< Postuma
Questo testo è stato riletto e controllato.
LXIV
LXIII LXV



LXIV.


DOPO LE NOZZE


Iam pulcra quidem Diana,
Iam Pleiades occiderunt,
Iam nox media est et hora
Iam praeterit: ipsa vero
Ah! sola cubo misella!
Sapho: Fragm. apud
Ephest.


 
D

EL tuo fiume regal sulla fiorente
Riva natia, te bionda ed innocente
             3E bella un dì mirai
Seguir bambina le farfalle al volo,
Ed io fanciullo disamato e solo
             6Quel giorno t’invidiai.


Ma ti rividi. Alle bugiarde feste
    Pensierosa salivi e fra le teste
             9Chinate a te dintorno
    Forse una fronte amica invan cercavi
    E libero sol io fra tanti schiavi
             12Ti compiansi quel giorno.

Quando invocata dagli amanti, in cielo
    Spiega la notte l’ingemmato velo,
             15Quando per ogni cosa
    Un alito d’amor tepido vola,
    Nel talamo regal forse tu sola
             18Piangi negletta sposa.

Deh, quante volte forse, ignudo il petto,
    Tu ti levasti sul tradito letto
             21E l’orecchio tendendo
    Ai notturni rumor – viene! – dicesti
    ― Ecco il suo passo! ― e sola ricadesti
             24Sull’origlier piangendo!

Deh, quante volte forse alla stagione
    In che sboccian le rose, al tuo balcone
             27Vegliasti palpitando;
    E la luna splendea come d’argento
    E nella selva sussurrava il vento
             30Tra le fronde aleggiando.


Teco forse pensavi: ― oh se potessi
    Tra l’ombre anch’io vagar di quei recessi,
             33Al braccio d’un amante!
    Su quei fiori posar, presso quell’onde
    E sentirmi baciar le treccie bionde
             36Da una bocca tremante!

Deh, perchè lieta d’un natal modesto
    Disposata non fui lunge da questo
             39Talamo lacrimato
    Dove ignota è d’amor la gioia pura,
    Dove il bacio si pesa e si misura
             42Colla ragion di stato!

T’amaron tutti un dì, fior del mio nome,
    Ma del fiore che ier ci ornò le chiome
             45Oggi chi si sovviene?
    Povero fior che porti il nome mio,
    Non senti tu venir l’estate? Anch’io
             48Sento l’odio che viene. ―

Invan piangendo amor che t’abbandona
    Sotto il peso fatal della corona
             51Pieghi la fronte bianca,
    Qual margherita che nel maggio ardente
    China il pallido fior chiuso, morente,
             54Poichè l’umor gli manca.


A’ tuoi servi pietà domandi invano:
    Te calunnia ghignando il cortigiano,
             57Te copre il vil di fango;
    Sol io che libertà difendo e bramo,
    Sposa e figlia di re t’odio, non t’amo,
             60Ma donna ti compiango.




Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.