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Un Apostolo in missione
Due Spie Storia di Milano dal 1836 al 1848

Un Apostolo in missione.


I.

Sulla ferrovia.


— ..... Abbiamo avuto torto di trascurare la campagna — dicea Teobaldo all'amico — I campagnuoli hanno mente svegliata e istinti liberali; sono facili alle impressioni, pronti ad agire — energici, robusti. Oh! abbiamo avuto un gran torto, te lo ripeto! Volgemmo le spalle al buon terreno, per gettare le sementi alle ghiaje infeconde — però non abbiamo raccolto che triboli e spine.

— Dunque hai proprio risoluto?

— Si — ho deciso di andar in volta pei contadi a fare un po' di propaganda a viva voce. La parola è più efficace degli scritti. Oltrechè i buoni giornali (e quali sono i buoni giornali?) non vanno per le mani del popolo, questo non sempre è in grado di leggerli e di comprenderli... Bisogna dunque parlare, perorare, esercitare il santo apostolato della parola! — Ormai sono fisso in questa idea che, se non riusciamo a conquistare le masse dei campagnuoli, la nostra causa è perduta...!

— Io ti auguro buona fortuna. Ma bada che di questi giorni le campagne sono infestate di malva....

— Eh, pur troppo!.... I reazionarii, e i moderati, più vili, più schifosi dei reazionarii, avranno guasto il terreno.

— Non importa. Io non dispero di riuscire nel mio intento. Fors'anche mi sarà concesso di aggiustare un po' il cervello a qualcuno di codesti signorotti, che a Milano non vogliono intender ragione. In campagna la tolleranza è di buon genere, e molti de' nostri codinoni, che in città si rendono inaccessibili, fuori delle mura diventano più umani, più trattabili, più arrendevoli... Basta! Fa quello che devi, avvenga che può — dice il proverbio — io non lascierò intentato alcun mezzo... Mi introdurrò nelle case del ricco e del povero, per parlare a tutti il linguaggio della verità... Oh! la verità ha un fascino irresistibile! Tutto sta che alcuno abbia il coraggio di predicarla, ed altri la pazienza di udirla!... Ma... non vorrei perdere il convoglio... Sono le quattro e venti... non ho che pochi minuti per prendere il biglietto... Addio, mio buon amico! Presto ti darò mie notizie... Frattanto, voi altri di Milano persistete a combattere... Adunatevi di frequente... e mandatemi il sunto delle vostre discussioni. Badate ch'io debbo essere informato di tutto ciò che si passa nel regno della democrazia. — Al primo fermento, alla prima agitazione di popolo, io sarò tra voi colle nuove reclute... Voi dentro! io fuori!... Pinf! panf! punf!... abbasso i cilindri! fuoco alle malve! e viva!... Viva chi?...

— Viva la repubblica rossa, umanitaria, sociale!

— Viva chi?

— Viva Mazzini!

— Viva Teobaldo Brentoni, presidente della Società della morte!

— Viva il popolo! grido io — viva il popolo tradito, oppresso, conculcato, straziato! e morte!... Morte a chi?

— Morte ai codini! — ai moderati — ai tiranni!....

— Morte infine.... a quanti non la pensano come noi!

I due amici si abbracciano — L'uno sale in omnibus per rientrare in città, l'altro in quattro salti si slancia sotto il porticato della stazione.

— Presto! i signori che partono per Monza! grida una voce... Le inferriate si c hiudono...

Teobaldo, che fortunatamente giunge in tempo per entrare, si appressa al finestrino onde provvedersi del biglietto...

— Primi o secondi? chiede il dispensatore mettendo il naso al finestrino.

— Che primi! che secondi! grida Teobaldo — Col popolo!... io vado col popolo!... sempre col popolo!... Ai terzi! ai quarti... se ce ne sono...!

— I terzi posti sono là abbasso... all'altro finestrino....

— Là abbasso! Ah! comprendo! Là abbasso!... E sempre basso, sempre umiliato, sempre avvilito lo si vuol tenere questo povero popolo!... Categorie! sempre categorie!... Oh sorgi, una volta! — rompi i ceppi! — ripiglia il tuo vigore, leone prostrato — infrangi le inique barriere!..... Ehi, di là! Un biglietto dei terzi per Monza!

E in proferire queste parole, Teobaldo ingrossa la voce e fa spiccare le sillabe, perchè i circostanti abbiano a notare ch'egli si è degnato di prendere un biglietto di terza classe....

— Ecco un signore, che incomincia di buon'ora ad economizzare il denaro, dice un padre di famiglia a due suoi figliuoletti. Io però non approvo tali economie... Ciascuno nel mondo deve tenere il proprio rango.

— Sarà qualche spiantato, cui mancano dicianove soldi a fare una lira, dice un lion, che ha preso un biglietto di prima classe...

— Veh! quell'imbecille di Brentoni, che va ai terzi posti per darsi l'aria di democratico!... E dire che l'altra sera agli Angioli ha lanciato una bottiglia contro il piccolo, perchè tardò tre minuti a portargli un sigaro!

Ma il nostro demagogo non si accorge de' poco benevoli commenti che i circostanti fanno sul di lui conto. Tutto radiante nel viso, egli attraversa il porticato per entrare nella sala d'aspetto...

— Dall'altra parte, signore!... Laggiù! più abbasso! dice l'uffiziale che sta alla porta... — Qui non entrano che i primi ed i secondi.

— Al diavolo i secondi ed i primi! Al diavol o tutte queste distinzioni, avanzo di feudalismo!... Privilegi! sempre privilegi! E che sono essi più di noi, questi signori, che si riservano il diritto di entrare per questa porta?... Non sono forse uomini come noi, figli del popolo? Non mangiano anch'essi? non dormono? non vanno soggetti alle malattie... ai bisogni più immondi?..... Quali sono i loro meriti speciali.....? vorrei un po' saperlo!!...

— Essi han pagato il biglietto qualche soldo di più, risponde l'uffiziale con ironia — Se il signorino avesse desiderato...

— Eh! ch'io non desidero nulla, io! Sono figlio del popolo, io! — sono cresciuto col popolo — ho diviso col popolo le più sante aspirazioni, i più sublimi dolori... Io voglio stare... e starò sempre col popolo.

— Dunque, la prenda quell'altra porta, e liberi il passaggio; che io non ho tempo di ascoltare delle prediche in questo momento! dice bruscamente il guardiano.

— Oh! vedi un po' che baldanza vanno prendendo questi impiegati regi! esclama Teobaldo.

Ma il campanello ha dato l'ultimo segnale..... Non v'è più tempo da perdere...

Teobaldo, dopo aver fulminato con una terribile occhiata l'ispettore dei biglietti... si precipita nell'andito destinato ai passeggieri di terza classe, lo attraversa rapidamente, e corre verso il convoglio... Sventuratamente un villano di Seregno gli attraversa il cammino..... Il villano ha due immensi panieri sotto braccio.... Teobaldo, nella foga del correre, ha urtato un paniere... Il villano perde l'equilibrio.... inciampa in una rotaia, e viene a cadere a poca distanza dai vagoni...

— Soccorrete quel figlio del popolo! grida Teobaldo dall'alto del vagone...

Due inservienti della ferrovia accorrono per sollevare il caduto.

— Presto, buon uomo!.... Il convoglio parte.... A quanto pare non ti sei fatto male — la testa non è rotta — per questa volta non sei morto!

— Credo di no, signor generale, risponde il villano in chinandosi ad uno degli inservienti — ma temo che qualche cosa di rotto vi sia nel canestro... Se mi concedessero qualche minuto..

— In vagone! in vagone! gridano ad una voce i i due uffiziali.

Essi aiutano il villano a salire, — gli chiudono gli sportelli dietro le spalle, — e il convoglio parte, mentre il villano, perduto l'equilibrio, va barcollando nell'interiore della carrozza e gridando a tutta voce:

— Adagio! Un momento! fermate i cavalli.... assassini!...

Gli altri viaggiatori, per la maggior parte contadini, si divertono a rimbalzare il mal capitato collega.

