< Rime (Alberti)
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MIRZIA
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MIRZIA


     Udite e’ nostri lacrimosi canti,
di doglie pieni e de ira,
poi che m’è forza a discoprir mie pianti.
     Piangi con meco, piangi, o mesta lira;
5segui la doglia che copiosa iscende
col furor entro ch’al mio cor s’aggira.
     Come con l’aure la fiamma si stende
fra gli stridosi cispugli e virgulti,
così Amore in me sue faci incende.
     10Occhi piangete, e voi che indarno occulti
soffrite pene, o sospir miei, spandete
questi mie versi piangiosi ed inculti.
     E voi pietosi, che provato avete
che sian le doglie qual soffran gli amanti,
15con meco e’ vostri danni e miei piangete.
     Piangiamo insieme e’ lacrimosi canti,
di poi che ’l ciel ne elegge
a viver sempre in doglia ed in pianti.
     Convienci pur seguir tuo imperio e legge,
20spiatato Amore? Ah! quanto è felice
chi in dolce libertà sua vita regge.
     Col cielo irato nacque ed infelice
colui in chi Amor suo forza prova,
se viver lieto amando mai non lice.

     25Che dir, che isdegno né ragion mi mova
a odiarti, ingrata Mirzia, in cui
mie dolor o servir pietà mai trova?
     O più, più volte beato colui,
che a fuggir o rinvenir errori,
30divien più saggio dal dolor d’altrui!
     Udite, giovinetti, i nostri ardori.
Vedrete le miserie degli amanti:
poi prendete arte, vita, opre migliori.
     Noi seguiamo e’ lacrimosi canti,
35di doglie e d’ira carchi:
seguiam cantando e’ cominciati pianti.
     I’ mi godea aver pensier mie scarchi
da e’ grievi imperi con che Amor ne fiacca,
e gioco m’era tutti gli altrui incarchi.
     40Gir come cerva assetata e stracca 40
già vidi amante che languendo errava
fra gli aspri lacci ch’ognor più l’atacca.
     Io fingea cagioni, i’ l’arestava,
i’ mi godea di suo pene: io
45quel che in me soffro, in altrui beffava.
     Oimè! ch’or sono a mal mio grado pio,
ed èmmi in noia ogni fronte austera,
e chi meco non piange el dolor mio.
     Amor mi t’ha suggetto, o Mirzia altera,
50in’iusta, crudel, ingrata. O stolto
chi per donna servir merto mai spera!
     Che fia, Amor, di me, or che m’hai isvolto?
Amore spiatato, trionfa, godi,
s’or piango e’ lacci ch’i’ beffava isciolto.
     55Potrò io che sgroppar mai questi nodi?
Potrò io che fuggir mai chi mi sdegna?
Ma vinci. Amor, che d’ingiuriar ti lodi;
     Vinci, feroce, vinci; mostra, insegna
quanto abbian forza le tue fiamme e strali,
60poi che tuo furia in chi ama regna.

     Oh infelici, oh miseri mortali!
Oh inferma ragion, o fragil vita,
onde passar deggiam fra tanti mali!
     Se Marte spesso o Nettunno c’invita
65a seguitar la sua incerta fede,
ov’è ragione e libertà ismarrita,
     e’ pur giova el soffrir ov’altri vede
star certo premio, o fin di tanti affanni;
ma Amor sa solo non aver merzede.
     70Amor sa solo fabricar inganni,
con mille ingegni allettar gli amanti,
con mille iniurie rinovar lor danni.
     Seguiamo adunque e’ lacrimosi canti,
d’ira pieni e di doglia,
75seguiam cantando e’ cominciati pianti.
     Stolto, non sapev’io che Amor ispoglia
d’ogni viril difesa e intera pace
chi non raffrena a lui seguir suo voglia.
     Aimè! questo sperar ch’ora mi sface,
80quel primo annumerar ogni tuo laude,
state catene son troppo tenace.
     Que’ vezzosi occhi onde Cupido applaude,
onde suo’ strali, face e reti intende,
quel fronte tuo ove e’ superbo gaude,
     85quella finta modestia che ostende
essere ingegno in te talor piatoso,
amar mi fe’, ch’a pianger or m’incende.
     Chi si credesse mai che cuor sdegnoso,
crucci o pensier sì ostinati e rei
90fusse in tal donna, o sì amor dannoso?
     Chi non sperasse merto da costei?
Chi non rendesse premio al mio servire?
Ah, bellezze insidiose agli occhi mei!
     Non ti move pietate el mio languire?
95Non ti penti straziar chi in te si fida?
Non ve’ tu che t’è biasmo il mio martire?

     Tu pur ti ridi di mie pianti e strida,
e pur t’agrada pur seguir durezze,
per più avampar l’ardor che in me s’annida.
     100Non agroppar, non argentar tuo trezze,
non purpura, auro, gemme, fronde o fiori,
son laude o pregio alle tue bellezze,
     ma aver impero in chi te sola adori,
saper usar la fede e diligenza
105di chi te sempre lodi e sempre onori
     t’è pregio, o Mirzia: e bella donna senza
aver chi speri in sue bellezze amando,
è indegna di biltade e riverenza.
     Mira le lacrime e i sospir ch’io spando;
110pensa alle fiamme, all’isciolto furore
che ognor fra mie pensier corre ondeggiando.
     Ah dura, spiatata Mirzia, core
di tigre, di giaccio! O inumana,
s’a piatà non t’incende il nostro ardore!
     115E tu, feroce Amor, così fà: sbrana
mie nervi e forze; ardi, consuma meme;
sazia qui in me tuo arte e man profana.
     Io posso in me provar fatiche estreme,
ultimi casi, dolori e martiri,
120ove soffrendo mi mantenga speme.
     E vo’ sperar, benché a ragion m’adiri,
ché mai son sazii di sperar gli amanti,
né Amor mai sazio di pianti e sospiri.
     Seguiamo ancora i lacrimosi canti,
125di doglie e d’ira incesi,
seguiam cantando i dolorosi pianti.
     Saran costumi in te mai sì scortesi,
che sempre isdegni chi in servir te una
tiene e sue voglie e tutti i pensier tesi?
     130Se ’l ciel in te ogni bellezze adduna,
se donna soprastai d’ogni altra ornata,
se a grandirti facil hai fortuna,

     quanto sera’ tu, quanto più beata,
se sapra’ farti amar più che temere!
135Bellezza è men che cortesia lodata.
     Non sien ingrate mai né sian severe,
àbbian pietà degli infelici amanti,
chi spera laude di bellezze avere.
     Ricominciamo e’ lacrimosi canti,
140pien di lamenti e stridi,
seguiamo e’ nostri dolorosi pianti.
     Ma, stolto, qual cagion voi ch’io mi sfidi
d’Amore, di Mirzia, e di me stesso?
Anzi, il mio servir voi ch’io mi fidi.
     145Vidi salir servendo uom già dismesso,
né mai fu bella di pietà mai priva;
e un tardo amor gir lieto vidi, e spesso
     fronda appassata rivenir più viva,
e un grieve tronco che lo isvelse il fiume,
150con l’onda che ’l rapì rigir a riva,
     e in vecchio augello giovinette piume;
e fiamma ho vista sostener più venti,
poi ravivarsi onde si spense el lume.
     Speriamo, adonque, fine a’ mie tormenti.
155Serviam sperando, infelici amanti:
miserie Amor soffrir c’insegna e stenti.
     Finiamo, adonque, ornai e’ nostri pianti,
posiam la lira, il plettro, e’ lamenti:
diànci a più lieti e più soavi canti.

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