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II.
Dal Capitan Fracassa – Roma 28 Aprile.
PER RAPISARDI
D’una importante dimostrazione è stata ieri spettatrice Catania. La scolaresca tutta di questa città, specie universitaria, giustamente risentita dalla guerra plateale, che, da qualche tempo, più di questi giorni, vien fatta al poeta Mario Rapisardi, ha voluto dare unanime prova d’affetto al suo illustre professore. Atteso sotto il portone dell’università all’ora della lezione, venne accolto e acclamato entusiasticamente, fra le grida di; viva Rapisardi, abbasso i detrattori!
L’egregio studente Maiorana, in nome dei giovani tutti, disse brevi ma belle parole le quali, oltre a una solenne protesta contro calunnie, includevano eziandio le più ampie rassicurazioni all’illustre uomo, che i giovani si sarebbero tenuti fortunati ov’egli, in qualunque modo, avesse voluto giovarsi di loro.
Il Rapisardi, commosso, mentre ringraziava di quella prova d’affetto la gioventù studiosa aggiungeva che, se alle diatribe contro il Lucifero aveva risposto col Lucrezio, anche ora unica risposta ai suoi detrattori sarebbe stata la serena concezione del Giobbe.
Applausi frenetici interruppero e coronarono tanto le parole del Maiorana, quanto quelle del Rapisardi.
In mezzo ad un silenzio religiosissimo s’ascoltò tutti la lezione, la quale ebbe a terminare anch’essa fra una salva fragorosa d’evviva.
Quindi, con la massima compostezza, l’illustre professore venne accompagnato al Gabinetto di lettura.
Questo è certo: mai s’è qui vista dimostrazione più ordinata, più decorosa, più spontanea.
Sin da quando Mario Rapisardi cominciò a porre su solide basi la sua riputazione di poeta e letterato insigne — gl’invidiosi, di cui in Italia, grazie a Dio, non s’è patito mai difetto, presero a malignare sulle intenzioni puramente artistiche del poeta catanese. Ma, impotenti da soli, pensarono bene e riuscirono a trarre dalla loro un nome illustre, all’ombra delle cui grandi ali essi si rifugiarono per tentare a ogni costo l’impresa demolitrice.
Fu atto egregiamente dignitoso, per l’illustre traduttore di Lucrezio, il coprire di silenzio e d’oblio il ringhiare impotente dei botoli.
Non così parve ai nostri giovani, i quali — fieramente gelosi della fama di colui ch’è rappresentante e palladio delle loro idee generose — si credettero in dovere di protestare.
E in questi sensi appunto era concepita la dimostrazione.
Palermo, è bene il confessarlo, ha innalzato prima il grido di protesta mercè la stampa.
Tanto meglio: la giovine letteratura palermitana s’è acquistato un titolo di più alla nostra simpatia.
Rapisardi n’è profondamente commosso.
Un’ultima parola, di cui sento forte bisogno.
Fa pena, davvero, il vedere ingegni robusti, le più cospicue personalità poetiche che vanti oggi l’Italia, guardarsi in cagnesco, senza una ragione al mondo. Voglia il cielo che si muti registro.
Etnèo