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Primi studi dell’ingegnere Tomaso Meduna di Venezia, intorno al Progetto di un Ponte sulla veneta laguna ad uso della strada ferrata tra Venezia e Milano.

Questo valente ingegnere ha voluto parteciparci alcuni suoi pensieri su un oggetto di sommo interesse per il paese e per l’arte; e noi non tardiamo a presentarli al publico.

La prodigiosa rapidità della corsa che costituisce il principale vantaggio delle strade ferrate verrebbe in gran parte resa frustranea, se la strada dovesse far capo allo squallido e deserto margine della laguna. Nel tragitto, comunque breve, il tumultuario cangiamento dei veicoli, la tardità del remeggio, il pericolo dei venti e delle burrasche e dei ghiacci galleggianti talora arresterebbero i timidi passaggieri e sempre poi li tratterrebbero inutilmente. Il progetto di un Ponte sulla laguna sorto già da altre considerazioni di publica utilità, sarebbe adunque un necessario complemento della strada ferrata.

È noto che la laguna in mezzo a cui siede Venezia è un lago salso di poca profondità, il cui letto è attraversato da alcuni solchi più profondi i quali si chiamano canali, perchè porgono passaggio alle barche e danno sfogo alle acque dei fiumi e al corso del flusso e riflusso marino. Nella uniforme vastità della laguna codesti canali sono contrassegnati da masse di pali che piantati a certi intervalli guidano il navigante. I canali più angusti e tortuosi che si diramano in mezzo ai guadi, si chiamano ghebbi, e sono frequentati soltanto da pescatori e ostregheri. Tutte queste ramificazioni sono come arterie e vene delle quali è cuore il mare. Quei tratti di fondo che rimangono scoperti soltanto nella più bassa marea ricevono il nome di paludo; quei dorsi più elevati che solo nelle più alte maree vengono sommersi si chiamano barene. Queste sono formate d’un terreno nerastro prodotto in gran parte dalla decomposizione di corpi organici. I paludi sono coperti d’un cedevole strato fangoso, deposto già dalle torbide de’ fiumi tributarj della laguna in epoca posteriore alla formazione delle prime. Più sotto giace uno strato d’argilla, talora pura, talora mista alla sabbia; sotto all’argilla giace uno strato di caranto, materia di consistenza petrosa che alcuni chiamano tufo arenario; più sotto ancora si accumula la sabbia. È naturale che nella potenza e giacitura di questi strati vi siano alcune varietà. Su questo fondo riposa Venezia non con altra sede che con un sistema di palafitte di quercia o di larice sopra le quali è steso un tavolato; tale è la base di quelle moli marmoree di cui l’Europa stupisce.

Due sono i luoghi in terra ferma dai quali si suole far tragitto a Venezia, cioè il popoloso borgo di Mestre che è l’emporio terrestre di Venezia, ed il piccolo villaggio di Fusina. E varie sono le linee che si potrebbero seguire; sull’utilità delle quali vuolsi instituire accurato confronto.

La prima linea partendo da Mestre raderebbe il forte di Malghera dal lato di mezzodì, e scorrendo parallelamente al canale di S. Secondo che forma la consueta via delle barche tra Mestre e Venezia, giungerebbe alla città presso S. Giobbe in luogo assai spazioso e in quartiere assai popolato e trafficante, posto fra lo sbocco del Canal grande e del Canal regio che formano le principali vie interne di Venezia. Questa linea dall’una all’altra sponda della laguna misurerebbe metri 3165; e in tutto il suo corso avrebbe solamente ad attraversare su una lunghezza di metri 44 il canale Colombola che fa orlo alla città ed è profondo fra metri 2 1/2 e metri 3. In tutto il rimanente scorrerebbe su un continuo fondo di paludo; il quale forma quasi un parti-acqua che devia la marea pei due gran canali di S. Secondo e delle Tresse, cosicchè tanto nel flusso quanto nel riflusso il moto delle acque vi rimane eliso.

La seconda linea si traccerebbe alterando lievemente la prima, cioè facendo capo alla Sacca di S. Lucia. Ma la lunghezza riescirebbe di metri 3285 ossia di metri 120 più della prima, mentre non prometterebbe alcun maggiore vantaggio.

La terza linea partendo da Mestre passerebbe a settentrione del forte di Malghera e del canale di S. Secondo e giungerebbe alle Penitenti in luogo poco lontano dalle altre due. Questa linea sarebbe ancor più lunga; cioè metri 3300, ossia 135 più della prima. E il canal Colombola non solo si presenterebbe in una sezione obliqua di 130 metri di larghezza, ma in una profondità di metri 7,50. Perlochè si avrebbero tre elementi di maggior dispendio e difficoltà.

