< Poesie (Fantoni)
Questo testo è completo.
Varianti
Varie - XXI. In obitu Lycophontis Nota

VARIANTI

ODI


Libro I. — II. p. 6: Nelle prime edizioni era diretta Al sig. Giacomo Costa; composta di sole 4 strofe, che corrispondono alle quattro prime della nostra edizione, con queste varianti:

vv. 7-8: né può donata Cloto

la forbice sospendere;
vv. 11-12: fin che cinte di rose
le chioma non s’imbiancano;
vv. 14-16: d’un rio sul margine cantiam le tenere
pugne d’Amore, e l’armi
in voto appese a Venere.


III. p. T: Nelle edizioni anteriori al 1800 il v. 9 ha questa varietá:

le smunte guance del volto pallido;


e dopo la strofe 6ª a v’è in piú questa:


Giá dall’eburneo collo, ove scendono

le brune trecce del crine incauto,
pronti alla saffica Glicera pendono
  la curva lira e il flauto.

IX. p. 17:

v. 1: Carlo, terror delle lunensi belve;

v. 17: Beviamo, i regi non invidio, un trono.


XIII. p. 22: Nell’edizione del 1785 e in quella di Livorno del 1792 leggevasi come scritta «per il ritorno d’America a Londra dell’ammiraglio Rodney dopo la vittoria del dí 12 aprile 1782». Era cosí composta:

     Sorgi, Tamigi, sovra l’urna, e fuora
del lido inalza le superbe corna,
su la vittrice coronata prora:
Rodney ritorna;

     Rodney, tuo figlio, di un nemico audace,

non prima avvezzo a impallidir, spavento;
folgore in guerra e tepidetto in pace
  soffio di vento.
     Ma, aimè! percosso da febbril saetta
langue qual astro in nubiloso cielo,
né l’ardua fronte e ’l sacro allòr rispetta
  pallido gelo.
     Vuotiam, Fantoni, nuove tazze al nome
e alla salute dell’eroe, festose
cetre agitiamo e inghirlandiam le chiome
  d’apio e di rose.
     Le rime, figlie d’un scherzar felice,
oda il canuto Licida geloso,
della trilustre biondi-bruna Nice
  amante e sposo.
     Te del rossore, vaga verginella,
sotto di giogo placido ritiene:
a me dá leggi facili la bella
  candida Argene.

XIV. p. 24: Nell’ed. a cura del nepote Agostino è diretta a Francesco Micali, con queste varianti:

v. 5: Ozio, Micali, chiede il Franco e il Trace;

vv. 29-36: Giovin la morte rapi Achille; il chiaro
Titon vecchiezza illanguidi: fia meco
prodigo forse il ciel di giorni, e avaro
  forse sia teco?
Ride a te il volgo, mentre l’arche gravi
guata di merci che l’industria aduna,
e or recan forse peregrine navi
  nuova fortuna.

XVI. p. 27: In varie edizioni reca anche l’intitolazione Al sig. marchese Federico Manfredini, come nella ediz. del 1785 e in quella del 1792: anche il nepote riferisce questa intitolazione. Le prime edizioni recano queste varianti:

v. 13: Nutre il Franco nell’animo;

vv. 15-16: il Britanno magnanimo
dei ceduti trofei spira vendetta;
vv. 49-50: alme del sol nel vivido
raggio, temprate all’utile fatica;

vv. 85-87: Si vegga il Gallo chiedere

nuovi maestri, né insultar cotanto,
e sia costretto a cedere.

XVII. p. 30: Nell’ed. del 1785 v’è questa varietá alla strofe 10a:

     Voi tra le morbide cure del soglio

scortate Cesare del vero al tempio,
e non minor dell’avo
Leopoldo e Gustavo.
     Sotto gli auspici vostri l’Annibaie
germano ai popoli dá leggi, e medita
nella pace dell’armi
le vittorie ed i carmi.

XXII. p. 39:

v. 15: Un fertil campo, un nobil tetto, ecc...

XXIX. p. 50: Nelle edizioni anteriori a quella del nepote si leggono queste varianti ai

vv. 37-38: Da un Dio di pace eccelsi re tutori

dati all’afflitta umanitá che langue.

