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Giovanni Pontano - Poesie scelte (1874)
Traduzione dal latino di Pietro Ardito (1874)
Venere e Amore
XXV Poesie scelte (Pontano)

Venere ed Amore.


Non lagrimar nè turgidi
Farti gli occhietti, o caro,
Non provocarmi a piangere
Col tuo pïanto amaro.4

Me lassa! quali gemiti?
Deh la tua madre abbraccia!
Mi scalda il collo e posati
Stanco tra le mie braccia,8

Caro, qual duol le lagrime
Ti desta e dov’è l’arco?
Ahi! che di frecce vedesi
Tutto il turcasso scarco.12


Dimmelo, su, nè rompere
Ora in singhiozzi e lai:
Quali, quai fur le insidie,
Di chi l’inganno mai?16

— Oh madre mia, perdonami,
Licori in sua baldanza
Non vuol le frecce rendermi
Ch’ebbe da me a prestanza.20

Ella sta l’arco a tendere
E le saette stringe;
Ella i miei dardi celere
Con forte mano spinge.24

— Deh frena il pianto e mitiga,
O figlio, il dispiacere!
Farò che presto tornino
Le frecce in tuo potere.28


Togli quest’aura, e spirala
Negli occhi di Licori,
E le sue gote imporpora
Degli Acidalii umori.32

Poi di’ che l’arco tendano
Le gote ed i suoi sguardi,
E che a scoccare provisi
Con lor gli acuti dardi.36

L’armi a te renda, e l’aura
Che tu le spirerai,
Le sia faretra, e sieno
Dardi i vivaci rai1.40

  1. Dal libro Eridani.

De Venere et Amore.


Ne fle, ne mihi chare oculos corrumpe, tuisque
Desine de lacrymis sollicitare meas.



Me miseram, qui singultus? complectere matrem,
Colla fove, inque meo, fesse, quiesce sinu.



Belle puer, quinam lacrymas dolor excit? ubi arcus?
Ah miseram, in pharetra spicula nulla manent.



Dic agedum, neu singulti, neu pectora rumpe:
Quae rogo? quae insidiae? cuius et iste dolus?



Heu mater nato indulgens, mihi Deianilla
Mutua quae dederam, reddere tela negat.



Haec arcum tenditque manu, stringitque sagittas,
Ipsa gravi dextra spicula nostra iacit.



Singultus age coge puer, lacrymasque coërce,
Spicula quo redeant sub tua iura, dabo.



Hanc auram cape, nate, oculos hac Deianillae
Affla, et Acidalio tinge liquore genas.



Deque oculis, deque ipsa genis dic tendat ut arcum,
Deque oculis iaciat spicula, deque genis.



Arma tibi puero reddat: sit et aura vel arcus,
Vel pharetra, ast ipsi spicula sint oculi.




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