La quarta linea, proposta da alcuni correrebbe da Fusina a Santa Marta. E sarebbe più lunga ancora giacchè giungerebbe a metri 3500. Inoltre avrebbe a varcare alcuni larghi canali, cioè Scomensera, Buranei, Donena e dei Burchi, nonchè un ghebbo; e non si potrebbe evitare la costruzione di un ponte levatoio per dar libero passo ai navigli. Il capo del ponte riescirebbe nella più miserabile e squallida parte della città, coll’unico vantaggio di un facile approdo pel canale della Giudecca.

La quinta linea da Fusina a San Giorgio Maggiore sarebbe la più bella ad un tempo, e la più lunga, difficile e dispendiosa. Il solo tragitto della laguna sarebbe già di metri 4880, cioè una metà di più della prima linea. Giunto poi il ponte a toccar Venezia nelle rimota estremità occidentale dell’isola della Giudecca, dovrebbe ancora percorrere tutto il lembo meridionale di quell’isola attraversando orti e giardini e canali per la lunghezza d’altri metri 2020. Poi dovrebbe varcare il profondo canale di S. Giorgio, largo metri 85; e con ciò i passeggieri si troverebbero nell’isola di S. Giorgio Maggiore, divisi ancora dal corpo della città per l’ampio canale di S. Marco largo 300 metri, il cui tragitto in certi momenti non è nè breve, nè piacevole, nè sicuro. Vero è però che lo spettacolo quivi sarebbe propriamente incantevole e stupendo. Nessuna città del mondo può offrire ad un tratto all’attonito sguardo una più bella corona di splendidi edificj, e monumenti di tanti secoli e di tante mirabili vicende. E se si trattasse d’un’opera destinata a ostentazione di publica magnificenza, nessun pensiero potrebbe meglio rispondere all’intento.

Ma non solo il ponte della laguna sarebbe in questa linea lungo una metà di più che nella prima; non solo l’intera costruzione per la laguna, la Giudecca e S. Giorgio sommerebbe a metri 6985, cioè al doppio della prima linea; ma verrebbe condotta obliquamente attraverso ai larghi e profondi canali Contorta, Vecchio e Nuovo con maggiore difficoltà o maggior pericolo. Altri ponti sarebbero a farsi sui minori canali che frastagliano la Giudecca, e inoltre si dovrebbe gettare sul canale di S. Giorgio un immenso ponte levatoio, il quale per lasciar libero il passo alle numerose barche veliere dovrebbe essere in continuo movimento.

Paragonate fra loro le cinque linee, non è dubbio che la brevità, facilità ed opportunità dell’opera non faccia preferire la prima; quella cioè che da Mestre si dirige a San Giobbe, concedendo pur sempre all’ultima il vanto di una bellezza incomparabile.

La più speciosa objezione che si potrebbe fare alla linea di Mestre si è che Venezia, Fusina e Padova si trovano su una linea retta, mentre passando per Mestre la retta si spezza e forma un angolo assai pronunciato. Ora la linea retta è la più breve di tutte.

Si può rispondere con molte ragioni le quali avevamo raccolte da qualche tempo e servirebbero di complemento alle osservazioni sensatissime proposte dal lodato ingegnere.

I.° La linea di Mestre, varcata la laguna, tocca Venezia al principio del Canal Grande ossia alla sua estremità occidentale; mentre quella di Fusina dopo aver varcata la laguna costeggia tutta la lunghezza della città e con un vasto arco di cerchio va a raggiungere il Canal Grande all’opposta estremità. L’aggiunta di questo tratto compensa ampiamente l’angolo di Mestre, cosicchè da Padova per Mestre a S. Giobbe la strada resterebbe qualche centinaio di metri meno lunga che da Padova per Fusina a S. Giorgio Maggiore.

2.° La linea di Mestre incontra un sol canale nella laguna, come si è veduto, e sei canali o fiumi in terra ferma cioè la Brentella, il Canal Bottenigo due volte, il Canal di Mirano, quello di Peraga e la Brenta. La linea di Fusina ne incontra cinque nella città di Venezia, cioè S. Giorgio, la Croce, Pontelungo, Pontepiccolo e S.Eufemia; cinque nella laguna, cioè San Biagio, Contorto, Vecchio, Cappello e Nuovo, e quattro in terra ferma cioè la Brenta, il Taglio Novissimo, il Brentone, il Piòvego. La linea di Mestre ne ha dunque 7 e la linea di Fusina ne ha 14.