XXXI. p. 53: Il Carducci annota: «Per questa ode seguo l’edizion riminese del 1797, fuori che nella str. 8a , la quale, come ivi leggesi, è ripetizione mera da altra. Il poeta nel 1795 rimutò l’ode, indirizzandola al matematico Pio Fantoni di Bologna: l’edizione pisana del 1819 ha questa 2a lez., nella quale, oltre piccole varietá di dizione, mancano affatto le str. 3a e 17a, e la 10a è mutata in questo modo:

Canterò forse Libertá, che doma

cadde dei vizi sotto il molle pondo,
ma pria per senno e per virtú fe’ Roma
  donna del mondo?

e a 12a :

O tu che vedi quanto l’aura e l’onda

chiedi e misuri dei mortali i giorni,
fa’ che del Tebro su l’inulta sponda
  presto ritorni.

Così, in una copia postillata di mano del Piazzini amico del poeta, la str. in vece di ’Libertá’ ha ’quella dea’ e puntolini nel luogo di ’del Tebro su l’inulta’».

XXXII. p. 56: Nell’ed. del nepote è intitolata Ad Iro finanziere. Il Carducci annota, sempre fondandosi sull’esemplare dell’edizione di Pisa del 1819, postillato dal Piazzini ed esistente nella Universitaria di Pisa, le seguenti varianti:

v. 5: Schiatta non cangiati le ricchezze, nobile;

vv. 7-8: ma il sangue, la pietá, dell’opre il merito
sol illustrati chi nacque in rozza cuna;
v. 12: di un scriba infame...;
vv. 35-36: religion me l’impone, e in mezzo ai palpiti
me l’incise nel cuor l’equa natura...

XXXIX. p. 71: Il Carducci ha seguito l’ediz. del nepote, salva per il v. 52, che ivi leggesi :

far plauso al merto, non prostrarsi e vivere;

e per il v. 58, che ivi è stampato cosi :

l’amico del mio cuore indivisibile.

Oltre queste due varianti, l’ediz. del 1792 differisce da quella del nepote per queste tre, fra alcune altre di minor conto:

vv. 45-48: Stanno al suo fianco il buon Ranucci, pura

anima e onore dell’etnisca curia;
e Catellacci, che sovente fura
gli egri di morte all’orgogliosa furia;
vv. 61-62: Giá Febo volge al viciti monte il tergo
e d’ombra il fiume e l’ima valle copresi ;
vv. 71-72: l’aria commossa e dell’ibero Giove
dall’alte prore le falangi scendere.

XL. p. 74: Fu da prima diretta Al sig. marchese don Giuseppe de Silva di Livorno, e leggevasi quindi con queste varianti :

v. 1: Silva, non sempre facili;

v. 29: German ti volgi, scendere.

Libro II. — III. p. 98: Come si legge nella presente edizione, fu composta nel 1779: nel 1800, però, l’autore «per renderla piú morale», la mutò in questo modo:

     Nuda t’invola dalle fredde piume

e fuga in ciel le tenebre
col desiato lume,

d’un amante canuto inutil sposa,

5or che sospira querula
l’auretta rugiadosa.
     Varcar vo’ il fiume, ma ancor bruna l’onda
mi asconde il guado e vietami
di ricercar la sponda.
     10Dentro quella capanna, al dì nascente,
soccorso un vecchio aspettano
e una madre dolente.
     Parmi... ah! son dessi... Una il fanciul sostiene,
l’altro piangendo additami
15ed incontro mi viene.
     Si tenti il guado... Oh come urta fremente
la ripa e seco traggemi
la rapida corrente !
     Ma nata è l’alba... In sen l’onda placata
20m’accoglie e amica guidami
alla sponda bramata.

