< Questioni urgenti (d'Azeglio)
Questo testo è stato riletto e controllato.
18 20

XIX.


Da tutto ciò appare che la conseguenza della condotta della Corte di Roma in quest’ultimi tempi non poteva essere altra fuori di confermare i non credenti nell’opinione che il culto cattolico sta per perire.

Ed i credenti nella sola idea che possa servir loro di rifugio, idea che si cambia oramai in una calda aspirazione, essere cioè la rovina del potere temporale, un fatto provvidenziale destinato a purgare la Chiesa da’ suoi vizi e dalle sue macchie, a rimetterla sulla buona via, ed a rinnovarla. E ciò equivale a riconoscere che Roma d’oggi non rappresenta nè il Vangelo, nè il Cattolicismo. Ma chi saprà definire il limite che separa il buono dal guasto?

Chi saprà conoscere dove sia da darsi il taglio? Ed intanto gli animi ondeggiano nel dubbio, o s’acquietano nell’indifferenza!

Roma ebbe troppo interesse a confondere in simil materia principii ed idee. Essa sperò che legando il temporale strettamente al dogma, questo salvasse quello; ed invece, che cosa vediamo in oggi? Precisamente il rovescio: vediamo il temporale trascinare il dogma nella sua rovina!

Questo tristo spettacolo aggiunge fiamma allo sdegno antico degli Italiani contro la Corte di Roma; ed è naturale che al tempo stesso essi giudichino la sua questione ad un punto di vista esclusivo che non è quello dell’Europa.

Ma gl’Italiani riflettano che tutti gli Stati, anche i protestanti, hanno che fare coi cattolici, e quindi con Roma. La questione è politica, e perciò più intralciata.

In Polonia il Cattolicismo è protesta di nazionalità; in Irlanda è questione di finanza e d’autonomia; in Francia è questione dinastica. In Austria questione di libertà ec.

Tutti questi Stati non possono con un frego di penna cancellare la cifra della loro popolazione cattolica, e questa popolazione che non vede le cose da vicino come gl’Italiani, ed è ingannata dai vescovi e dal clero, giudica altrimenti da noi, ed obbliga i respettivi Governi a molti riguardi.

Importa dunque che gl’Italiani come i cattolici esteri, si facciano carico delle ragioni e de’ giusti riguardi gli uni degli altri, e s’accordino reciproche concessioni: altrimenti non v’è modo di giungere ad una conciliazione.

Per indursi a queste reciproche concessioni, si persuadano da un lato i cattolici esteri che nessun Italiano nè in Roma nè fuori vorrà più essere governato da preti. Su ciò non è transazione possibile.

E dall’altro riflettano gl’Italiani che la condiscendenza nell’accettare certe forme che divennero odiose, agevolerà di molto le conclusioni d’utilità pratica ed effettiva, ed è poi in certo modo una maniera di pagare quel debito di gratitudine che abbiamo contratto in primo luogo verso la Francia e l’Imperatore Napoleone, ed in seguito verso quelli fra i governi d’Europa che ci si mostrarono favorevoli. È debito nostro cercare di non essere loro cagione di pericolose complicazioni intestine.

La Francia ponendo termine alla lunga occupazione non può condurre il Papa con sè, nè costringerlo a lasciar Roma; credo anzi difficile ch’egli non si trovi nella necessità di stipulare per lui ch’egli non ne sia allontanato dal Governo Italiano.

A questo non converrebbe ad ogni modo spingere il Papa fuori d’Italia. Un Papa ramingo per l’Europa sarà il più potente degli ausiliari per chi ora ci detesta; sarà un guanto gettato al sentimento cattolico sparso pel mondo; sarà il centro delle più incessanti macchinazioni. Il Papa in Roma, invece, è innocuo per ora, e sarà anzi forzato col tempo a diventare benefico ed a mutarsi in una forza conciliante e tutelare.

Sarebbe atto odioso, prima che sia dimostrato non potersi il Papato riformare, accettando egli l’istituzione d’un’Italia unita, e rinchiudendosi unicamente nelle sue attribuzioni spirituali.

Ove poi questo non avvenisse, ove il Papato persistesse a farsi centro di intrighi, di disordini, e d’ostilità contro la nazione, sarebbe allora da discutere il caso su nuove basi.

Ed a chi verrebbe affidata intanto la guardia del Papa?

A chi? — A nessuno.

Il Papa ove sia vero Papa, padre dei fedeli, si mantenga in quella regione superiore agl’interessi mondani che è sua propria, avrà figli riverenti, e non nemici. Non ha dunque necessità veruna di chi lo guardi.

Ove invece il Papa voglia persistere a mantenersi quale fu sin ora, voglia farsi capo d’una sètta politica che va a ritroso della corrente de’ tempi, nessuna guardia gli può bastare. La Francia stessa non può a lungo tutelarlo. E chi glielo vieta? Nessuna forza materiale per certo. Glielo vieta il senso del proprio decoro, quanto l’irresistibile pressione della coscienza universale alla quale è forza ubbidire, che tutti riconoscono, ed è solo negato dalla Corte di Roma.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.