Questi lo tira per la coda del soprabito — un altro lo spinge — un terzo mena colpi sul paniere — tutti a ridere, a schernire, a battere le mani.

Teobaldo, adagiato in un angolo della carrozza, è scandolezzato di quella scena. Egli aggrotta le ciglia — si dimena — si contorce.

Questo è dunque il popolo dai nobili istinti, dalle aspirazioni generose! Questa è la carità, l'umanità tanto vantata delle classi povere? Oh scandalo!.... oh vergogna!

— Ma il povero popolo non ne ha colpa — pensa Teobaldo. — Corrotto da lunghi anni di schiavitù, conculcato dai tiranni, abbrutito nell'idiotismo, esso ha perduto la coscienza della propria dignità... Il terso cristallo fu appannato dall'alito impuro del dispotismo — la limpid'acqua fu avvelenata alla sorgente... Povero popolo! Educhiamolo colla parola e coll'esempio!...

— Buon popolano — dice Teobaldo, volgendosi al contadino, che non è ancora riuscito a mettersi in equilibrio — date a me quel canestro — appoggiatevi pure alle mie ginocchia — poi vedremo di serrarci un poco l'un presso l'altro in modo di farvi un posto da sedere... Ci hanno stipati qua dentro come bestie da macello!... Oh! ma verrà il tempo della giustizia.... assassini del popolo!... E questo tempo non è lontano!

Teobaldo prende il canestro del villano, e se lo mette sulle ginocchia. Frattanto i viaggiatori si stringono a malincuore l'un presso l'altro, tanto che si s copre una lacuna, ove finalmente il villano di Seregno può introdurre le appendici della schiena.

— Si viaggia pur male nelle strade ferrate! brontola il villano.... In vettura si andava più adagio, ma non v'era tanta confusione, tanto disordine!... Ma dove è andato il mio canestro?... Ah!.... quel signore là in fondo si è degnato!... Illustrissimo... tante grazie! troppa degnazione! troppa bontà!

— Finiscila con queste frasi servili ed abbiette! esclama Teobaldo con accento dispettoso. Tutti siamo eguali dinanzi a Dio e dinanzi al diritto... Riprenditi il tuo canestro... e grida con me: viva l'uguaglianza!

Mentre Teobaldo si leva in piedi per trasmettere il canestro al contadino: — Madonna! Madonna! esclamano parecchie voci. — La si guardi i calzoni! Oh! veda un poco, signorino! veda un poco l'orribile macchia!...

Tutti gli occhi si volgono a Teobaldo... I calzoni e il gilet dell'apostolo sono ingialliti di una vernice di nuovo genere — un misto d'olio e di rosso d'uova, la cui vista fa ricorrere istintivamente la mano alle nari...

— To! to! dice una balia, dove si è buscato il signorino tutta quella abbondanza? Anche a noi... maneggiando bambini... accadono spesso tali inconvenienti... Finora Nandino ha avuto giudizio... ma il viaggio è lungo... e mi aspetto la mia frittata...

— Che il Signor Gesù Cristo benedetto e la Madonna santissima mi abbiano in grazia, grida il villano giungendo le mani — Oh! lo so ben io donde è venuta fuori tutta quella broda!... che san Sebastiano e sant'Antonio del fuoco, e tutti i poveri morti mi perdonino!... La frittata l'ho fatta io... Cioè... io... ci ho messo l'olio e le uova... ch'erano qui dentro... pel vicecurato di Seregno.... Il fiasco e le uova sono andati in pezzi in conseguenza della mia caduta...!

Mentre il villano, invocando tutti i santi del paradiso, implora perdono da Teobaldo — questi contempla i propri calzoni come istupidito. — Il fiero repubblicano, che nulla teme al mondo quanto il ridicolo, perde d'un tratto il coraggio; l'apostolo smarrisce la favella; l'ispirato dall'idea si trasmuta in un fanto ccio, e cade sulle panchette della carrozza facendo delle mani conserte una visiera alla pancia inverniciata...

Povero Teobaldo! E questo popolo, al quale tu hai giurato consacrare la vita; questo popolo, che tu, nuovo Mosè, vuoi redimere, rigenerare, sollevare al livello di Dio... questo popolo gode di vederti avvilito... si burla di te... Oh! ma non fu irriso anche Cristo dagli Scribi e dai Farisei?

— Perchè son venuto ai terzi posti? mormora Teobaldo rannicchiandosi nell'angolo della carrozza... A dir vero... il popolo è meglio vederlo da lontano che da vicino... Ma i contadini non sono popolo — essi appartengono alla specie dei bruti — Oh! il popolo! il vero popolo non è questo! Ma dove è dunque il vero popolo?... In città non abbiamo che volgo... In campagna non trovo che bestie... Via! un po' di pazienza! un po' di perseveranza!... Il viaggio dev'essere lungo! Non bisogna disperare sì presto!!


II.

Augusto Regola, regio impiegato, padre di numerosa famiglia.


Lasciamo che il nostro Teobaldo prosegua il viaggio e digerisca il malumore cagionatogli da una sciagura che compromette in lui la dignità dell'apostolo, senza concigliargli la simpatia del martire.

Precediamolo di poche ore all'albergo di Canonica, ov'egli deve recarsi. — Stringiamo conoscenza coi nuovi personaggi, che la provvidenza ha posti sul di lui cammino perchè ricevano il seme dell'idea.

Sono le otto della sera.

Dinanzi all'antico albergo di Canonica si arresta una vettura sopraccarica di persone d'ambo i sessi...

— Ma di grazia! direte voi, dove si trova questo albergo di Canonica?

— Lo ignorate? Canonica è un paesello, un gruppo di quindici o venti case, che sorge in riva del Lambro, sullo stradale che da Monza conduce a Besa

Fra queste case domina il palazzo dei conti Taverna, e l’Antico albergo, ove la sera del 28 settembre 1861 venne a fermarsi, come abbiam detto, una vettura carica di persone d’ambo i sessi.

Al rumore della carrozza l’oste, seguito dalla moglie e dalle figlie, accorre in sulla porta...

— Oh! ecco la nostra amabile ostessa! — grida una voce dall’interno della carrozza. Sempre bella! sempre fresca!

— Misericordia! il signor Augusto Regola! mormora l’ostessa forzandosi di sorridere.

— Forestieri fini! brontola l’oste rientrando nella cucina.

La figlia, il guattero ed altri, che sono accorsi in sulla porta dell’albergo, si fanno dei cenni cogli occhi e coi gomiti in segno di scherno e di impazienza.

Mentre il vetturale aiuta a discendere dalla serpa una mezza dozzina di ragazze, dall’interno della carrozza sbuca fuori un personaggio di circa sessant’anni, con immenso cilindro sulla testa e un soprabito lungo color verdone, abbottonato dalla gola all’ombelico.

Augusto Regola, ora impiegato regio, altre volte imperiale regio, da oltre venti anni, al tempo delle vacanze suol fare un giro nella Brianza col numeroso seguito di tutta la sua famiglia.

Questo giro, che ordinariamente si compie in meno d’una settimana, costa al signor Augusto Regola la somma prefissa di franchi venti, sebbene gli avvenga talvolta di esportare a Milano qualche residuo della somma, in grazia di avvenimenti impreveduti, ovvero di stratagemmi economici improvvisati e compiuti con rara abilità.

In tutti i paeselli della Brianza il signor Augusto Regola ha scoperto e coltivato degli amici e dei parenti, i quali gli servono di punto di appoggio nelle sue escursioni autunnali.

Ciascun amico, ciascun parente, ha obblighi speciali verso la famiglia Regola.

Questi deve fornir gratis l’alloggio — quest’altro deve imbandire ogni anno una refezione di salati e formaggi — ad un terzo è imposta una contribuzione ibuzione di latte e di panetti gialli — tuttociò a beneplacito del signor Augusto e del suo terribile squadrone.

La famiglia Regola, in tali ricorrenze annue, somiglia ad un drappello di soldati, cui il generale abbia tolto il freno d'ogni disciplina.

