Questo testo è completo. |
◄ | Scherzi - XXXVII. Al marchese G. P., amico infedele | Scherzi - XXXIX. Conclusione. Al mirto di... | ► |
XXXVIII
Il passero canario
Maria dagli occhi languidi,
dal crine in trecce avvolto,
nel cui leggiadro volto
copiò la madre Amor,
5su la cui fronte l’invido
fato lasciò scolpita
quella crudel ferita,
che vi rosseggia ancor;
il vago tuo canario
10pianger, oh Dio! non senti?
Nei non intesi accenti
ti chiede libertá.
Della ferrata gabbia
schiudi il fatal ritegno,
15né del materno sdegno
temer la crudeltá.
Se alzar, del dono memore
dello stranier lontano,
la minacciosa mano
20sopra di te vedrò,
il fulminar del braccio,
col braccio mio sospeso,
tutto il vibrato peso
dell’ire io sosterrò.
25Fuggendo, intanto, il libero
augel da questo suolo,
sovra dell’onde a volo
valicherá del mar.
E arresterá l’instabile
30corso lá dove, altera
fra l’isole, Citera
fertil di boschi appar.
Sui portici del tempio
sacro alla dea di Gnido
fanno gli augelli il nido
quando ritorna april:
le grigio-azzurre tenere
tortore sospirose,
le colombe amorose
dal lucido monil,
i lascivetti passeri,
dal becco impaziente,
e l’alcion gemente
per troppa fedeltá.
Qui il tuo canario amabile,
alla compagna accanto,
nota fará col canto
la bella tua pietá.
Presso dell’ara supplice,
librato su le piume,
t’impetrerá dal nume
un’util gioventú;
e giovin sposo, ad Ercole
pari di forza eletta,
che mai ti tenga stretta
in ferrea servitú.