricca messe di informazioni e di contributi per l’esegesi di esso.
Solo due sono i codici del poemetto: il Magliabechiano Cl. VII, 1035e il Laurenziano Gaddiano 71, il primo «anteriore di qualche decina d’anni al secondo, e di miglior lettera e di mano piú intelligente»; «i due codici appartengono a tradizioni diverse e indipendenti; probabilmente né l’uno né l’altro risale direttamente all’autografo. Il Magl. per la piú corretta lezione e per l’accuratezza della ortografia, merita di esser tenuto a fondamento della edizione; e per le prime 46 stanze, di cui il Laur. è mutilo, ne costituisce l’unica fonte; il Laur. deve esser tenuto presente unicamente per correggere i pochi manifesti errori del Magl. in cui esso non cade, e qualche rara volta per reintegrare la misura del verso».
Cosí il Piccoli, ai criteri del quale si è attenuto giustamente anche il Mistruzzi. Io sono d’accordo; aggiungo soltanto che certamente (e non soltanto probabilmente) i due mss. non risalgono direttamente all’autografo, e che il Laur. ha conservato qua e lá costrutti e grafie che rivelano la maggiore antichitá della sua fonte e la fedeltá della trascrizione.
Per quanto si riferisce alle molte rime imperfette, ritengo, per le ragioni addotte dal Mistruzzi (pp. lxxxi-lxxxiii) che siano da lasciare inalterate.
⁂
Il testo curato dal Parodi, di sull’unico ms., del Fiore e del Detto d’Amore è da considerare ottimo e difficilmente superabile8.
Il dotto ed acuto filologo, dati gli scarsi contributi precedenti, si trovò di fronte a molte serie difficoltá e in gran parte riuscí a superare l’ardua prova.
Nel riprodurre l’edizione da lui curata, mi son giovato delle recensioni9 del Bertoni, dello Zingarelli e del Benedetto; nel v. 4 del son. CXXX ho subito introdotta la persuasiva lezione propugnata, or è qualche mese, da F. Neri10. Ben s’intende che ho rivisto i due poemetti di sulla bella riproduzione in fotocollografia dovuta all’iniziativa di G. Mazzoni (1923) e che ho cercato di contribuire anch’io a migliorare il testo nei punti ancora sub iudice. Non ho mancato di consultare le edizioni che precedettero quella del Parodi; cioè, per il Fiore, la prima, curata dal Castets (nel 1881, di sull’unico ms. di Montpellier, H, 438 della Biblioteca della Facoltá di Medicina), quella del Mazzatinti (1888) e quella del Della Torre (1919); per il Detto, l’edizione fatta (nel 1881) dal Morpurgo11, di sull’unico ms. (4 bei foglietti membranacei, ora legati nel cod. Laur. Ashburn. 1234, dovuti allo stesso copista del Fiore).
Fecero acute osservazioni sul testo del Detto, dopo il Morpurgo e prima del Parodi, il Mussafia, il Gaspary, il Benedetto12.
IV
Passo a dar breve notizia delle piú importanti novitá di lezione, tralasciando quel che concerne la punteggiatura, le varianti grafiche e parecchie ovvie correzioni di evidenti errori, spesso giá introdotte nelle precedenti stampe.
a) Tesoretto.
v. 41. Il Wiese: «non valse me’ di voe». Con la nostra lezione, basata su diversi mss. (tra cui il frammento edito dal Bertoni) si migliora, col senso, la rima.
v. 456. A «triegua» avrei potuto sostituire «trieva», di cui si hanno molti esempi nell’antico italiano.
v. 535. Seguendo il Wiese, leggo «S’ha via» (cioè: Se c’è modo, se è possibile). Ma forse era da stampare: «disse ’ssavia» (=disse subito).
v. 576. Ho accolto, da alcuni buoni mss., «far mal t.», che migliora il senso e la misura del verso.
v. 897. Pochi mss. hanno «chi metta»; ma certo è lezione da preferire a quella del W. (che mette). Superfluo chiarire che «s’avegna ch’i’» vuol dire: si convenga ch’io.
v. 1172. Ho soppresso l’articolo prima di «presente»; questo vocabolo qui non significa «dono», come certo dové intendere il Wiese, ma «subito» (cfr. i vv. 1080 e 2902).
v. 2032. Ho corretto breve in greve’’.
v. 2156. Ho premesso n a «far».
v. 2336. Non «adoverar», ma «adovera» credo si debba stampare; tutto il periodo ne trae miglior significato.
v. 2593. A «gramattesia» del W. (di cui non conosco esempi) ho sostituito «gran mattesia».
v. 2602. Parmi necessario premettere «in» a «te stesso».
b) Favolello.
v. 5. Integrando il v. con «se», il senso è chiaro: «ché, se la tua difesa manca di ragione».
v. 35. Metto in parentesi il verso e intendo: talvolta, pare quasi un leone (oppure: vuol far le parti come il leone della favola).
v. 65. W. «che da la».
v. 88. Con qualche ms., preferisco «n’aprendo» a «ne prendo».
