< Rime (Andreini)
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Sonetti CLXXIII-CLXXIV
Sonetti CLXXI-CLXXII Sonetti CLXXV-CLXXVI

DEL SIG. VINCENZO PITTI.

SONETTO CLXXIII.


G
Ià non poss’io da lunge il bell’aspetto

Soffrir de la bellissima Isabella;
     Nè le parole dolci, e i gesti, ond’ella
     D’amor avampa à mille, e mille il petto
Gentil mio Fabio, hor come dunque aspetto
     Regger dapresso mai vista sì bella?
     Come dapresso udrò quella favella
     Far dono à me d’alcun leggiadro detto?
Cert’io non prenderò cotanto ardire
     Se già tua cortesia non violenta
     Gli occhi, e le orecchie mie, ne vuol, ch’i’ arda.
Ah che dich’io? anzi pur vuò venire
     Per tanto honor. se da me ben si guarda
     Ben è giusto, che d’arder io consenta.


Risposta.

SONETTO CLXXIV.


S
E pur è ver, che sfavillando fuori

Escan de gli occhi miei fiamme cocenti;
     E, ch’io da lunge folgorando aventi
     Sguardi amorosi, ond’ardo, e struggo i cori.

Già non dei tù di viè più gravi ardori
     Temer così; che di beàr non tenti
     Mè di tua vista, e de’ soàvi accenti,
     Onde l’aure addolcisci, e ’l Mondo honori.
Ne’ giorni estivi trà notturni erranti
     Splende vaga Lampiri, e ’l foco stesso
     Rassembra e nulla scalda; e tal son’io.
Ma se per me lontano arde il desìo.
     Hor non è privilegio de gli Amanti
     L’arder da lunge, e l’agghiacciar dapresso?

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