Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | 12 | 14 | ► |
XIII.
Ma la questione è poi tutta di prudenza? Credo abbia un punto di vista più elevato, dal quale è importante esaminarla. Il programma della guerra a primavera ha eccitato una viva polemica. Ma da quanto ho udito, o letto, mi pare che nessuno si sia ricordato del Trattato di Zurigo! Mi sembra però che essendo stato firmato solamente l’anno scorso, non sarebbe esagerazione ammetterlo almeno come elemento di discussione.
Comincerò dal concedere che l’intera storia non è che una continua alternativa di Trattati stipulati, e di Trattati rotti. So benissimo dunque che non sono eterni, e so altresì che la storia appunto in una numerosa serie di casi ha mostrato una grande indulgenza per simili violazioni. A questo giudizio ha generalmente sottoscritto l’opinion pubblica, perchè al suo tribunale la questione d’equità domina generalmente la questione di legalità diplomatica.
Ma se si ammette che i Trattati non sono nè possono essere eterni, sarebbe però una curiosa teoria il dire che i Trattati sono fatti solamente per essere violati!
Non so perchè siano andate in disuso le tregue!
Durante la lunga lotta tra la Francia e l’Inghilterra che cominciò colla battaglia di Crécy, e non si potè dir finita che colla presa di Calais dal duca di Guise (quasi tre secoli!), quante tregue non si contano fra le parti belligeranti?
Ve n’è una perfino di trent’anni, se non erro, sotto Carlo V, o Carlo VI!
Ad ogni modo allora, e adesso, e sempre, certe paci, in certe date condizioni, com’era appunto il caso di nazionalità d’allora, ed è il caso di nazionalità d’oggidì, non sono e non possono essere altro che tregue. Non sarebbe più onesto e di minore imbarazzo, chiamarle col loro vero nome?
Il Trattato di Zurigo è evidentemente un parto condannato dal suo nascere, e non può avere lunga vita. Ma alla fine porta la firma della Corona, e di questa firma non possono i suoi ministri variare il saggio. Non possono farla scendere al livello di quelle che diedero guarentigie legali alle costituzioni di Napoli, di Roma, di Firenze ec. ec.
Non bisogna che dimentichiamo aver noi assaliti ed abbattuti que’ sistemi, principalmente in nome della violazione di queste e d’altre firme del medesimo valore.
Quelli erano i modi del vecchio mondo, e non i nostri: nè si tratta più così col mondo rinnovato. Ricordiamocene.
Dunque chi voleva la guerra a primavera si metteva sotto i piedi la firma della Corona!
Un Ministro davanti al Parlamento potrà al caso riconoscere che il Trattato di Zurigo non trova nel mondo reale, nell’Italia reale d’oggi giorno, nessun elemento di stabilità; potrà esprimere il desiderio che la saviezza dell’Europa e de’ consiglieri della Corona imperiale, unita alla pressione di necessità di vario genere, conduca presto a sopprimerlo o a modificarlo per comune consenso; ma sarei curioso di sapere con quali frasi si potrebbe oggi proclamarne la nullità e la violazione armata dalla Cancelleria di un Governo regolare?
Dalla Civiltà Cattolica e dall'Armonia mi si dirà che io però, trovandomi Presidente del Consiglio, ho rotto un Trattato. È vero. — Il Concordato.
Ma bisognava o abolirlo, o negare il diritto che ebbe il re Carlo Alberto di promulgare lo Statuto ed il Piemonte di accettarlo, e farne sua Legge. Il Concordato non era firmato da uomini eletti dalla maggioranza del paese, e perciò investiti da essa dell’autorità d’impegnarsi per lei: e fu abolito dopo esaurite tutte le forme di supplicazione onde Roma conoscesse le nuove necessità dello Stato: ma la Curia Romana cui altresì, e meglio, si può applicare l’espressione del popolano fiorentino, oppose all’evidenza delle nostre ragioni un inesorabile rifiuto; ed ho ferma fiducia che questo caso sarà uno di quelli de’ quali la storia, come l’opinione pubblica, concederanno piena amnistia.
Egli è poi evidente che, lasciando ad ognuno il punto di vista suo proprio, non è mai un bene per un governo il dovere assumere la responsabilità di simili atti; ed è un male grande poi se mostra compierli senza ripugnanza. O l’opinione è un fantasma del quale non è da curarsi, o bisogna riconoscere, che avendo l’Italia molti nemici come accade a chi sale a spese di tanti che son costretti a scendere, è bene cercare ausiliari ed amici e tenerseli di conto. Ora qual miglior ausiliare dell’opinione? Qual amico più sicuro del credito? Machiavelli non era scrupoloso, eppure che cosa diceva 300 e più anni fa? e che cos’era il credito nel XVI secolo a fronte di quello creato dalla pubblicità nel decimonono?
Quello che Machiavelli diceva d’un principe, diciamolo d’una nazione e del governo, suo rappresentante legale, che sono il vero principato dell’età nostra.
L’intelligenza della vera condizione del credito è la pietra angolare della società moderna. In materia di finanze è verità accettata.
Persuadiamoci che è verità altrettanto sacra in materia politica ed amministrativa; tanto più presso uno Stato di nuova creazione, che ancora non ha messe tutte le sue radici, e che prendendo seggio fra le grandi nazioni europee deve sapere ispirare fiducia, ed imporre rispetto colla sua elevatezza morale, colla sua saviezza non meno che col potere materiale de’ suoi eserciti e delle sue flotte.