La parola d'ordine è: divorate!

Inutile aggiungere che i figli del regio impiegato, interpretando quest'ordine nel senso più lato, divorano colle mascelle, e più ancora colle saccoccie, e perfino colle borse da viaggio.

Oltre ai parenti ed agli amici comuni a tutta la famiglia, ciascun figlio del signor Augusto ha in Brianza una balia od un baliotto da aggredire...

Nel saccheggiare la cascina ed il granaio di un baliotto, i Regola diventano feroci...

Quegli sciagurati ragazzi divorano ciò che veggono... Il loro appetito somiglia all'esplosione di un bisogno a lungo condensato, di una fame economizzata lentamente nei dodici mesi dell'anno, una fame che vuol disfogarsi in una settimana, colmare in un minuto il vacuo di eterni digiuni!

Il signor Augusto Regola attribuisce l'indomabile appetito dei suoi figliuoli all'influenza dell'aria campestre e delle insolite passeggiate...

Ma queste spiegazioni fisico-igieniche, che il regio impiegato ripete ogni anno ai suoi ospiti, non scemano in essi la meraviglia del fatto.

Il passaggio della famiglia Regola per molti pacifici abitatori della Brianza è considerato quale una calamità periodica. — I più l'attendono rassegnati — taluni, men generosi, o già troppo infastiditi dalle precedenti esperienze, si sottraggono al pericolo esigliandosi per breve tempo dalle proprie abitazioni...

Gli osti di Canonica, sebbene non facciano le più festose accoglienze al signor Regola, che ad ogni costo vuol chiamarsi loro cugino, non hanno mai negato di dare alloggio gratuitamente a lui ed alla sua numerosa famiglia. Quanto alla cena, da oltre venti anni, sembra tacitamente convenuto che il signor Regola debba pagarla, salvo il diritto ai ragazzi di andar in volta per l'osteria a spigolare su tutte l e mense qualche frutto, ciambella, o crosta di formaggio, risparmiati dall'altrui appetito.

Il signor Augusto Regola è sceso dalla carrozza come uomo sicuro del fatto suo... Egli abbraccia l'ostessa, saluta con molto bel garbo i circostanti, sorride a tutti, esclamando a voce alta:

— Eccoci qui anche quest'anno, mia buona cugina... Noi siamo fedeli ed esatti... noi. L'anno scorso siamo arrivati il ventisette settembre alle ore cinque e quattordici minuti, più qualche secondo... Quest'anno abbiamo posticipato di venticinque ore circa... Il mio infallibile segna le otto e dodici minuti... Ho detto circa per la differenza dei secondi... Ebbene! abbiamo noi un paio di camere per questa notte?...

— Oh! vedremo di collocarla, signor commissario... Mi spiace che le camere dai letti doppii sieno già occupate... Non posso disporre per lei che di due gabinetti e due sofà...

— Due gabinetti sono anche di troppo per noi, mia ottima cugina. Uno pei maschi, l'altro per le femmine... La mia famiglia quest'anno si è diminuita... Ho perduto due figli, il Gaetanino e l'Albina..... Il primo è morto di una gastrica, l'altra di indigestione... Vediamo dunque quanti siamo... Uno.... due.... tre quattro..... cinque... Ma il conto è presto fatto... Dodici figli, io e mie moglie... somma totale: quattordici... Se siamo riusciti a collocarci tutti in quella vettura, troveremo il modo di accomodarci anche nei due sofà... Ebbene, figliuoli miei?.. siamo noi pronti?...

— Sì, papà!...

— Fianco destro! conversione a sinistra! entrate là dentro in compagnia della nostra buona cugina.... Io pago il vetturino, poi vengo a raggiungervi per ordinare la cena... Eh! la nostra brava cugina tiene sempre le casseruole ben fornite! Io sento già un odore di stufato, che risusciterebbe i morti!.... Da bravi, figliuoli!... Avanti... e con ordine.

La prole del signor Regola si precipita in massa nella cucina. I fanciulli si fermano dinanzi ad una tavola ove sta cenando un signore magro e brutto in compagnia d'un giovanetto più magro e più brutto di lui, ma vestito con somma e leganza.

Le due figlie più adulte del regio impiegato, quasi coetanee, l'una all'altra somigliantissime nelle fattezze del volto e nella struttura del corpo, perchè losche ambedue e rattratte in una spalla, coll'occhio destro cercano magnetizzare un signore che fuma presso il camino, col sinistro un cappone che fuma sul fornello.

Il signor Regola è riuscito a sbarazzarsi del vetturino, ma prima di metter piede nell'albergo, egli si consulta colla propria moglie sul genere della cena che quella sera vuol essere adottato.

Trattandosi di dover pagare, bisogna conciliare gli interessi dello stomaco cogli interessi della borsa — bisogna trovare un palliativo al tremendo appetito della vorace famiglia.

Dopo breve discussione, i due coniugi finiscono a mettersi d'accordo, decidendosi in favore del torbolino!

Fermi in questa risoluzione, essi entrano nella cucina, affrontando coraggiosamente i reclami dell'esercito affamato...

— Ebbene! dice il signor Regola all'ostessa — che c'è di buono in quelle casseruole? Abbiamo noi qualche cosa... qualche piatto casalingo... e sostanzioso...

— Abbiamo ciò ch'ella può desiderare, risponde l'ostessa — Vuole un buon pezzo di stufato... numero uno, prima cottura?

All'idea dello stufato tutti gli occhi della famiglia Regola, tutte le bocche si spalancano e si convergono nel volto di papà...

— Che ne dici, Teresa?... sentiamo il tue voto sullo stufato...

— Alla sera gli è un po' pesante tanto più che qui in campagna bisogna andar a letto di buon'ora....

— Ebbene! vediamo se vi è qualche cibo più leggiero.

— Avrei dei funghi cotti alla spazzacamina..... dice l'ostessa.

I fanciulli riaprono gli occhi e le bocche...

— Eh!... funghi... che ne dici, Teresa?... Eccellenti i funghi... alla spazzacamina! Peccato che due ore fa abbiamo mangiato del latte a Biassonno!

— Sicuramente! ripetè la moglie del regio impiegato — abbiamo bevuto del latte a B iassonno...

I figli del signor Regola cominciano ad impazientarsi... L'un d'essi ha la sfrontatezza di borbottare a voce abbastanza intelligibile: sono già sette ore che l'ho digerito io... il latte di Biassonno!... Oh! vedo... che si finirà coll'andare a letto senza cena!

L'ostessa, non meno impaziente, fa di mala voglia nuove proposte al signor Regola.

I pesci fritti vengono rifiutati in grazia delle scaglie.

Le uova perchè indigeste alla sera.

I formaggini di capra perchè troppo eccitanti.

L'insalata perchè troppo deprimente...

— Oh! mi viene un'idea! esclama il signor Regola battendosi la fronte, come uomo galvanizzato da subita ispirazione. — Una cena poetica! una cena di occasione!... Se bevessimo... del torbolino!... Del torbolino dolce! che ne dite, figliuoli?... Quattro fette di pane nel torbolino: non è questa la migliore delle cene?... Da bravi! attorno alla tavola!... sedete... La nostra brava cugina ci fornirà quattordici bicchieri puliti e due boccali.... no!.... basteranno sette bicchieri... Il torbolino riscalda.... Dunque sette bicchieri.... del più fino! due pagnotte di mistura!... Ed ecco improvvisata una cena di nuovo genere... una cena gustosa... nè troppo grave allo stomaco, nè troppo leggiera... Che ne dite, figliuoli?

I ragazzi minori di dodici anni gridano viva! battendo le palme. Non così i più adulti, nella cui immaginazione insiste l'idea dello stufato coi funghi e d'altri commestibili più sodi, del cui profumo è voluttuosamente impregnata l'atmosfera. Le due zitellone losche tengono continuamente gli occhi rivolti al cappone ed al signore che fuma.

