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Alberto persisté nel suo proposito, estendendolo a tutte le altre superfluità della vita, e risentendone un effetto inaspettato di chiarezza intellettuale, di forza di volontà, di indifferenza dell’animo al pensiero d’una possibile povertà futura e di più intima comunione dello spirito con le classi inferiori; da cui gli veniva una sicurezza di sé, una serenità di coscienza straordinaria. E sua moglie si rassegnò al suo nuovo modo di vivere, non serbando che un velo di mestizia, un senso di pietà quasi materna per lui, che la distolse per un po’ di tempo da ogni contraddizione.

Ma un giorno rinacquero i guai. Essa riseppe da suo padre dell’ammonizione del Provveditore, e, tornata a casa mentre il marito era fuori, lesse sul suo tavolino una pagina del suo nuovo libro, che le parve d’un’arditezza insensata. Era già commossa da una sfuriata minacciosa del padre: si spaventò e si sdegnò essa pure. E quando Alberto rientrò, gli rivolse la parola, con un tuono di severità che egli non aveva mai inteso.

- Non m’avevi detto nulla. Sei stato ammonito dal Provveditore. Sei minacciato di sospensione dalla cattedra.

- Ebbene? - domandò Alberto.

- E dopo una minaccia simile -, continuò la signora, indicandogli il foglio che aveva letto, - scrivi delle pagine come questa?

- Sì -, rispose Alberto - e con la coscienza perfettamente tranquilla.

- Ma è impossibile! Tu giochi la tua posizione! Tu vuoi la rovina della tua famiglia!

Alberto non rispose. Essa prese a passeggiare concitata per la stanza, ed egli la guardò, con un sorriso amaro. Come rivelavano tutta l’anima della "borghese" quelle sue ultime parole: il concetto enorme dell’Autorità, il terrore del discredito ufficiale, della perdita della "posizione", che è lo scopo della vita, più preziosa dell’onore, e a cui si dovrebbe sacrificar tutto, anche l’onore! E capì a volo che la notizia dell’ammonimento era venuta a lei dal suocero, e a questo dal Geri, e al Geri dal figliuolo, poiché il fatto era trapelato nella scuola; e nella fiammata d’odio che sentì per il suo nemico mascherato, ebbe la lucida previsione d’un giorno in cui si sarebbero trovati l’uno in faccia all’altro con una pistola nel pugno.

- Non hai nulla da dirmi? - gli domandò sua moglie.

- Nulla -, rispose.

Quella stropicciò un momento il fazzoletto fra le mani e poi se n’andò, asciugandosi gli occhi.

Ma questa volta era così persuasa ch’egli corresse alla rovina e che fosse suo assoluto dovere di salvarlo a qualunque costo, anche rendendogli per qualche tempo amara la vita, che attaccò la lotta e la sostenne con una ostinazione non mai mostrata fino allora. Ricominciarono le discussioni secche, cento volte troncate e riprese, i lunghi silenzi tristi, le collere strozzate dell’uno, le lacrime nascoste dell’altra, e l’alternarsi faticoso delle preghiere e dei ragionamenti inutili, e tutto quel disordine e stridore ingrato di cose che produce la discordia in una famiglia, come in una macchina rotta. La discordia prese un tale carattere e si prolungò a segno che, anche senza l’ultimo servizio d’informazione che facevan fuori la cuoca e la cameriera, parteggianti l’una per il padrone socialista, l’altra per la signora "aristocratica", i vicini se ne sarebbero accorti da molti chiarissimi indizi; poiché le famiglie non riescono a celare la guerra più che la carestia. E il primo ad accorgersi e ad accertarsi della cosa fu il Geri, il quale, vedendo avverate le sue previsioni e aperto finalmente uno spiraglio alle sue speranze, si riaccese tanto più nell’antica passione, in cui il desiderio sensuale della donna e l’odio vendicativo pel marito formavano come due fiamme confuse in una. Il sorriso con cui lo salutava la signora, incontrandolo per le scale o per la strada, per dissimulare il suo stato d’animo, pareva a lui il sorriso della donna che, infelice in casa propria, si rallegra alla vista d’un viso d’amico, che par che la comprenda e le offra una consolazione; e alla timidezza impacciata che essa mostrava sotto il suo sguardo vivo e insistente le poche volte che si scambiavano qualche parola in casa del Commendatore, attribuiva un significato incoraggiante per sé, che gli dava in certi momenti delle tentazioni temerarie. Ma si frenava pensando che sarebbe stata una sciocchezza l’arrischiarsi prima del tempo, che per allora non c’era a far altro che a soffiar di traverso nella discordia, la quale non poteva che crescere di continuo, e che un giorno, quando da quella fosser nati l’avversione o il disprezzo, avrebbe potuto osare quasi a colpo sicuro.

