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XI.
Ove dunque tutti obbediscano alla legge, toccherà alla Corona ed agli altri due poteri dello Stato a sentenziare su quel programma che paragonammo al programma di Euristeo.
Tutto annunzia che il senno Italiano non fallirà a sè stesso in quest’occasione.
Certo è intanto per ogni mente illuminata che un’irresistibile forza di gravitazione spinge la Venezia a riunirsi all’Italia, e presto.
Il problema dell’Austria e dell’Europa non sta nell’opporsi ciecamente a questa riunione, ma nel trovarle regola e forma, d’accordo coll’Italia, onde produca i minori disturbi possibili. Tutti sono interessati a cercare la soluzione. La misteriosa legge che assicura l’espiazione delle grandi violenze politiche, fa sentire una minaccia da quella tomba ove la pace di Campoformio chiuse l’antica Repubblica. Può da essa uscire per l’Europa la guerra generale, per l’Austria il fallimento. La soluzione preme troppo, e si troverà.
Per tutti la meno conveniente è quella del cannone.
Qual è l’ostacolo maggiore ad una soluzione per mezzo d’accordi?
Non gl’interessi dell’Austria, non gl’interessi ben intesi della stessa dinastia d’Absburgo, ma bensì i sentimenti personali de’ suoi principi, e del loro capo attuale, appoggiati alle abitudini, ed alle tradizionali illusioni di un lungo assolutismo. L’onore della Casa Imperiale! ecco la gran parola!
Desidero parlare con rispetto del maggior nemico che abbia l’Italia, ed evito un esame di tal questione che potrebbe condur lontano. Mi contento di due osservazioni: la prima, che se il vero onore fondato sulla giustizia non è nè può esser cambiato col cambiar de’ tempi, v’è un onore che accettato ciecamente dal medio evo, e fondato sopra l’antica deificazione della violenza, venne dalle età susseguenti pesato sulle bilance della ragione e della morale e trovato di falso peso: ed a questo giudicio anche i principi si dovranno inchinare.
La seconda osservazione, è che il mondo, come dissi, stando per mettersi a fare i suoi affari da sè, li farà meglio, o per lo meno altrimenti.
Le popolazioni che compongono l’Impero Austriaco sono alla vigilia di questa trasformazione. Per loro la più flagrante delle questioni, appena abbiano rappresentanza, è quella delle finanze; ed è naturale che vi si gettino con generale e impaziente alacrità quelli che dovranno rappresentare i contribuenti. È forse un’illusione il figurarsi molto vicino il momento in cui un compiacente Ministro inizii a tutti i misteri delle casse Austriache i deputati delle varie popolazioni? Ma è difficile dall’altro canto il rendersi conto con quali modi queste spiegazioni possano essere di molto differite: fatto sta che in quel giorno di luce potrebbe venire in mente ai buoni borghesi della Stiria, della Carinzia, della Boemia, e di molti altri luoghi che pagare i debiti è onorevole cosa per lo meno quanto il possedere la Venezia. Potrebbero riflettere che questa Venezia si metterebbe utilmente in capo-lista fra le economie indispensabili per far fronte al deficit. Ed alla lunga potrebbero altresì tanto alzar la voce da farsi finalmente sentire. In una parola, un popolo che fa da sè i suoi affari, e paga lui i suoi capricci, ne ha raramente di così costosi. E non vedrei lontano il giorno in cui aiutando la crescente influenza dell’opinione, ed i buoni uffici de’ Gabinetti, la cessione della Venezia si rendesse questione talmente popolare in Austria come in Germania, da non potersi rimandare.