Mentre le figlie dell'oste distendono le tovaglie e dispongono i bicchieri, madama Regola trae in disparte l'ostessa per chiederle informazioni sui vari personaggi che si trovano in cucina.

Madama Regola, come tutte le madri che hanno figliuole da maritare, in campagna come in città, va in cerca di un partito... Sotto la denominazione di partito, madama Regola intende tutti gli uomini più o meno giovani, più o meno civili, che avrebbero i requisiti necessari per sposare una delle sue ragazze.

— Chi è quel brutto signore... che siede là in fondo... in compagnia di quell'altro signorino ancora più brutto? chiede madama Regola all'ostessa.

— L'uno è il professore Adanulfo Schiena, un talentone che parla poco e in modo che nessuno lo capisce... L'altro è il contino Bisciolla, che quest'anno ha ottenuto il permesso di fare il suo primo viaggio di istruzione... e percorre la Brianza sotto la tutela del professore...

— Il contino è molto giovane, pensa madama Regola — non può avere più di dieciasette o dieciotto anni — sarebbe un partito da coltivarsi per la Geltrude o per la Tilde... Quanto al professore... se fosse celibe... si potrebbe combinare un affaretto colla Melpomene o coll'Agatina... Ma chi è quell'altro che sta ritto in piedi dinanzi al camino?...

— È un signore, di cui non conosciamo il nome, ma è certo un gran signore... Egli ha la passione della pesca; i nostri contadini lo chiamano il terrore del Lambro.

— Credete voi che egli sia ammogliato?

— Non ne so nulla! risponde l'ostessa, che avendo essa pure due figlie a maritare, ha fatto qualche calcolo sul signore dal pesce.

Ma la tavola è imbandita. — I bicchieri sono disposti in giro — il regio impiegato distribuisce solennemente le fette di pane...

Finalmente il torbolino comparisce sulla tavola fra le acclamazioni entusiastiche dei fanciulli...

— Adagio!... uno alla volta! grida il signor Augusto versando il liquore... Bevete con riguardo!... È un vino che dà alla testa!... A voi altri piccini basterà mezzo bicchiere!... Viva il torbolino!

— Viva il torbolino! strillano in coro i ragazzi.

In quel punto tre nuovi personaggi entrano nella cucina. L'un d'essi, sollevando con una mano un largo cappello alla calabrese, urla con una voce da stentore;

— Viva l'Italia! viva Garibaldi! viva la democrazia!...

— Viva l'Italia! viva Garibaldi! rispondono con un sol grido i commensali, ad eccezione del contino Bisciolla, che diviene rosso rosso, e interroga collo sguardo il professore...

Madama Regola e le sue ragazze divengono radianti... Tre giovani di condizione più o meno civile passeranno la notte nell'osteria... Tre giovani! probabilmente tre partiti! È la Provvidenza che li manda!

La padrona dell'albergo, sebbene abbia detto poco prima al signor Augusto di non aver altre camere libere, non trova difficoltà ad alloggiare i tre giovani, tanto più che l'un d'essi ha prevenuto molto favorevolmente l'albergatrice ordinando ad un tratto una pinta di vino.

— Se vogliono passare nella sala... dice l'oste ai nuovi arrivati.

— Nella sala!... noi nella sala!... esclama l'uno dei giovani... Ove trovare miglior sala di questa?... Siamo democratici noi!... Col popolo! col popolo! sempre col popolo!

A tale linguaggio chi non ravvisa Teobaldo Brentoni, il fanatico repubblicano, che abbiamo lasciato nel convoglio della ferrovia?...

A Monza egli s'è cambiato i pantaloni e il gilet... Col rinnovarsi della toelette, egli ha riacquistato il suo buon umore, il suo coraggio, il suo fuoco democratico... Ed ora egli è più che mai risoluto di continuare nella sua missione, a costo anche di incontrare il martirio.

I due giovani, che con lui sono entrati nell'osteria, appartengono alla classe di quegli ingenui, che quando escono da Milano, si credono padroni del mondo, e vanno attorno per le borgate e i villaggi di provincia spacciando frottole, o dandosi l'aria di gran signori e d'uomini d'importanza. Teobaldo Brentoni li ha trovati sul proprio cammino, e si è unito ad essi per convertirli alla fede repubblicana.

— Cittadino Quinetti! cittadino Zammarini! accomodatevi là su quella panca... Dice il Brentoni ai due giovani. Con permissione di questi altri cittadini... io passo dall'altra parte...

Ciò detto, il fiero democratico mette un piede sulla tavola ove cena il contino Bisciolla col suo professore, e d'un salto arditissimo va a sedere sull'altra panca.

Teobaldo Brentoni ha studiata la posizione. — Dal punto ov'egli si è messo può dominare la sala.

Avvezzo alla presidenza delle assemblee popolari, Teobaldo Brentoni vuol essere veduto, ascoltato, ammirato...

Più di trenta persone sono nella cucina, oltre i cani, i gatti ed i polli.

Che bel colpo per il presidente della Società della morte, — convertire in una sera al vangelo della democrazia più di trenta persone e una dozzina circa di quadrupedi!


III.

Durante la cena.


L'invasione della famiglia Regola ha messo di cattivo umore il pedagogo Adanulfo Schiena e il pescatore dilettante, personaggi di indole oltremodo pacifica.

Il professore, che poco dianzi aveva dato saggio di inesauribile facondia spiegando al suo nobile allievo ed alla famiglia dell'oste l'etimologia di vari paesi della Brianza, stordito dalle grida dei fanciulli e più ancora dalla marziale disinvoltura di Teobaldo e de' suoi due colleghi, corruga la fronte, e brontolando sottovoce un distico greco, accenna al contino di sbrigarsi nella refezione, per ritirarsi il più presto possibile negli appartamenti superiori.

Mentre i figli del signor Augusto si contendono le ultime stille del torbolino rimasto nella bottiglia, Teobaldo onde predisporre i circostanti ad una allocuzione democratica, si alza impetuosamente, e levando il bicchiere ricolmo sul capo del contino Bisciolla, propone un brindisi all'unità d'Italia!

— Viva l'Italia! rispondono in coro gli astanti.

— Viva Vittorio Emanuele, il re galantuomo! soggiunge l'impiegato regio levandosi il cappello.

— Viva l'eroe di Varese, di S. Fermo, di Marsala, di Palermo, l'invitto generale Garibaldi! prosegue Teobaldo con maggiore vivacità!

— Viva Garibaldi!

— Papà! papà! non ho più vino per fare il brindisi, grida un fanciullo di circa dieci anni, stendendo il bicchiere al signor Regola, che questa volta non ha risposto al viva di Teobaldo.

— Vieni qui, bel fanciullo; il vino te lo darò io, dice Teobaldo. — Chi non beve alla salute di Garibaldi non può essere buon italiano.

— Se il papà mi permette...

— Poichè il signore è tanto buono da... E trattandosi anche di onorare un illustre personaggio, che ha fatto adesione al nostro re amatissimo, io non ho difficoltà per questa volta...

— Viva Garibaldi! grida il fanciullo dopo aver vuotato un bicchiere di vino eccellente...

E tosto le guancie del fanciullo si fanno di porpora, e gli occhi vibrano lampi di luce.

— Resta ancora un brindisi a farsi, mio bel figliuolo, riprende Teobaldo... Non bisogna dimenticare nessuno degli uomini insigni, che cooperarono alla redenzione dell'Italia... Sarebbe ingratitudine, sarebbe viltà!... Pur troppo vi hanno taluni, che disconoscono i servigi resi alla patria da quell'indomabile cospiratore, che parlò quando tutti tacevano, che gettò un guanto di sfida a tutti i tiranni di Europa, che creò colla potenza della sua parola tanti eroi e tanti martiri... Sai tu, figliuolo mio, di chi intendo parlare?...

Il fanciullo fissa in volto a Teobaldo due occhi stralunati... Egli vorrebbe indovinare il pensiero del suo interlocutore, onde procacciarsi la di lui benevolenza e ottenere qualche ghiotto boccone, in ricambio della sua perspicacia...