v. 180. Correggo «e» in «a»; si intenda: mi è cagione a domandare.
c) Intelligenza.
ottava 5ª, v. 5. Forse è da inserire «cor» prima o dopo «nessun» (o «giá» prima di «mai»).
ott. 31, v. 2. Forse «e tal ne ha la B.».
ott. 33, v . 1. L’unico ms. «nel mare». Mi pare che il 2º verso richieda, nel 1º, un integramento (e sta nel m.?).
ott. 34, v. 4. Credo aver ben restaurato la misura e il senso (il Mistruzzi, cogli altri, poi si abbuia): poiché, sebbene sia scura, ha gran valore.
ott. 40, v. 5. Non trascurabile la vulgata «il fa dar».
ott. 73, v. 7. Il Mistruzzi, pur attenendosi (come abbiamo fatto anche noi) ai mss., dice in nota che è preferibile la congettura del Gellrich «e le pulzelle che veniero allore». Forse, poiché il soggetto è Pantassaleia (v. 4), è da leggere: «e le p. che menò, coloro».
ott. 74, v. 1. Ho corretto, col Mistruzzi. Ma la vulg. «Ros. d’amore» può spiegarsi «amorosa».
ott. 84, v. 4. Sospetto che si debba leggere «si dispenò d’ogni» (=non si curò piú delle sue legioni).
ott. 119, v. 6. Forse è da correggere «di perdonanza».
ott. 139, v. 6. Alla lez. del cod. Magliab. «sanza b. starei in gran pene» (seguita anche dal Mistruzzi) ho preferito quella del meno corretto, ma spesso piú fedele all’esemplare, Laur.
ott. 145, v. 6. I due mss. e tutte le stampe «Pompeo che tanto amava mortalmente». Credo necessaria e sicura la mia correzione; nel Novellino e nelle antiche leggende cavalleresche è comune la frase «disamare mortalmente». Non è questo il solo luogo in cui i due mss. sono evidentemente errati.
ott. 221, v. 7. Le stampe (col Magliab.) «francogli liberi d’ogni». Ho corretto, tenendo presente l’altro ms. e felli liberi del t. Frequenti, nell’italiano antico, le coppie di parole sinonimiche.
ott. 240, v. 4. Ho corretto francamente «tra» dei due mss. e delle stampe; cfr. ott. 147, 9.
ott. 291, vv. 3 e 9. Forse, è da correggere «l’adorna» in «s’adorna», e da sopprimere «d’» davanti a «umil».
d) Fiore.
son. 2, v. 5. Pur conoscendo il pregevole ed acuto studio del Casella, ho integrato, qui ed altrove, il verso con la particella «sí» (cfr. il v. 9). Notò il Bertoni che lo studio della lingua del Fiore ci autorizza pienamente ad intercalare il sí pleonastico.
son. 10, v. 14. Il ms. e le stampe «a mente».
son. 11, v. 6. Forse, anziché «come» è da leggere «com’è».
son. 44, v. 2. Ho corretto «salute» in «virtute».
son. 46, v. 14. Ho accolto la correz. di «o ’n» in «oun’» proposta dallo Zingarelli,che felicemente propose anche, nel v. 14° del son. 51, la lettura «c’on truova» (Parodi «contruova»), e nel v. 5 del son. 56, la correzione «va pressando» (Parodi: «o appressando»).
son. 77, v. 12. Le stampe «or, ch’è il core».
son. 88, v. 14. Le stampe «Chi tal rob’hae»; per la nostra correzione, cfr. son. 96, 3. Nel v. 12, ho accolto la correz. (del Parodi) di mi in me’, ma forse la lez. del ms. può stare (= in me).
son. 97, v. 4. Forse è da leggere: «ched e’ le pecore non d.».
son. 136, v. 1. Il ms. ha Per, tutt’altro che improbabile (=da).
son. 143, vv. 3-4. Forse è da interpungere: «... come le diria | risposta buona? I’ non ti celeria | che».
son. 148, v. 14. È una delle cruces del Fiore. Da non escludere la correz. «Ma pure al mal senn’ho...».
son. 154, v. 14. Adesa del ms. e del Parodi non ha senso né rispetta la rima. Forse, «l’agensa» (= l’abbellisce, detto ironicamente), o, con rima irregolare, «l’adenta».
son. 164, v. 10. Il ms. «sta onero a ballo»; ho seguito il Parodi, ma forse la vera lezione è: «sta a santo o vero» (cfr. son. 51, 13).
son. 170, v. 8. Il ms. e le stampe «non potesse amor, né»; cfr. il v. 9, che giustifica la nostra congettura.
son. 174, v. 1. Ho conservato non del ms. (soppresso dal Parodi) e ho corretto maneggiare del v. 5.
son. 183, v. 12. Le stampe «in franchezza», ma il ms. non ha in.
son. 185, v. 7. La correz. tostana (vulgata: tost’una) è dello Zingarelli (— si sbrigherá presto).
son. 187. Al v. 10, ho soppresso sí in principio e ho conservato vi del ms. prima di sia. Al v. 13 ho premesso e, che parmi indispensabile.