A questo fine lavorava da un pezzo col Commendatore. Via via che s’inaspriva in questo il risentimento contro il genero, cresceva la familiarità fra loro due, che da molti anni avevan relazioni d’affari ed erano legati da varie amicizie o conoscenze comuni nel ceto finanziario e legale di Torino. Essi ragionavano insieme dell’aberrazione del giovane Bianchini come d’una disgrazia di famiglia, e nel parlar di questo il Geri aveva adottato, con sottile accortezza, un certo tuono di compatimento benevolo, di canzonatura indulgente e riguardosa che, mascherando assai bene l’animo suo, gli guadagnava sempre meglio la stima e la fiducia del vecchio. Ma costui non aveva ombra del compatimento e dell’indulgenza che gli piaceva nell’amico. Quell’ultima professione di fede d’Alberto, - l’articolo di Baldassarre, come lo designava sogghignando, - gli era andato all’anima come un’offesa all’onore, come una vergogna inflitta al suo nome in faccia a tutta Torino; fremeva ogni volta che ci pensava, non aveva più voluto vederlo, faceva degli sgarbi alla moglie e alla figliuola quando lo esortavano a perdonargli, lo chiamava per consuetudine il "comunardo", non ne parlava più che in accento di amaro sarcasmo. E tirava via a sbriciolare la dottrina socialista, pezzo per pezzo, col Geri, il quale sfogliava i giornali del partito e glie ne riferiva le frasi più violente e i paradossi più strani, aiutandolo a fulminarli con frizzi feroci, che lo facevan ridere sonoramente. Sotto il nome di socialismo, come accade a molti, essi combattevano in realtà, senz’avvedersene, anche le più modeste e ragionevoli aspirazioni al meglio delle classi inferiori; ma per quanto si sforzasse di nasconderlo, il Commendatore usciva da quei discorsi più irritato che soddisfatto, poiché ciascuna di quelle parole e formole del linguaggio socialistico che era costretto a sentire e a ripeter gli dava il vero e proprio senso doloroso d’una percossa in una parte delicata del corpo. E nondimeno era ricondotto sempre a quell’argomento da una curiosità più forte della ripugnanza, da un bisogno inquieto e prepotente di saper qualche cosa dell’organizzazione del partito, dei suoi capi più influenti, dei progressi della propaganda, e, sopra tutto, della parte che potesse avere in tutto questo il "comunardo" a cui aveva fatto lo sproposito di dar la figliuola.

In una di queste conversazioni il Geri gettò un piccolo seme che doveva portare un gran frutto. Egli pensò che nel matrimonio del suo nemico c’era un lato debole: la superiorità della fortuna da parte della moglie: un nulla quando c’è l’amore, una cosa grave quando l’amore cessa, e il marito ha sentimento di delicatezza e d’orgoglio; che sarebbe stato facile, dunque, aprire da quella parte una larga breccia. Con quest’idea da maestro punzecchiò finalmente il Commendatore. Il gran malanno del partito socialista era la mancanza di danaro, che è il nerbo della propaganda: cercavano di cavarne persin dall’aria; e, quando c’entrava qualcuno con la borsa ben fornita, c’eran tutti addosso a mungerlo come disperati. Era questo appunto il pericolo da cui bisognava salvare il giovane professore, se pure non avevan cominciato a mungerlo già da un pezzo; ciò che era molto probabile. Perché chi mai, se non quei pochi facoltosi che ci cascavano, poteva tener su i giornali del partito, tutti passivi, i quali, abbandonati a se stessi, sarebbero morti d’anemia in pochi mesi? Chi faceva le spese di tante piccole pubblicazioni di propaganda, vendute a un prezzo derisorio, o anche date gratis a migliaia di copie? Chi pagava le pigioni e le spese d’illuminazione e di riscaldamento di tre o quattro circoli socialisti di Torino, i cui soci non pagavan neppure la loro quota di pochi centesimi al mese? E quando uno, in un partito simile, cominciava ad aprire la borsa, non la poteva più richiudere senza destar rancori e sospetti, bisognava che seguitasse a dare, e a dar sempre di più, come tanti facevano, per punto d’onore o per paura, fino all’ultimo scudo...

Quest’avvertimento fece un gran senso nel Commendatore, a cui non s’era mai presentato quel nuovo aspetto minaccioso del socialismo di suo genero. Certo, questi non gli aveva mai dato luogo ad un’accusa d’indelicatezza, e nemmeno al sospetto che potesse abusare in qualunque modo della fortuna della moglie; tra tanti difetti, gli doveva riconoscere questo merito. Ma il caso era nuovo, c’eran la passione, l’impegno, le pressioni, l’illusione stessa di far cosa onesta e onorevole. L’idea che il suo danaro potesse servire alla propaganda dell’idea socialista gli faceva fluttuare il sangue nelle vene. E ne parlò con la figliuola, gravemente, domandandole se si fosse accorta di nulla ed esortandola a star sull’avviso. No, non s’era accorta di nulla, e aggiunse che la cosa non gli pareva credibile; ma le parole del padre scossero in lei una corda segreta, un sentimento tutto muliebre, che non si poteva chiamar per l’appunto avarizia, nel quale si confondevano una diffidenza ombrosissima delle insidie dei parassiti e un terrore fantastico della rovina; ed eccitata in questo sentimento anche dalla considerazione della natura generosa ed entusiastica del marito, essa vide il pericolo grave, e stimò necessario, urgente di informarsi e d’invigilare.