VI. p. 102: Abbiamo seguito l’edizione del 1792 e le precedenti ; nell’ediz. a cura del nepote è intitolata: In morte d’un ufficiale italiano ucciso in una battaglia contro i francesi; ma il titolo è errato, poiché il Fantoni aveva scritto non «contro i francesi», ma «contro i tedeschi». Suona così:

     Consegna, o figlio della Piave, un’anima

all’auree corde del sonante Pindaro,
emulatrice dell’achea magnanima
  prole di Tindaro.
     5Mira quel sangue... Noi versò di un soglio
schiavo nodrito all’avvilita gloria,
ma eroe, cui rise il meritato orgoglio
  della vittoria.
     Questa è la pietra dove cadde, nobile
10vittima, in campo, del furor vandalico,
non sé piangendo, ma il tradito e mobile
  destino italico.
     D’amico pianto tu la bagna, e sciolgano
gl’itali bardi la canzon di doglia,
15e d’aurea luce nella tomba avvolgano
  la fredda spoglia.
     Fu duce, amico, cittadino, docile
alla pietade, nei consigli stabile,
nei vari casi della sorte indocile
  20imperturbabile.

Quel nome incidi, onde virtude infondere,

Fama, che desti all’uom celeste origine:
l’etá piú tarde noi potranno ascondere
  nella caligine.

XII. p. 107: Seguiamo l’edizione del 1792 e le precedenti. Nell’ediz. del nepote è dedicata allo stesso personaggio, ma «per il giorno natalizio di Giorgio Washington», e, tra altre di minore importanza, ha queste varianti ai versi 9-11:

Con fausto augurio l’oppressa America

vide il suo Fabio. Le tazze donami,
t’affretta a schiudermi quelle bottiglie...

XIV. p. 110: Nell’ediz. del nepote è intitolata A Bartolomeo Boccardi, in morte di Bianca Boccardi, sua madre, con queste varianti:

v. 4: Qui nell’orrore taciturno ascosa;

v. 6: una madre riposa;
vv. 7-9: madre di cui l’egual richiede invano
la fama incorruttibile
tra le figlie di Giano;
vv. 13-15: Indarno speri impietosir la Sorte,
e indarno tenti frangere
i decreti di Morte;
v. 17: cessa per lei di piangere.

XX. p. 118: Abbiamo seguito l’ediz. del nepote, nella quale si trovano le correzioni fattevi nel 1796 dall’autore. NelPed. del 1792 quest’ode ha soltanto le prime quattro strofe, con queste varianti:

vv. 2-4: saggio, Lampredi, insidie altrui non pavé,

per sua difesa di saette e d’arco
d’uopo non ave;
vv. 14-16: i freddi giorni son di luce privi,
Fille ridente canterò dai neri
occhi lascivi.

XXXIV. p. 133: Fu da prima diretta al Cardinal Garampi con queste varianti:

vv. 18-20: per gli ampi spazi del creato, mostrasi

in questi un Dio, de’ fragili mortali
padre e custode, egli l’adora e prostrasi;

vv. 41-51:   Saggio Garampi, che del vero al fonte

disseti il labbro, né di merto povero
dall’Ostro il merchi e sul Faliseo monte
porgi alle muse e alla virtú ricovero,
  se scritto è in ciel che tu sostenga il pondo
dell’auree chiavi del supremo tempio,
e la pace d’Augusto e i dotti al mondo
giorni tu renda sul mediceo esempio,
  quanta il destin gloria ti serba! Immensa
bontá d’un Dio, tu dall’eterno spazio,
propizia ascolta i voti miei, compensa...

XXXVI. p. 138: Nell’ediz. del nepote non si legge l’ultima strofe, che, però, è riferita in nota.

XXXVIII. p. 141: L’abbiamo ristampata quale fu scritta nel 1791, in occasione dell’avvenimento al trono di Toscana del granduca Ferdinando III. Nell’ed. del nepote mancano affatto i versi 25-36, e si hanno inoltre queste varianti:

vv. 39-40: ignoto all’atra invidia

della social perfidia;
v. 38: del cuor, gli amici, l’onore, il vergine...

