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XXXVII
AI SIGNOR FRANCESCO DI CASTRO.
Poichè l’ingegno uman feroce e duro,
Tutto rivolto agli altrui danni, e scorni,
Converse in terra de’ Saturnii giorni
Il bell’ôr fiammeggiante in ferro oscuro;
5Turbaro nembi il ciel sereno, e sorse
Schiera di febbri a nostro scampo infesta,
Nè pur sotto Orion cruda tempesta
I larghi campi di Nettun trascorse,
Navi affondando; ma di fiamma inferna
10Nuova Etna vomitò Chimera ardente;
E crescendo fra piaghe aspro serpente,
Ingombrò di terror gli antri di Lerna.
Taccio di Creta ne’ Dedalei chiostri
Il Minotauro, o miserabil mondo,
15Se a pro di lui non si spingeano al fondo
Per forti destre i formidabil mostri.
Ben all’anime eccelse inni festosi
Sacrò la gente, e loro sculse acciari,
E ben a gran ragion gli astri più chiari
20Ornò col pregio degli Eroi famosi.
Che se virtù de’ suoi fedeli i petti
Forte eccitando a sommi rischi espone,
Giusto è, che non indarno auree corone;
Di bella gloria a lor conforto aspetti.
25Dolcissimo ad udir: nè tempro invano
La cara cetra, ed oggi teco il dico;
Che benchè io parli del buon tempo antico,
Da te, Francesco, io non men vo lontano.
Tu de’ nobili Regni, onde si bea
30Napoli altera, già reggesti il freno,
Ed a ben farla fortunata appieno,
In saldo seggio vi fermasti Astrea.
Sotto l’inclito scettro umil fortuna
Timor non ebbe di superbo orgoglio;
35Nè Cerere sofferse in fier cordoglio
Rimirar di sue spiche alma digiuna.
Or caro al grande, ne’ cui regni il giorno
Agli occhi s’apre de’ mortali, e chiude,
Fermo sul Tebro, di tua gran virtude
40I rai lucenti fai volare intorno.
Che i Mori assaglia, o che il Monarca Ibero
Guerra destini all’implacabil Trace,
Non ti si cela, e sull’amabil pace
In tua fè si depone il suo pensiero.
45Quinci racconti i desiderj regi
Al Vaticano, e ad ognor t’affanni,
Acciocchè il nostro acciar di torbidi anni.
Dell’oro antico si riduca a i pregi,
Chi tenta ciò speri d’Alcide il vanto,
50Vegghiar, sudar nelle sublimi imprese,
Chiudere il varco alle temute offese,
Son le prove di Lerna, e d’Erimanto.