Dopo breve silenzio, il fanciullo batte le palme, monta sovra una sedia, e attirando l'attenzione dell'adunanza, strilla a tutta voce: Oh! lo so ben io... Ora mi rammento...

— Qua il bicchiere, figliuolo mio! e beviamo un altro sorsetto alla salute del grande uomo. Dunque... viva chi?

— Viva Gyulai! grida il figlio del signor Regola alzando il bicchiere.

Questo brindisi inaspettato eccita un mormorio di riprovazione in tutti i circostanti. Teobaldo lascia cadere il bicchiere sul piatto del conte Bisciolla, e la moglie del regio impiegato levasi furiosa dal proprio scanno, dirigendosi alla volta del fanciullo:

— Sei tu già ubbriaco? gli grida — e ti pare che queste sieno cose da dirsi nemmeno per burla?... Gridare: viva Gyulai!... Ma come mai ha potuto venirgli in mente!... Giù da quella sedia, briccone! a letto, a letto subito!... S'è mai dato uno scandalo di tal genere?...

Il fanciullo, confuso e pieno di vergogna, rimane immobile in sulla seggiola — la riprovazione dei circostanti, le invettive della madre, gli sguardi minacciosi delle sorelle, lo commovono siffattamente, ch'egli prorompe in lacrime dirotte, e coprendosi gli occhi, esclama con voce mezzo dolente, e mezzo stizzosa:

— Che volete che mi sappia io?... Due anni fa il papà mi insegnava a dire: viva Gyulai!... Ed anche la mamma... e quanti venivano in casa nostra dicevano tutti che Gyulai era un grand'uomo... che bisognava onorarlo...

— Zitto là, impertinente! grida la signora Regola, pigliando il figliuolo per un braccio e tirandolo dalla seggiola, mentre tutta la sala si leva di nuovo a rumore.

Ma questa volta non è più un mormorio di sorpresa e di indignazione — sono parole di scherno, e risa, e motteggi, che vanno a ferire il cuore del signor Augusto Regola e di tutta la sua rispettabile famiglia.

Teobaldo Brentoni stende la mano al fanciullo lacrimoso, e, offrendogli quattro marroni, gli susurra all'orecchio alcune parole.

Il fanciullo terge le lagrime, e dopo avere ingozzati i marroni, sale di nuovo sulla seggiola come un oratore sicuro del fatto suo, che ha trovato un argomento per riabilitarsi nell'opinione del pubblico.

— Mio bel giovanetto, grida Teobaldo levandosi in piedi; le parole che ti sono sfuggite dal labbro sono il frutto della corruzione e della servilità, che uomini traviati e prostituiti allo straniero hanno seminato nel tuo animo innocente. Ma tu appartieni alla nuova generazione, alle nuove idee; tu sei in tempo a rigenerarti nel battesimo delle dottrine liberali. Su dunque gentil giovanetto! Le tue labbra sieno le prime a proferire stassera il nome di colui, che i più sembrano avere dimenticato, e a cui l'Italia va debitrice delle franchigie ottenute. Viva dunque?... Viva chi?...

— Viva Giuseppe Mazzini! esclama il fanciullo con tutta la sua voce.

— Viva Giuseppe Mazzini! rispondono il Quinetti, lo Zammarini ed altri pochi.

Augusto Regola, che poco dianzi non avea trovato parole per riprendere il figlio dell'imprudenza commessa, al nome di Giuseppe Mazzini balza in piedi... si percuote la fronte, si tura colle mani gli orecchi... muove alcuni passi verso il fanciullo, poi vacilla, e cade, gridando con voce convulsa:

— A letto! a letto subito!... Mettetemi a letto... quel figliuolo! Cospettone!... La repubblica! Anche questa mi toccava udire! Oh, ma, signori miei... io non c'entro per nulla in questa faccenda! In casa mia... vi giuro... che mai... da nessuno fu proferito un tal nome!...

E la voce del regio impiegato muore strozzata da un impeto di terrore e di sdegno, che nessuno degli astanti avrebbero preveduto.

Oh! gli impiegati!... — Amico lettore: permetti ch'io sospenda il mio racconto, per invitarti a versare una lagrima sugli impiegati in genere, e sul signor Augusto Regola in ispecie!

Piangi! oh piangi, amico lettore, sugli impiegati prolifici! Quando tu avrai un impiego governativo, e per giunta una dozzina di figliuoli, griderai anche tu come il signor Augusto Regola: viva chi paga!

Teobaldo Brentoni dinanzi al vecchio illividito dallo spavento, ha perduto il coraggio delle proteste. Il fanciullo ha subito la sua condanna... Augusto Regola è fuggito dalla cucina traendo seco metà della famiglia...

Il regio impiegato non comparirà più mai in un luogo dove fu pronunziato il nome di Giuseppe Mazzini.

La partenza del signor Augusto Regola e della sua prole mascolina ha prodotto qualche sensazion e nella adunanza. Il professore Adanulfo Schiena si fa recare il conto, e già muove per ritirarsi in compagnia del suo nobile allievo, quando il Brentoni volgendosi al contino Bisciolla, che fino a quel punto era rimasto silenzioso cogli occhi bassi: — Che ne dite, cittadino, di questa scena? gli chiede. — Sareste anche voi per avventura impiegato regio? Io non v'udii rispondere all'ultimo nostro brindisi in onore del nostro grande agitatore dell'Italia, dell'apostolo dell'Idea!...

Il contino diventa rosso come bragia, e interroga cogli occhi il professore perchè gli suggerisca una risposta...

Il pedagogo si inchina gravemente — rialza gli occhiali sulla fronte — e risponde col naso:

— Perdoni la signoria vostra, ma tanto io che il mio nobile allievo, signor Conte Bisciolla, eravamo preoccupati da una discussione sulla etimologia della parola Lambro, che io farei derivare dal latino Lambere, come Seregno da Serenum....

— Come Albiate da Album, prosegue il contino sul tono d'un fanciullo che reciti la lezione. — Come Besana da Bacinum, Sovigo da Subjectum, Desio da Decius proconsole romano mandato da Tiberio a incivilire la Brianza...

Il professore e l'allievo, ricambiandosi un'occhiata di reciproca ammirazione, uscirono dalla sala.

— Oh! vedete di che vanno ad occuparsi quest'imbecilli! sclama il Brentoni seguendo collo sguardo i due che se ne vanno... Ecco di qual modo si pensa a fare l'Italia da questi birboni di moderati... E lei?... che ne dice di que' gaglioffi?... Non starebbero bene appiccati ad un lampione come due contrappesi?...

Il nuovo interpellato è il signor Mollasca, il dilettante di pescagione, che sta fumando presso il caminetto...

— Se non erro... il signore mi ha rivolta la parola...

— Ho chiesto il suo parere intorno a quegli animali malvacei... che grazie a Dio si sono allontanati...

— Io non ho prestato attenzione a quanto è accaduto... Mentre que' signori parlavano, io consultava l'oste per sapere se nelle roggie del terzo mulino sulla strada di Albiate si peschino ancora delle anguille e delle trote!...

— Oh! benedetti! benedetti voi, colle vostre etimologie e le vostre anguille! E dire che abbiamo i Tedeschi a Verona! i Francesi a Roma! gli Spagnuoli a Napoli! e i moderati a Torino... Sì! i moderati, più fatali all'Italia che non i Tedeschi, gli Spagnuoli e i Francesi!...

Il dilettante di pesca durante le invettive del fiero demagogo piglia un candeliere, fa un inchino alle donne, ed esce per andarsi a coricare.

— Oh! sta bene che se ne vadano costoro!... Vera peste della società! Obbrobrio della patria!... A voi! a voi, italiche fanciulle! a voi figliuole predilette della creazione! a voi cherubini della terra!... Scuotete voi questa razza codarda! Parlo a voi, creature fantastiche e belle, che avete il fascino nello sguardo, e nella mano una potenza vivificante!

Le figlie del regio impiegato allungano il collo... la signora Regola sorride al fanatico oratore, ed approva col moto della testa.

