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L’OLIVETA E L’ORTO
E come li amo que’ miei quattro olivi,
che al potatoio (sono morinelli)
3gridano ogni anno: ― Buon per te, se arrivi! ―
Nonno di nonno li piantò; ma quelli
buttano ancor la mignola, mentr’esso
6da un po’ non sente cinguettar gli uccelli!
E ne vengono, sì, sopra il cipresso
là, verso sera! Ed esso è là; ma sento
9che verso sera è qui con noi, qui presso.
Tra lusco e brusco, egli entra lento lento,
venendo bianco dalla vita eterna,
12e versa l’olio con un viso attento.
È lui, che il nostro lume anco governa
con que’ suoi vecchi olivi: e quando l’Ave—
maria 15rintocca, e splende la lucerna,
― Filate, o donne, ― mormora ― da brave! ―
E come l’amo il mio cantuccio d’orto,
col suo radicchio che convien ch’io tagli
19via via; che appena morto, ecco è risorto:
o primavera! con quel verde d’agli,
coi papaveri rossi, la cui testa
22suona coi chicchi, simile a sonagli;
con le cipolle di cui fo la resta
per San Giovanni; con lo spigo buono,
25che sa di bianco e rende odor di festa;
coi riccioluti cavoli, che sono
neri, ma buoni; e quelle mie viole
28gialle, ch’hanno un odore... come il suono
dei vespri, dopo mezzogiorno, al sole
nuovo d’Aprile; ed alto, co’ suoi capi
31rotondi, d’oro, il grande girasole
ch’è sempre pieno del ronzìo dell’api!
E amo tutto: i vetrici ed i salci,
che ripulisco ogni anno d’ogni vetta
35per farne i torchi da legare i tralci;
quella fila di gattici soletta,
alta e lunga, su cui cantano i chiù;
38il canneto che stride e che scoppietta:
ma non sapete quello ch’amo più.