< Prose della volgar lingua < Libro terzo
Questo testo è completo.
Libro terzo - LXVI Libro terzo - LXVIII

Leggesi Al tutto, che i piú antichi dissero Al postutto, forse volendo dire Al possibile tutto. Leggesi Niente, che Neente anticamente si disse, e Né mica o pure Non mica, e Nulla quello stesso; come che Non mica si sia eziandio separatamente detta, Elli non hanno mica buona speranza; e Miga altresí, e Niente alle volte si ponga in vece d’Alcuna cosa: Né alcuna altra rendita era, che di niente gli rispondesse, dove di niente disse il Boccaccio, in vece di dire d’alcuna cosa. Leggesi Punto in vece di Niente, e Cavelle, voce ora del tutto romagnuola, che Covelle si dice. Quantunque Punto alcuna volta eziandio, invece di Momento, si prenda; che si disse ancora Motto, sí come si vede in Brunetto Latini:

E non sai tanto fare,
che non perdi in un motto
lo già acquistato tutto.

Leggesi eziandio Fiore, la qual particella posero i molto antichi e nelle prose e nel verso in vece di Punto. Leggesi Meglio e Il meglio; ma l’una si pon quando la segue la particella Che, alla quale la comperazione si fa: Sí facciam noi meglio che tutti gli altri uomini. Il meglio poi si dice, quando ella non la segue: E vuolvi il meglio del mondo. Dissesi questa eziandio cosí: Il migliore. È oltre acciò che Meglio vale quanto val Piú, o ancora Piú tosto; il quale uso messer Federigo ci disse che s’era preso da’ Provenzali. Leggesi Molto e Assai, che quello stesso vagliono; ciascuna delle quali si piglia in vece di nome molto spesso. Leggesi Altresí, la qual vale comunemente quanto Ancora; ma vale alcuna volta eziandio quanto Cosí: E potrebbe sí andare la cosa, che io ucciderei altresí tosto lui, come egli me. Leggesi La Dio mercé La vostra mercé nelle prose, e Vostra mercé e Sua mercé nel verso. Quantunque Gianni Alfani, rimator molto antico, a quel modo la ponesse in questi versi d’una delle sue canzoni:

Ch’amor la sua mercé mi dice, ch’io
nolle tema mostrare
quella ferita, dond’io vò dolente;

e il Boccaccio in quest’altri d’una altresí delle sue ballate:

E quel che ’n questo m’è sommo piacere,
è ch’io gli piaccio quanto egli a me piace,
amor, la tua mercede.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.