— Egli vi ha chiamate cherubini! avete sentito?... dice la madre alle figliuole... Ha detto che avete il fascino nello sguardo... Posso ingannarmi, ma qui si combina un matrimonio.

La più anziana e la più losca delle ragazze, supponendo che il giovine abbia indirizzato a lei questa ultima frase, gli rimanda un sospiro di ricambio.

— Ohi sì... io so bene ciò che voi desiderate... o creature fantastiche, prosegue il Brentoni sempre più animandosi. — La società infino ad ora vi ha tenute schiave, avvilite, conculcate... La religione vi ha incatenate buono o malgrado ad un solo individuo, che divenne il vostro tiranno... Le sante e pure aspirazioni delle anime ardenti furono soffocate, annientate da quell'incubo fatale che si chiama il matrimonio! — Ebbene! noi le distruggeremo queste leggi abborrite! Voi sarete libere! emancipate.... Non più la prostituzione delle nozze! Non più la servitù del matrimonio! Abbasso il matrimonio! Non è forse questo, o fanciulle, il grido dell'anima vostra contristata.... Voi t acete?.... Voi comprimete i singulti? Voi dissimulate i vostri più ardenti affetti dinanzi ad una società codarda, pronta sempre a condannarvi!...

Madama Regola è visibilmente sconcertata da sì inattese conclusioni. A un tratto ella balza in piedi, e con un gesto da Lucrezia romana: figliuole, dice, è ora d'andarcene a letto!... Questo signore ha certe idee...

— Peccato! mormora la Geltrude... Un bel giovinotto!...

— Voi partite, signorine belle? chiede il Brentoni, vedendo che il suo discorso ha prodotto un effetto contrario alle sue speranze. — Vi ho forse offeso con qualche parola?... Vi spiacerebbero forse le mie teorie?

— Poichè volete saperlo, dice madama Regola... io credo che queste mie figliuole, in fatto di matrimonio, abbiano delle idee affatto diverse da quelle che voi avete espresse...

— Possibile! esclama il Brentoni con quella ingenua sorpresa, che è propria di tutti gli esaltati, quando il caso li richiami sul terreno della realtà... Possibile che queste signorine... non dividano con me l'orrore di questa schiavitù legalizzata... che si chiama il matrimonio?

— Pur troppo... non possiamo dividerla!

E tutte le ragazze se ne andarono come uno stormo di oche, modulando in diversi toni: pur troppo!

La cucina era quasi deserta... Lo Zammarini e il Quinetti, che dapprima parean prendere il più vivo interesse alla animata eloquenza di Teobaldo, s'erano addormentati ai lati dell'apostolo. L'albergatore e l'ostessa coi loro sbadigli accennavano il desiderio di ritirarsi.

— No! io non dormirò in questo albergo! disse il Brentoni! C'è troppa malva! Non vorrei che le esalazioni mi avvelenassero... Ehi di là! c'è qualche buon figlio del popolo che voglia rendermi il servigio di accompagnarmi a Ponte d'Albiate?

Un contadino, che in tutta la serata era rimasto silenzioso in un angolo della cucina, facendosi innanzi al Brentoni, e levandosi il cappello: signore, gli disse: s'ella non sdegna la compiacenza d'un povero contadino, ma onesto... e italiano di cuore... io la condurrò a Ponte d'Albiate.... come ella desidera!... Viva l'Italia! Viva Garibaldi!...

— Ecco un uomo che mi va a genio! sclama il Brentoni. — Fratello!... trinchiamo insieme un bicchiere! Si paghi il conto... e si parta!

Amen! risponde il contadino portando la mano al cappello come un vecchio militare.

Il Brentoni saldò il conto senza far repliche. — Il contadino si prese sotto braccio la borsa del forastiero; e tutti e due uscirono fuori in sulla piazza.

— Oh, vedi che bella notte stellata!... Che azzurro sereno!... E dire che sotto questa vôlta sì pura, sotto questo padiglione gemmato, nascono e crescono tanti cretini, tanti animali da capestro!... Oh! ma io non posso... non debbo maledire all'Italia.... E non è forse questa la terra di Dante, di Machiavelli e di Galileo?...

— Signor no! rispose il contadino, che a bocca aperta avea ascoltate le inspirate parole del fiero patriota. — Signor no! Queste terre... sono in parte del conte Taverna, in parte del signor Tinelli...

— Al diavolo i cretini! grida il Brentoni, strappando la borsa dalle mani del contadino. Lasciami andare... che troverò da me solo la via! Possibile che in questi paesi non incontri un essere che mi comprenda!


IV.

La domenica a Ponte d'Albiate.


Se mai vi prende la buona ispirazione di recarvi nei mesi di estate a villeggiare in qualche paesello della Brianza, io vi consiglio di arrestarvi a Ponte d'Albiate.

Giunti colà, cercate prendere alloggio all'albergo del fornaio Giuseppe Galbiati. Avrete una buona camera, biancheria pulita, servizio pronto, tuttochè può formare il confortabile della vita — e per giunta vino squisito e certi intingoletti solleticanti, di cui la sig nora Felicita moglie dell'albergatore possiede il segreto.

Teobaldo Brentoni, procedendo nel suo viaggio, pervenne all'albergo del signor Galbiati verso mezzanotte.

Tutti erano coricati, e dormivano del sonno più profondo.

Teobaldo, a forza di gridare, e gettar sassi alle finestre, riusci a destare Sciaballino il cane guardiano; questo svegliò i tacchini, i tacchini svegliarono le oche, e quello chiarivari di voci animalesche riscosse in breve tutti gli abitanti del paese, l'oste compreso.

L'arrivo del terribile rivoluzionario produsse la più viva sensazione.

All'indomani — era giorno di domenica — nel cortile dell'albergo tutti parlavano del giovane sconosciuto, che nel cuore della notte avea con tanta insistenza disturbata la pubblica quiete.

— Chi sarà? Donde venne? Fin quando si trattiene?

— Io non gli ho chiesto nulla, risponde l'oste. L'ho condotto nella sua camera, gli ho dato la buona notte, e finora non è ricomparso...

Frattanto il cortile sempre più va riempiendosi di curiosi. I villeggianti, uomini e donne, vengono a chieder novelle dell'insolito chiasso avvenuto la notte.

Ma un suono di tromba ha richiamato l'attenzione di tutti. Un contadino di circa trent'anni, con due grossi tacchini in sulle spalle, si fa in mezzo alla brigata, e saluta rispettosamente gli astanti.

I fanciulli battono le mani — Viva il Malo Amen! si grida da ogni parte — Presto! in giro le cartelle!... Vediamo chi sarà il fortunato!

Il contadino depone le due vittime nel mezzo della tavola, e si prepara a far l'estrazione di una tombola, gridando a tutta voce:

— Avanti, signori!... non vi sono che dieci cartelle disponibili!... Chi non risica non rosica!... Da bravi!... Ma ecco un signore, che senza dubbio vorrà favorirmi... Se non erro, è quello istesso, che ieri a sera cenava all'albergo di Canonica, e a cui ebbi l'onore di indicare il cammino per Albiate...

Infatto Teobaldo Brentoni, svegliato dal suono della tromba, era balzato dal letto, e veduta tanta gente nel cortile, era disceso colla speranza di poter sfoggiare qualche arringa rivoluzionaria.

Alla vista delle cartelle e dei tacchini, la fronte dell'apostolo divenne crespa...

— Ecco di qual modo si educa il popolo, mormorò Teobaldo... Coi giuochi d'azzardo!... colle lotterie!... E dire, che non si è ancora pensato dal governo a togliere di mezzo questa immoralità legalizzata che si chiama il giuoco del lotto!... Povera Italia!

Malo Amen, non potendo immaginare quale profonda indignazione fremesse nell'anima del giovane repubblicano, lo salutò del più amabile sorriso, offrendogli due delle cartelle rimaste vacanti.

