< Primo maggio < Parte quinta
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Parte quinta - I
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Anche questa volta Alberto vide avverarsi la previsione dell’amico. Una nuova guerra scoppiò, e fu più aspra, ed ebbe ben altra fine che la prima.

Dopo quel malaugurato articolo, che era stato una risoluta e irreparabile dichiarazione di fede socialista, la signora Bianchini s’era mutata da capo, per effetto, più che altro, dei discorsi delle sue amiche e conoscenti, dalle voci che queste le riportavano. Per tutto dove andava, la interrogavano a quel proposito; e non eran censure, era un’incredulità simulata, un accennare alla cosa con mezze parole, come a una vergogna della famiglia, e guardandola con un’aria di pietà, come la moglie d’un uomo a cui carico circolasse una calunnia disonorante. Anche sul viso di persone sconosciute, nelle poche case dove andava, vedeva trapelare una compassione dalla serietà forzata del rispetto con certa curiosità derisoria, che la facevan arrossire. E se ne addolorò, e riprese in casa quell’atteggiamento di rassegnazione silenziosa, che era un suo modo di "dichiarare le ostilità".

Appena suo marito se n’accorse, la interpellò, a desinare.

Essa rispose schiettamente: quell’articolo era stato "eccessivo", aveva fatto cattiva impressione: glielo facevan capire da tutte le parti.

Alberto, presentendo in quelle poche parole una nuova e lunga serie di contrasti, fece un atto di scoraggiamento. Poi le domandò, con accento triste, come mai ella potesse ritornare a quei sentimenti, dopo avergli promesso di non più attraversargli la strada, dopo aver mostrato di comprendere e quasi d’accettare le sue idee.

- Ma -rispose Giulia, guardandosi nella palma della mano - io intendevo di acconsentire, fino a un certo punto, alle idee; ma non... a manifestazioni pubbliche, che ti possono fare del danno.

- Ma non trovi logico... anzi, non ti pare uno stretto dovere di fare dei sacrifici, di esporsi a dei pericoli per una causa che si crede giusta?

Essa tacque un momento; poi, sguisciandogli di mano col suo solito artifizio femminino, gli oppose l’argomento solito: - Ma allora, per esser logico, dovresti fare alla causa il massimo dei sacrifici: dovresti dare tutto il tuo avere e ridurti povero. - E soggiunse timidamente, con un sorriso: - Perché non lo fai?

Alberto si morse le labbra; ma rispose con dolcezza. - Prima di tutto -, disse, - perché non sono un eroe, ed è ingiusto, è illogico il pretendere che tutti quelli che credono giusta e santa una causa, provino la loro fede con un atto eroico, che è una eccezione nella natura umana; e poi perché non debbo, non posso impoverir me senza impoverir te pure, che non vuoi, e senza impoverire il ragazzo, del cui avvenire non ho diritto di disporre a mio modo. Ma se fossi solo -, soggiunse alzando il capo e impallidendo leggermente, - darei tutto quello che non m’è strettamente necessario alla vita, tutto, capisci? e vivrei, mi nutrirei come un operaio.

Sua moglie sorrise e mormorò: - Son cose che si dicono...

Alberto fece un gesto.

- Tu lo dici sinceramente -, s’affrettò ad aggiungere la signora, e per indurre anche lui a prender la cosa in faceto, riprese sorridendo: - Però, non conti la forza dell’abitudine. Sei troppo bene abituato. Al secondo giorno ordineresti alla cuoca di rifare i tuoi piatti soliti.

A quelle parole anche il ragazzo sorrise.

Alberto si sentì ferito a sangue nell’orgoglio, e non rifiatò; ma s’afferrò subito, con tutte le sue forze, all’idea che gli s’era presentata altre volte, della necessità logica, in chi professava le sue idee, di rinunziare al superfluo, d’imporsi un tenore di vita semplice e austero, di farne dei piccoli sacrifizi ogni giorno per preparare l’animo a fare dei grandi al bisogno; poiché tutte le incertezze, tutte le viltà manifeste o segrete che fan tentennare il "signore" convertito alla causa socialista, gli vengono dalla consuetudine degli agi della vita e dal timore di perderli. E, sull’atto, prese una risoluzione irremovibile. Altri l’avevan presa prima di lui, e mantenuta con fermezza mirabile: Demetrio Lisogub, ricchissimo, che s’era ridotto a vivere come il più povero dei suoi fattori di campagna, il Rakmetof, il principe Rimski Korsakoff, che si nutrivano del più rozzo pane dei contadini. Avrebbe provato anche lui d’essere un uomo di quella tempra e dato un’idea del disprezzo in cui teneva i privilegi della fortuna. E fermando in fondo all’anima questo proposito, si sentì una forza immensa, la coscienza della necessità assoluta di fare ciò che faceva, come un dovere d’onore. Mai più, mai più nella vita egli doveva riveder quel sorriso sulle labbra di sua moglie e di suo figlio.

E cominciò il giorno dopo.

Quando sua moglie, vedendolo rifiutare ogni cibo dopo il pane e la minestra, inquieta, gliene chiese il perché, Alberto glielo disse semplicemente, con un accento, in cui non si sentiva ombra di risentimento, ma una tranquilla risoluzione.

Essa lo guardò un momento, stupita e incredula; poi s’alzò da tavola, gli andò a mettere un braccio intorno al collo e gli disse con voce di pietà affettuosa, come a un bambino: - Andiamo, Alberto... tu non puoi far questo, non lo devi fare,... non è ragionevole. E poi... mi faresti troppa pena.

Alberto le rispose con dolcezza, ma fermo: - Se io m’imponessi questa penitenza per religione, non ti parrebbe mica irragionevole. Ebbene, è la stessa cosa. Lo faccio per la mia religione.

La signora tornò al suo posto, scotendo il capo, e finì di desinare in silenzio.

Egli continuò i giorni seguenti, e non valsero a farlo desistere le preghiere di lei, neppure nelle loro più dolci espansioni. Ma per quanto egli facesse per mantener l’allegria, i desinari eran tristi; la mensa era come divisa in due, era quasi un principio di separazione fra di loro. Il ragazzo, maravigliato, guardava ogni tanto suo padre e il piatto vuoto, quasi vergognandosi di mangiare, senza ben capire il perché di quel digiuno; e la signora, qualche volta, si asciugava di nascosto una lacrima, o guardava suo marito con affanno, sospettando di nuovo d’un’alienazione mentale, pensando che quella non fosse che la prima d’una serie di stranezze, in cui egli sarebbe caduto, sempre più gravi. Infine, riconosciuto inutile ogni suo sforzo, sapendo quanto fosse affezionata sua madre ad Alberto, ricorse a lei, perché vedesse di persuaderlo.

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