3.° La linea di Fusina corre attraverso le ville e i giardini della Brenta, dimodochè o dovrà costare assai per l’acquisto dei terreni o per evitarli dovrà deviare e quindi prolungarsi. È difficile senza passare e ripassare la Brenta di evitare il recinto di Strà. Al contrario la linea di Mestre corre nella maggior parte per terreni ordinarj che non hanno valor d’affezione.

4.° La linea di Mestre comprende questo popoloso borgo di 6000 abitanti il cui traffico è vivo e giornaliero e trasmette a Venezia gran parte delle sue sussistenze. Ivi si accentrano tutte le strade di terra ferma e fanno deposito tutte le vetture e i carreggi. I Mestrini vanno e vengono continuamente a Venezia; dove rendono varj servigi domestici alla cittadinanza e fanno quasi una vita anfibia tra la terra ferma e la laguna. Ora sulle strade ferrate del Belgio e dell’Inghilterra si è trovato che il continuo passaggio di persone di siffatta classe a minimo prezzo dà molto lucro. Sulla strada tra Brusselles e Malines i primi posti pagavano 50 soldi di Francia, gli ultimi pagavano 10 soldi ossia circa un soldo per miglio; ma furono tanto più numerosi delle altre classi che l’introito medio, ossia l’introito totale diviso pel numero dei viaggiatori d’ogni classe, fu di 13 soldi. Mestre servirebbe di tragitto tra Venezia e tutta la terra ferma, mentre Fusina non servirebbe che ad alcune provincie.

5.° La linea di Fusina accrescerebbe l’affollamento delle merci e delle persone in un quartiere la cui floridezza è già di molto superiore al rimanente e che del resto non forma se non un’estremità di Venezia. La linea di Mestre infilando il Canal Grande animerebbe da un capo all’altro tutto il corpo della città, senza nuocere per questo al primario quartiere.

6.° Gli amatori del bello prospettico non mancano di considerare che appunto perchè la vista delle vicinanze di S. Marco è d’un incomparabile effetto, ella previene il viaggiatore e lo dispone a sentir meno la bellezza e la varietà sparsa negli innumerevoli palazzi di Canal Grande. E al contrario a chi entra da Mestre la vista prima del Canal Grande riesce pittoresca e mirabile, e l’effetto va gradatamente crescendo finchè oltrepassato il quartiere di Rialto si giunge in mezzo alle spaziose acque di San Marco, scena che reca sempre la stessa sorpresa da qualunque parte vi si giunga, perchè nessun’altra parte della città può raffrontarsi a quella.

Per passare ora alla costruzione del ponte, l’esimio ingegnere osservando che l’altezza deve corrispondere all’altezza degli argini che ricingono la laguna, trova che basterebbe stabilire il piano superiore del ponte a metri 2,50 sopra il livello della comune alta marea. A risparmio di spazio e di spesa converrebbe sul ponte appagarsi d’una sola rotaia; ma gioverebbe lasciare ad ambo i lati un margine pel passaggio dei pedoni, segregandolo dalla rotaia con una continua sbarra. Il ponte co’ suoi parapetti e laterali presidj avrebbe la larghezza di metri 8.

Una struttura di cui avesse più o meno parte il legname minorerebbe d’alquanto la prima spesa, ma ne crescerebbe di molto il carico perpetuo della manutenzione, e richiedendo non infrequenti restauri cagionerebbe interruzioni alle corse. Inoltre non si potrebbe del tutto evitare una qualunque vibrazione del sistema, la quale se anche non avesse a turbare la precisa connessione delle rotaie, riescirebbe molesta e sembrerebbe pericolosa ai passaggieri in tanta lunghezza e tanto isolamento nel mezzo d’uno spazio immenso che ha l’aspetto di un mare.