— Eh! non hai capito ch'io non so che farne delle tue cartelle! disse il Brentoni volgendo le spalle. — Abbiamo ben altro per la mente, noi uomini d'azione, che questi inutili spassi inventati dalla malvacea fantasia di chi vuole l'Italia eternamente schiava ed oppressa!

— Ma che s'ha dunque a fare qui in campagna per passare il tempo? chiede una giovanetta, la quale divenne rossa come brage in udire le parole del Brentoni. — Le giornate sono tanto lunghe.... e il divertimento della tombola sì breve...

Malo Amen colle sue cartelle nella mano è rimasto immobile come don Bartolo.

— E siete voi, bella giovanetta dalle guancie di rosa, siete voi che mi chiedete come dobbiate impiegare utilmente i vostri giorni! Aprite i sacri volumi della istoria greca e romana, e vedrete di qual modo utilizzassero il tempo quelle fiere indomabili eroine dei tempi vetusti, allorquando la patria era in pericolo!... Parlate colle figlie dei Focioni e degli Epaminonda! Interrogate le spose dei Gracchi e dei Scipioni. Le nipoti dei Leonida, dei Milziadi, dei Cocliti, dei Bruti, dei Ligarii!...

— Tutti questi signori villeggiano forse nelle vicinanze? chiede ingenuamente la padrona dell'albergo.

— Eh! non v'è pericolo! Sono gente di cu i oggimai si è perduta la stampa! Io vi assicuro che quelli non erano uomini che perdessero il loro tempo a far delle tombole.

La madre della giovinetta, cui il Teobaldo ha rivolto più direttamente la parola, vedendo che la figlia non osa rispondere, balza in piedi come una vipera schiacciata nella coda, e lanciando all'oratore uno sguardo iniettato di veleno:

— Signore! esclama; quanto alle nostre figlie, noi possiamo vantarci ch'esse non mancarono mai nelle grandi occasioni ai loro doveri di cittadine e di buone italiane... Nel 1848 la Gigietta lavorava a preparare le bandiere tricolori e a sfilare i tovagliuoli per medicare i feriti... La Teresina sa fare tutti gli esercizi militari come un veterano... La Bersabea, due anni fa, quando vennero i Francesi e i Piemontesi, passò le intere notti presso il letto dei feriti... Ella ha guarito dieci zuavi, sette bersaglieri, ed un turcos — questo ultimo fu tanto contento dell'assistenza ricevuta, che non ha mai cessato di scriverle... Lettere che fan piangere i sassi!... Ella vede, mio bel signore, che a tempo debito non siamo state colle mani alla cintola. Se oggi siamo qui a rischiare una cartella alla tombola, domani, ove il caso si presentasse, tanto io che le mie figliuole sapremmo maneggiare altri strumenti!

— Brava!

— Bene!

— Viva la signora Carlotta! gridano i circostanti. Il Malo Amen, che più degli altri si tiene offeso dalle marziali declamazioni di Teobaldo, sendo egli l'iniziatore e il promotore della lotteria, prende coraggio dall'esempio, e prosegue con calore:

— La signora Carlotta ha detto benissimo.... Oggi la tombola, domani le palle di piombo!... Anche io non ho mancato al mio dovere quando si trattava di combattere per la patria, e di cacciar via quei maledetti tedeschi! Ho ancora in tasca la ricevuta del denaro, che portai al Comitato di Milano per un milione di fucili richiesti dal conte Giuseppe Garibaldi!... Due franchi, capisce, mio bel signore! Io, povero contadino di Albiate, ho dato due franchi! E conosco tanti conti, marchesi, baroni e cavalieri, i quali hanno avuto paura a cavar di tasca un quattrino...

— Ed io mi sono battuto a fianco di Garibaldi, a Varese e a San Fermo! salta su un giovinetto — e se il papà non mi avesse trattenuto, avrei preso parte alla spedizione di Sicilia! Ma ecco qui altri due, i quali si sono battuti!... Il Peppino ha avuto anche la fortuna di essere fra i mille che sbarcarono a Marsala.... Il Giovacchino partì colla seconda brigata, ed ebbe parte al combattimento di Milazzo!... Se il signore ha fatto parte di quella spedizione, certo deve averli conosciuti... Il Peppino fu creato sergente sul campo di battaglia... L'altro era tamburino nella brigata Medici, ed ha riportato il tamburo crivellato di palle!... Non si ricorda ella, di averli veduti, questi due biricchini?

Teobaldo Brentoni — avrei dovuto prevenirne il lettore — avea molta energia di carattere, era un'anima ardente di patriotismo e di liberali aspirazioni, ma fatalmente aveva sortito dalla natura una istintiva ripugnanza per le armi da fuoco e da taglio. Adoratore fino all'esagerazione dell'altrui eroismo, invano egli avea lottato contro la propria natura per diventare un eroe. La vista di un fucile gli paralizzava la favella — il suono di un tamburo gli metteva il capogiro — il bagliore di una baionetta lo arrestava istupidito come occhiata di basilisco. Questo orrore istintivo per gli istrumenti di distruzione più volte lo avea compromesso nell'opinione de' suoi correligionarii politici. Nel 1859, quando il fiore della gioventù lombarda varcava furtivamente il Ticino per ripassarlo coll'esercito trionfatore, Teobaldo si adoperò ne' circoli segreti ad infiammare l'ardore dei giovani, a favorirne l'emigrazione. Ma giunse l'ora fatale del combattimento... Teobaldo avrebbe dovuto emigrare.... seguire la sorte degli amici... arruolarsi... prender le armi. A quell'epoca il giovane rivoluzionario scomparve... Lo si cercò a Torino, lo si cercò a Milano... Nessuno ebbe nuova di lui fino dopo la battaglia di Magenta. A quell'epoca ricomparve sul corso di porta Renza con cappello alla calabrese e camicia rossa... e pochi giorni dopo instituì in Milano la Società della morte eleggendosi egli stesso a presidente. In breve tempo, a forza di predicare, gridare, inveire contro il ministro Cavour; a forza di redarguire la politica piemontese e le iniquità del governo, a forza di compiangere il povero popolo, promettendo agli operai un beato avvenire d'ozio, di vagabondaggio e di ricchezza, Teobaldo era riuscito a guadagnarsi la simpatia di tutti i malcontenti. La spedizione di Sicilia venne in mal punto a creargli nuovi imbarazzi. La gioventù animosa, i veri uomini di azione di nuovo correvano alle armi... Garibaldi era già partito e sbarcato a Marsala coi Mille... Medici lo avea raggiunto a Milazzo.... La parte più eletta della Società della morte aveva disertato dal club per correre sul teatro della guerra. Il presidente nell'enfasi delle sue arringhe più volte avea dichiarato vili e traditori della patria tutti coloro, che essendo in grado di maneggiare un fucile, non correvano ad ingrossare le file dell'esercito rivoluzionario. Ma anche sta volta l'orrore delle armi da fuoco e da taglio esercitò sull'anima di Teobaldo un influsso fatale. Il presidente della Società della morte un bel giorno disparve da Milano, e mentre buona parte de' suoi conoscenti ed amici spendevano generosi la vita per redimere dalla tirannia borbonica le più belle provincie d'Italia, egli rifugiossi a Tartavalle per far la cura delle acque ferruginose. — Queste istorie eran note a Milano — molti le ripetevano sommessamente — i più arditi si erano anche permessi di fare dinanzi a lui delle allusioni poco favorevoli... Fatto è che Teobaldo, sebbene avesse riconquistato dopo la guerra il suo posto di presidente, sebbene fosse riuscito a giustificare la sua condotta mostrando le migliori disposizioni di prender parte a tutte le guerre avvenire, ogni qualvolta gli accadeva di trovarsi in mezzo ai veri soldati dell'indipendenza e della libertà, smarriva il coraggio, si turbava, perdeva la parola, e stava nell'attitudine di un reo convinto.

Tal rimase appunto il nostro apostolo rivoluzionario quando si accorse che buona parte dei giuocatori di tombola avevano contribuito assai meglio di lui alla indipendenza ed alla libertà d'Italia.

