< Quaranta novelle
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Hans Christian Andersen - Quaranta novelle (XIX secolo)
Traduzione dal danese di Maria Pezzè Pascolato (1903)
22. L'angelo
Il monte degli elfi Le corse
Ogni volta che muore un bambino buono, un Angelo del Signore scende sulla terra, prende tra le braccia il piccolo morto, spiega le grandi ali bianche, vola su tutti i luoghi che al bambino furono più cari, coglie un fascio di fiori, e li porta su al Signore, perchè li faccia fiorire ancora, più belli che sulla terra. Il Signore si stringe al cuore tutti quei fiori, ma al fiore che gli piace di più, dà un bacio; ed allora il fiore acquista voce, e gli è concesso di unirsi al coro della eterna Beatitudine.

Tutto questo, vedi, lo andava raccontando un Angelo, mentre appunto portava in cielo un bambino morto; ed il bambino ascoltava come in sogno. Spaziavano sopra ai cari luoghi della patria, dove il bambino era nato ed aveva tanto giocato, e a traverso a certi gradini, pieni di bellissimi fiori.

"Quali prenderemo con noi, per trapiantarli nel cielo?" - domandò l’Angelo.

C’era là uno snello magnifico rosaio, ma una mano malvagia ne aveva spezzato il fusto, sì che i rami, carichi di grossi bocci semiaperti, pendevano a terra avvizziti.

"Povero rosaio!" - disse il bambino: "Prendilo, perchè possa giungere a fioritura vicino al Signore!"

E l’Angelo lo prese, e non potè fare a meno di baciare il bambino, sì che questi aperse quasi gli occhi. Poi colsero alcuni magnifici fiori rari, senza però trascurare lo spregiato dente di leone e l’umile caprifoglio.

"Ora sì, che ne abbiamo tanti, dei fiori!" disse il bimbo, tutto contento; e l’Angelo accennò di sì col capo, ma non volarono ancora su, verso Dio. Era notte e tutto taceva: senza uscire dalla grande città, arrivarono ad uno dei vicoli più stretti dov’erano sparsi a terra mucchi di paglia, spazzature, cenere, immondezze d’ogni sorta. Era stata giornata di sgomberi; e per ciò si scorgevano qua e là piatti rotti, figure di gesso spezzate, frantumi, fogli, cenci, cappelli vecchi - e facevan tutt’altro che un bel vedere.

Tra mezzo a quelle spazzature, l’Angelo additò al bambino i cocci d’un vecchio vaso da fiori e una piota di terra, caduta fuori dal vaso e tenuta insieme dalle radici d’una piantina secca, sulla quale si vedeva ancora un grosso fiore di campo. Non serviva più a niente, e per ciò era stata gettata sulla via.

"Prenderemo quella pianta lì!" - disse l’Angelo: "Volando, ti racconterò poi perchè."

E volando, l’Angelo raccontò questo:

"Laggiù, in quello stretto vicolo, in una delle più basse stamberghe, abitava un povero ragazzo ammalato. Da piccino in su, era sempre stato infermo. Quando si sentiva meglio, riusciva appena a reggersi sulle grucce, in modo da andare su e giù un paio di volte nella misera stanzetta: era tutto quel che poteva fare. Durante pochi giorni d’estate i raggi del sole arrivavano per una mezz’oretta sino ai suo bugigattolo. Allora il povero ragazzo stava lì seduto a godersi il calore del sole, ed a guardarsi, a traverso le scarne manine che teneva stese davanti al viso, il sangue rosso che circolava. In quei giorni si diceva "Oh, oggi il piccino è stato fuori!" La foresta, nella sua splendida verzura primaverile, egli la conosceva soltanto perchè il figlio di un vicino, quando la quercia metteva le fronde nuove, gliene portava i primi ramoscelli. Ed egli teneva un ramoscello sul capo, e sognava di riposare sotto una quercia, tra lo splendore del sole e il canto degli uccelli. Un giorno di primavera, il ragazzo del vicino gli portò anche un fascio di fiori di campo, tra i quali, per caso, ce n’era uno con le radici. E questo fu piantato in un vaso, e posto sulla finestra, presso al suo lettino. Si vede che il fiore era stato piantato da una mano fortunata, perchè attaccò, buttò nuovi germogli e ogni anno mise i suoi bocci. La pianticella rappresentava per il piccolo malato il più bel giardino; era tutto il suo tesoro su questa terra. Egli l’annaffiava, ne aveva ogni cura e badava che godesse sino all’ultimo quei pochi raggi di sole che arrivavano al basso finestrino. Il fiore cresceva persino nei sogni del bambino, perchè cresceva per lui solo, per lui solo spandeva il tenue profumo ed allietava la vista. Ed al fiore volse egli il viso al momento della morte, quando il Signore lo chiamò. - Ora, è un anno ch’egli è vicino al Signore, ed un anno rimase il fiore sul davanzale della finestra, dimenticato; per ciò la pianta s’è disseccata, ed al momento dello sgombero fu gettata in istrada con le spazzature. E quest’è il fiore, il povero fiore secco, che abbiamo preso nel nostro mazzo, perchè ha dato più gioia di quanti fiori di lusso sieno nel giardino di una regina."

"Ma come sai tutte queste cose?" - domandò il bambino, che l’Angelo portava su in cielo.

"Se le so!" - disse l’Angelo: "Le so, perchè ero io il piccolo infermo, che camminava con le grucce! Pensa se non conosco il mio fiore!"

Il bambino spalancò tanto d’occhi e guardò il viso raggiante e lieto dell’Angelo, ed in quell’istante si trovarono in Cielo, dov’è eterna gioia e beatitudine. Il Signore si strinse al cuore il bambino morto, e allora gli spuntarono le ali, come all’altro Angelo, e si presero per mano, e volarono insieme. Il Signore si strinse al cuore tutti i fiori, ma baciò soltanto il povero fiorellino di campo, il fiorellino secco, ed allora esso ebbe voce e potè cantare con tutti gli Angeli, i quali volano intorno al Signore, alcuni vicino vicino a Lui, altri in giri più ampii intorno ai primi, sempre allargandosi in cerchio sino all’infinito, ma tutti egualmente beati. E tutti cantavano, grandi e piccini; cantava il bambino buono, beato ora egli pure, cantava il povero fiore di campo, il fiore secco ch’era stato buttato tra le spazzature del vicoletto buio.



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