Un altro effetto della sterminata lunghezza del ponte sarebbe quello di dargli ad onta della convenevole sua larghezza l’apparenza di una estrema esilità. L’illusione ottica non lascerebbe vedere se non un’angusta zona coi lati convergenti quasi in una punta, e talvolta dalla rifrazione interrotta. Soggiungiamo che in tempi nebbiosi sembrerebbe ai passaggieri di correre a furia a precipitarsi nel mare. A dissipare questo illusorio ma sgradevole e terrifico senso e dar solidità e ornamento alla costruzione, l’ingegnere imaginò di suddividere tutta la tratta del ponte, frapponendovi a simmetrici intervalli piccole isolette a guisa di piazze, le quali colla sporgenza loro rompano l’uniformità della linea e diano riposo all’occhio ed allo spirito. Cinque basterebbero, e quella di mezzo si vorrebbe alquanto più spaziosa tanto che vi si potesse costruire un edificio bastevole a dar momentaneo ricovero a tutta la comitiva dei rotanti in caso di turbine o d’altra necessità. Questo asilo sarebbe ancor più necessario ai guardiani della strada ed ai pedoni i quali non potrebbero sottrarsi colla velocità della macchina locomotiva. Si aggiunga che nei giorni festivi sarebbe convegno sollazzevole alle brigate dei cittadini.

Durante la costruzione, le isolette renderebbero un altro notabile servigio. Per dare adito alle barche cariche di materiale, bisognerebbe incavare un canale entro il paludo; e la materia di siffatti scavi non si potrebbe più opportunamente smaltire che nel fondar codeste isolette sulle quali si stabilirebbero le officine e i ricoveri degli operai occupati alla opportuna riduzione dei materiali ed alla costruzione.

Nota l’esimio ingegnere che la corda e le freccie degli archi devono dipendere dal piano del ponte e dall’impostatura, e che nella dimensione delle pile si devono calcolare le azioni e reazioni; e che per dare una maggior fermezza bisogna ampliare la base delle pile ed elevarle a scarpa. La coincidenza della linea del ponte col divisorio delle acque più sopra accennato renderebbe forse inutile il munir di rostri le pile; perchè tenue il moto delle acque e pressochè nullo contro la testa delle pile. Quanto ai ghiacci che si formano sui paludi, essi per lo più non fanno che alzarsi ed abbassarsi secondo il flusso e riflusso marino. Soltanto presso i labbri dei canali se ne staccano alcuni pezzi e sollecitati dalla maggior corrente seguono quelli che vengono artificialmente rotti per mantenere la libera navigazione; ed allora avviene che guastino i pali di segnalamento. I soli spigoli delle pile potrebbero forse subir qualche detrimento; ad evitare il quale basterà di arrotondarli per quanto si estende la projezione della scarpa, incrostandoli di pietra; della quale gioverà rivestire le fronti dei muri di terrapieno ed il piede delle vôlte per quei tratti nei quali l’alterno contatto dell’acqua e dell’aria renderebbe insussistente la semplice struttura laterizia.

Quanto alla profondità delle fondamenta, si può considerare che i canali di navigazione dalla parte del ponte si scavano e si mantengono fino a metri 2,50 sotto la comune alta marea; «che a questa profondità havvi sempre uno strato convenevolmente compatto; e che questo limite corrisponde a un bel dipresso a quello che si stabilisce per la ricostruzione dei ponti in città. Cosicchè a questo punto si potrebbe determinare l’origine delle murature». Per condensare il terreno della base e toccare gli strati di maggior consistenza occorrerà un castello di legname con pali da metri 3,50 a metri 5 di lunghezza, sicchè il piede dei primi penetrasse fino a metri 6 sotto la comune alta marea ed a metri 7,50 quello dei secondi. Risulta poi dagli scavi che si fanno colla macchina a vite nei canali di grande navigazione verso i porti dell’estuario, che incontrasi talvolta il caranto prima di giungere alla profondità di metri 6 sotto la comune alta marea, e che allora la molta resistenza di quello strato impedisce il progresso del lavoro. Risulta inoltre che nella barena fra S. Giuliano e il forte di Malghera colle terebrazioni fatte dallo stesso signor Meduna il caranto si trovò a soli metri 1,25. Perlocchè se nel contiguo paludo fra S. Giuliano e Venezia si trovasse alla medesima od anche a doppia profondità, tornerebbe inutile la palafitta, e la costruzione diventerebbe oltremodo semplice e poco dispendiosa.

Queste sono le viste fondamentali su cui il lodato ingegnere sta meditando un regolare progetto di costruzione; ed è troppo manifesto che i suoi pensamenti non solo promettono una sensata e provida soluzione del quesito economico, ma eziandio una bell’opera d’arte e un monumento degno della città e della nazione. Si vede che qualunque sia l’impresa a chi si ponga mano, non si può temere che manchino operatori capaci di ridurla a condegno compimento.

Dott. C. Cattaneo.

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