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PER UNA DONNA
malata di malattia lunga e mortale
(1819)
Io sapeva bene che beltà non vale, ecc. né giovinezza contro la morte; ma, ogni volta che ne vedo una prova, non me ne do pace, ecc. Ora dunque tocca a te? ecc. Poverella, poverella, oh Dio! consólati; non morrai, non è possibile, morrei anch'io, ecc. Tanto bella, tanto candida e buona, tanto giovane, ha da morire? Che è quel viso cosi languidamente afflitto, che par dire: — Sono una sventurata, merito compassione, compatitemi se volete, — ecc. Ahi! ahi! a chi mi porta triste nuove di lei, che pur non m'appartiene, cerco di sofisticare, di patteggiare, per farle men cattive; ma inesorabili combattono ogni mio argomento e mi dimostrano che quelle son pessime e non c'è speranza, ecc. Ma non possiamo far niente per lei? Per carità, voglio andar io, veder s'è possibile, consultiamo i fisici, qualche rimedio. Niente: poveri mortali, contro la morte, né nostra né altrui, non possiamo niente. Ed io ti vedrò morire, o sfortunata, struggendomi e stendendo le braccia e pregando tutti i numi, e affannandomi invano, ch'io non posso, non posso nulla. Dunque morrai, o cara? Si: io mi dispero. Oimè! sei vissuta innocente, ecc. Tutto ti può far la fortuna, ma non toglierti la virtù della tua vita. Oh! non piangere, se mai.... Anch'io son giovane e ti verrò dietro tosto tosto; e poi la vita è già tanto breve per tutti. Aimè! tu pure saresti stata capace di peccato; anch'io, io che, ecc., tutti; ora muori innocente.