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     Quando veggo levarsi e spander l’ale
La mia dolce leggiadra alma fenice,
Tal divengo nel cor che più felice
4Qui non credo che sia cosa mortale.
     Allor prova sua forza, allor m’assale
Quel che tanti sospir del sen m’elice;
E l’alma in petto mi gioisce, e dice
8Aver degna mercè d’ogni suo male.
     Ma, poi che agli occhi ’l bel lume s’asconde,
Io che rimango sconsolato e solo
11Freddo e muto divengo come un sasso.
     Così volgo la vita in gioia e ’n duolo;
E, se ’l mezzo al principio e ’l fin risponde,
14Pria di vita sarò che d’amor casso.


(Dal vol. I (1819) del Giornale Arcadico, dov’è pubblicato di su ’l codice vat. 3213. Corretto sul ricc. 1118.)

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