E poichè il Malo Amen esitava a cominciare l'estrazione dei numeri, come chi attenda; e dall'altra parte il Brentoni, da quel sincero cittadino che egli era, non osava mentire innanzi alla numerosa brigata; questi prese il partito di chiedere il conto all'oste e di uscire dall'albergo gesticolando come un invasato. Egli marciava a gran passi imprecando contro la natura matrigna, che donandogli tante belle disposizioni per divenire un eccellente patriota, gli avea messo nel sangue quel maledetto istinto di ripugnanza per le armi da fuoco e da taglio.


V.

Una festa popolare a Besana.


Quella domenica c'era gran festa a Besana.

Sul magnifico piazzale, donde l'occhio si stende ai più ridenti paesi della Brianza, una folla immensa di popolo attende l'arrivo delle Guardie Nazionali di Desio e di Camnago.

I villeggianti delle terre vicine sono accorsi a godere dello spettacolo. Nelle vie si arrestano superbi equipaggi — dai poggi e dai giardini sovrastanti alla piazza le belle milanesi sfoggiano pittoreschi abbigliamenti. Tutti i volti spirano allegrezza. Queste fratellevoli dimostrazioni, queste solennità marziali, mentre giovano a stringere gli animi in salda concordia, esaltano la fantasia nel popolo, gli ispirano il gusto della libertà.

I militi di Besana sono andati incontro ai loro ospiti... Da lontano eccheggiano le trombe.... Le donne sporgono il braccio, agitando i fazzoletti — gli uomini battono le mani — dalla folla escono frequenti viva al Re, a Garibaldi, all'Italia...! Ed ecco le schiere, precedute dalle bande musicali, entrano trionfalmente nella piazza...

Non temete, o lettori... Io non descriverò le evoluzioni marziali e le gloriose manovre del popolo armato.... Voi forse ci prendereste molto interesse.... ma pazienza per questa volta!... Io non debbo perder di vista l'eroe della mia storia, tanto più che egli è giunto in Besana da due ore, ed ha già suscitato qualche lieve disordine...

Non precipitiamo la narrazione... Teobaldo, venendo da Ponte di Albiate a Besana, avea trovato i suoi due colleghi, lo Zammarini e il Quinetti, i quali, sapendo della festa, muovevano per lo stesso cammino. Sì l'uno che l'altro avean passata la notte a Canonica, una notte poetica, dicevan essi... La famiglia Regola era stata in combustione per causa del torbolino... Le figlie del regio impiegato erano uscite più volte dalla loro stanza per... prender aria... I due giovani, attraversando l'anticamera, non avean potuto evitare degli scontri pericolosi... Infine, sui gradini della scala, all'oscuro, c'era stato uno scambio poco diplomatico di trattative, sicchè le parti contraenti avean giurato riavvicinarsi in Besana il giorno successivo.

Il Quinetti e lo Zammarini, narrando cotali istorie coll'enfasi che è propria dei millantatori, credevano interessare l'attenzione di Teobaldo e conciliarsi la di lui simpatia; ma appena giunti all'ingresso di Besana, il feroce repubblicano proruppe in una catilinaria di nuovo genere, e dopo aver esaltato le virtù delle donne, e inveito contro gli infami che osano profanarla con indegni attentati, abbandonò i suoi due compagni di viaggio, i quali confusi e storditi si diressero verso la piazza.

Nel punto in cui le bande musicali davan principio al concerto, il Quinetti e lo Zammarini riuscirono ad introdursi nel giardino del preposto, dove la famiglia Regola li aveva preceduti. È inutile aggiungere che i figli dell'impiegato regio avean ridotte le aiuole e le piante fruttifere come se vi fosse passata la gragnuola.

Che è? che non è?... Un attruppamento in sulla piazza... Voci che gridano: morte! Pugni levati... gesti minacciosi.... gente che accorre da ogni parte. — Questi interroga — quell'altro narra — poi tutti a parlare in una volta... E di tratto in tratto urli spaventosi dalle masse...

1 concerti della banda sono cessati... i militi si d isperdono in varii gruppi. — Tutti voglion conoscere la causa dell'improvviso disordine...

Il Quinetti e lo Zammarini, malgrado l'opposizione delle sorelle Regola, scendono dal poggio nella piazza, e a forza di spintoni si aprono il passaggio fino al centro della folla, ove cinque o sei villani parlano con voce animatissima.

— Sapete voi che cosa ebbe il coraggio di dire quel mostro! Ha detto che i nostri della Civica sono tanti buffoni! grida l'un dei villani.

— Che!... noi buffoni?... noi della Guardia Civica! Ma dov'è quel birbone...?

— Ha detto che noi di Besana siamo tutti pagliacci, perchè perdiamo il tempo a far delle parate militari, invece di... prendere le zappe e le forche, e andare con quelle ad assaltare Verona...!

— Noi... pagliacci! noi di... Besana!... Ma perdio!... Datemelo nelle mani quella... carogna!...

— Chi è? dov'è?... Bisogna farlo in pezzi!...

— Egli era laggiù che predicava poco fa all'osteria della Sposa bella.

— No!... dall'osteria è venuto fuori... e si è fermato sull'angolo dell'oratorio, dove io l'ho udito dire ad alta voce che la nostra civica gli fa orrore.

— Morte! morte! si urla dal centro... E questo grido si ripete dall'una all'altra estremità della piazza.

Lo Zammarini e il Quinetti non hanno bisogno di udire altri discorsi per comprendere che l'uomo in quistione dev'essere il loro compagno di viaggio.

— Che si fa? — bisogna salvarlo, dice il Quinetti. — Infin dei conti egli è nostro patriota...

I due giovani, manovrando di destrezza, escono dalla folla... Ma allo svolto della contrada, una mano robusta li ghermisce improvvisamente pel collare e li solleva da terra... L'autore di questo colpo di sorpresa è un contadino di Besana, il quale due ore innanzi aveva veduto il Quinetti e lo Zammarini in compagnia dell'apostolo rivoluzionario.

— Aiuto! misericordia! gridano i due sospesi, dibattendo le gambe e le braccia come gatti.

— Voi ci insegnerete dove si è rifugiat o colui, signori moscardini!... Voi dovete conoscerlo molto bene... In ogni caso sapremo da voi nome, cognome e patria di quel bel mobile...

— Diremo tutto!.... metteteci a terra!.... gridano i due martiri con voce strozzata...

I fischi e gli urli della folla ingrossano minacciosi. Le due sorelle Regola, vedendo dall'alto del poggio due partiti di matrimonio sì gravemente compromessi, svengono fra le braccia della madre...

I contadini di Besana e di Desio, offesi nella loro Guardia Civica, inseguirono e cercarono Teobaldo Brentoni per tutto quel giorno. — Ogni strada, ogni sentiero furon perlustrati da grosse pattuglie... Come avviene in tali confusioni, i militi, non potendo agguantare il vero colpevole, per dar prova d'attività e di zelo, arrestarono il contino Bisciolla e il suo degno professore. Sì l'uno che l'altro furono sorpresi da una pattuglia mentre stavano discutendo se le iniziali S. C. scolpite in una lapide moderna, significassero Strada Comunale, o non piuttosto Senatus Consulto. Vennero legalmente arrestati come figure sospette.

E frattanto dov'era Teobaldo? — Teobaldo, dopo aver predicato due buone ore all'osteria della Sposa bella contro i Piemontesi, contro le Guardie Nazionali, contro i preti, contro i sindaci, contro i carabinieri, contro la Costituzione, contro il Parlamento, contro tutti; ai primi sintomi di procella erasi ricoverato in una botte.

All'indomani, un contadino tenero di cuore, il Malo Amen di Albiate, trasportava a Monza col suo carretto la botte misteriosa.

Ci viene assicurato che il Brentoni dietro l'esito di quella prima spedizione, abbia rinunziato alla dignità di presidente della Società della morte, dichiarando in pari tempo a' suoi colleghi che il popolo delle campagne non è maturo.


FINE.

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