Teneva Alberto le cartelle di rendita della dote, e la moglie gli rimetteva ogni semestre il largo assegno che, oltre alla dote, faceva loro suo padre: aveva voluto così ella stessa fin dai primi giorni del matrimonio e l’aveva costretto ad acconsentire a furia di preghiere e di carezze. Il pensiero che potesse parere a suo marito di trovarsi in una condizione difficile rispetto a lei per la sua superiorità di fortuna, era sempre stato così lontano dall’animo suo, semplice e pieno d’affetto, che, nel proporsi di seguire il consiglio di suo padre, non ebbe neppur coscienza della delicatezza pericolosa dell’impresa. Tanto che l’avrebbe interrogato direttamente, a cuor tranquillo, se non si fossero trovati in un periodo di discordia, e se non avesse temuto, procedendo a quel modo, di fargli sospettare l’istigazione del suocero.

Per poter tastare il terreno, si rabbonì a poco a poco con lui, e poi cominciò con domande indirette. Un giorno, essendo venuti parecchi operai a farsi scrivere una domanda per esser riammessi al lavoro in una fabbrica, e dopo di loro il Calotti a chiedergli un fascicolo della Revue socialiste, essa gli disse ridendo: - Pare diventata un’agenzia il tuo studio... Che cosa ti viene a chieder tutta questa gente?

Egli capì il suo pensiero; ma non più in là del caso presente.

- Non temere -, le rispose; - non mi son venuti a chiedere del denaro. Finora io non son mai stato frecciato che da borghesi.

Il giorno appresso, ella s’appoggiò alla spalliera della sua seggiola mentre egli stava leggendo la Quistione sociale, e così, come celiando, lesse i nomi e gli pseudonimi di quattro o cinque collaboratori. Poi gli domandò con fare distratto di che famiglia fossero e che professione esercitassero, "poiché, naturalmente, per tener su il giornale, dovevano esser tutti di condizione agiata".

- E chi ti dice che il giornale abbia bisogno di esser tenuto su? - le domandò Alberto, un po’ stupito. La conversazione fu rotta da una visita, ed egli rimase con un sospetto nell’animo, ma ancora indeterminato.

La mattina dopo, mentre erano a tavola, essa gli domandò tutt’a un tratto, esaminando il manico della forchetta: - Non sei ancora andato a riscuotere il semestre scorso alla Banca Nazionale?

Infatti, era in ritardo di vari mesi, ed essa lo sapeva, poiché ogni volta che andava a riscuotere, tornato a casa, egli aveva per uso di offrirle il danaro, scherzando. Ma Alberto si stupì che essa facesse per la prima volta una domanda simile, e in quel modo singolare, che pareva premeditato.

Rispose che non c’era stato ancora, e la guardò: essa arrossì un poco, scansando il suo sguardo. Allora egli si ricordò della domanda del giorno prima, pensò un momento, capì tutto e sospinto da un movimento subitaneo del sangue che gli fece il viso di fuoco, s’alzò da tavola e s’andò a metter ritto contro la finestra, per essere un minuto solo coi pensieri che gli si affollavano nel capo. Era il suocero, senza dubbio, che le aveva dato la mossa. Sospettavano dunque che egli facesse la propaganda socialista con la dote della moglie! Si sentì una stoccata nel cuore. Vide per la prima volta se medesimo sotto un aspetto affatto nuovo: marito socialista d’una donna ricca, che dissentiva da lui e ne diffidava! E la diffidenza, il sospetto, benché infondati, erano giustificabili; egli era offeso, e non aveva diritto di lagnarsi: era in una condizione falsa, disonorante, ridicola. Si sentì spuntare negli occhi due lacrime ardenti come due gocce di piombo fuso.

Appena sua moglie lo vide in viso, indovinati vagamente i suoi pensieri, gli gettò le braccia al collo con grande affetto, senza dir nulla, sperando che parlasse lui e le desse modo di disingannarlo. Ma egli si sciolse lentamente dal suo abbraccio, senza parlare; ed essa non osò più d’aprir bocca.

La sera stessa, aprendo il cassetto delle sue gioie, vi trovò tutte le carte della sua dote e quanto rimaneva dell’assegno semestrale di suo padre, con un rendiconto minuto. Afferrò carte e denaro, corse da suo marito piangendo, lo supplicò di riprendere ogni cosa, singhiozzò, gli coperse il petto di baci; ma fu inutile. Egli rispose sempre, triste, ma con dolcezza: - È meglio così - È meglio così -, e la respinse. E non tornaron più su quel discorso né l’uno né l’altra, comprendendo che l’argomento era così delicato da non potersi toccare senza far peggio. Ma essa rimase malinconica, con la coscienza che quel pensiero, penetrato come un verme roditore nel cuore di suo marito, non ne sarebbe uscito mai più, e vi avrebbe distrutto l’amore.

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