XL. p. 145: Nel 1791 era stata diretta a don Antonio di Gennaro duca di Belforte e, per testimonianza del nepote (I, 343-45), leggevasi nel ms. con queste varianti:

v. 2: Belforte, ascolta, ecc. ecc.;

vv. 13-15: Dallo scosceso Taigeta scendono
gli eguali agli avi spartani intrepidi,
Grecia si desta, ecc. ecc...;
vv. 21-24:   Grandeggia Sparta, Tebe rinnovasi,
Alfea risorge, Corinto il bimare,
Larissa, Argo, Micene
e la cecropia Atene;
vv. 25-28:   mancano;
vv. 29-31:   Salve, dell’arti madre palladia,
giá i dissepolti licei t’additano,
gli archi e le tombe gravi...;
vv. 33-34:   Tornan gl’illustri giorni di Pericle,
ma ricchi d’opre guerriere e libere;


vv. 37-40:   mancano;

vv. 41-42:   O troppo bella cognata Esperia,
di te che fía? gli anni rinascono..

.

XLIII. p. 150: Fu da prima diretta Al Linneo francese Lebrun, e «fu scritta nel 1792, dopo l’accaduta controrivoluzione di Bastia».

XLV. p. 155: Si riscontrano le seguenti varianti:

V. 25:+ Qui la pietade é un nome: v. 40:+ religione e sofia, ecc.; vv. 49 - 50:+ dei regi i sacri annali ferrei non macchieranno editti spurii; v. 56:+ il vizio... Eh! cessa, umanitá, di piangere

SCHERZI

IV. p. 183: Abbiamo seguito l’edizione del 1792, introducendovi poche varianti, per le quali si veda la Nota bibliografica, in appendice. Nell’ed. del nepote la poesia si legge quasi in tutto identica, meno le varianti di cui sopra e i versi 20-34, che sono sostituiti da questi:

  Non fía meco, è ver, del plettro

venosin Godard erede,
o il profondo Buonafede
dal robusto imaginar;
  non colui che, a Parma in riva,
del pastor di Siracusa
tosco fe’ parlar la musa,
l’instancabile Paguin;
  non il candido Cerati,
o il mio Pizzi, emulatore
della grazia e del colore
del romano Lorenzin.
  Non Ceruti, al grand’Omero
donator d’itale forme,
del cui stile unqua non dorme
di Pelide il buon cantor;



  e non quel che in Pindo incise

celto nome ed opre ignote,
sul cui capo l’ampie scuote
ali un genio creator.
  Lungi son; vedrai soltanto
Balbi e avrá Cattaneo a lato,
e di Rolli, ecc. ecc.

Il nipote fa precedere a questa anacreontica la dedica seguente: «A Paimiro Cidonio — marchese Girolamo Pallavicini di Genova — presidente dell’accademia ligustica — di belle lettere — in risposta ad una canzone — in cui si scusava con l’autore di non poter—compor versi, occupatissimo in affari politici —della repubblica».

VII; 2. p. 192:

v. 48: la turba rispettosa.

VII; 3. p. 196:

v. 40: le corna insidiose.

IX. p. 209: Per testimonianza del nepote (III, 96) si trova tra i mss. del poeta quest’ode in una copia indirizzata Al suo amico e maestro ab. Luigi Godard . nella quale si hanno queste varianti:

v. 7: Il quinto lustro ancora;

vv. 10-12:   Deh! su l’april degli anni
deh! non troncare i vanni
de’ miei fuggenti di;
v. 36: l’onore e l’amistá
v. 81: Godard, il sacro aitar;
vv. 85-86: e dall’eolia cetra
spinger, te duce, all’etra...

XXXVII. p. 277:

v. 6: di ragionar con te;

vv. 37-39:   Di sacro vate i candidi
voti giammai la figlia
di Giano disprezzò;
vv. 49-51:   Ghibellin sangue scorremi
a richiamar sollecito
l’ire tacenti al cor.

IDILLI

I. p. 301: Abbiam seguito l’ediz. del 1792, meno per gli ultimi tre versi della prima sestina, che in quella si leggono cosi:

 Forma limpido lago argenteo fonte

che di un scoglio, ove mormora lascivo
sdegna la sponda, e si converte in rivo.
3a sest.:   Varca ogn’intoppo e romorosa balza
dagli erti massi in un burron profondo,
fuggendo un sasso che protervo s’alza,
d’edera cinto, dall’algoso fondo,
ivi si stende in vitreo lago e inonda
l’opposta grotta e la vicina sponda.
7a sest.:   manca.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.