son. 195, v. 12. Ho inserito ciò pleonastico dopo voi, perché, per quanto abbia presenti i rilievi del Casella sulle dieresi d’eccezione, non mi pare che voi possa qui considerarsi bisillabo.
son. 200, v. 14. Il verso è una crux; la lez. che propongo parmi migliore di quella del Parodi «non in tram’a corto».
son. 202, v. 2. Di questo voi da me inserito dopo quando, vari esempi potrei citare dal Tristano Riccardiano.
son. 204, v. 8. La sicura correzione (le stampe «dispettela dura») fu proposta, indipendentemente, dal Bertoni e dallo Zingarelli.
son. 211, v. 13. Il ms. e le stampe «ch’è vita troppo dura», senza rima e senza senso. Proporrei: «che vita troppo crò ’m’è» (=m’è troppo dura; cfr. son. 126, 4).
son. 212, v. 5. Premetto «Ma» al verso (cfr. son. 213, 5). Buona sarebbe anche l’integrazione di lei in colei; cfr. son. 214, 12.
son. 220, v. 3. Le stampe «e che la sua mercé ciascuno attenda». Ma il ms. ha «O che la mercie ciascheduno a.»; e il senso impone la nostra correz. di mercie (che anche in altre antiche rime ho trovato sostituito indebitamente a morte).
son. 226, v. 14. Le stampe «ser M. per disav.»; il ms. ha «per sua dis.». Preferisco sopprimere l’inopportuno ser (derivato forse dal se del v. preced.).
son. 228, v. 10. Mi sembra necessario correggere in se il s’è delle stampe; è da riferire a pensava (v. 11).
e) Detto.
vv. 83-86. Il difficile passo (il Parodi, ma non, v. 83, e me’ ched Amor sa, batte, v. 86) fu studiato dal Benedetto, sul quale cfr. Studi danteschi, VIII, p. 146. Credo accettabili le mie correzioni, lievi graficamente, che restaurano il senso. Non c’è dubbio che son del mi’ certano significa «son sicuro di me» (cioè, del fatto mio; cfr. Fiore, 203, 2, e, soprattutto, il v. 109 del I stesso).
v. 254. Meglio, credo, «foll’ore», anziché «foll’o re’» del Parodi.
v. 275. Leggo «ebbe» (ms. ebe, Parodi ebbi); ciò è pleonastico.
v. 294. Per la sicura lezione (Parodi, «unque, ma mi contasti») cfr. Studi danteschi, VIII, p. 147.
v. 376. Il Parodi ha «guardare», ma sembrami ripetizione inopportuna.
v. 400. Il Parodi, col ms., nol guardi. Parmi necessario «non»; guardi, com’è ovvio, significa «ti guardi».
Note
- ↑ Sulla tesi del Biagi, cfr. le osservazioni decisive del Torraca (Studi di storia letter.,t pp. 153-163) e del Debenedetti ( Giorn. stor. d. lett. ital., LXXVII, pp. 104 sgg.). I noti scritti del Mazzoni e del D’Ovidio sul Fiore leggonsi nella Miscellanea D’Ancona e nel Bull. d. Soc. dantesca ital., vol. 10° . Sulle ipotesi fatte dal Salvadori e sulle relative discussioni, cfr. il 10° voi. degli Studi danteschi diretti da M. Barbi.
- ↑ Lo hanno provato, tra gli altri, il Morpurgo e il Parodi.
- ↑ Cfr., per lo Zingarelli, gli Scritti di varia letteratura (pp. 193-202) e, per il Torraca, i citati Studi, pp. 242-271.
- ↑ Cfr. rispettivamente il Giorn. dantesco (anno XXIV, pp. 277-290) e l’ediz. Barbera delle Opere di Dante (1919).
- ↑ Nel vol. La poesia giovanile e la canzone di amore di G. Cavalcanti (Roma, Soc. Ed D. Aligh., 1895).
- ↑ Cfr. rispettivamente il Giorn. storico, XXVI e XLVIII e la Rass. bibliogr., XII.
- ↑ Cfr. L’Intelligenza, a cura di Vittorio Mistruzzi (Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1928).
- ↑ Cfr. Il Fiore e il Detto d’Amore a cura di E. G. Parodi (Firenze, Bemporad, 1922). Nella prefazione sono riassunti con sobrietá e precisione gl’indizi pro e contro l’attribuzione a Dante.
- ↑ Il lavoro dello Zingarelli è stato giá citato; per il Bertoni, cfr. Giorn. storico, vol. 80°, per il Benedetto, cfr. Giorn. storico, vol. 81°.
- ↑ Cfr. Fiore, son . 88 e sgg. in Giorn . storico, vol. 115° . L’importante scritto offre una compiuta e aggiornata bibliografia.
- ↑ Nel Propugnatore del 1881.
- ↑ Pel Mussafia, cfr. il cit. vol. del Propugnatore; pel Gaspary, la Zeitschrift für romanische philologie, vol. XI; del Benedetto si veda (oltre il cit. voi. 81° del Giorn. storico): Il Roman de la Rose e la letterat. ital. (Halle, 19)0).