< Rime (Vittorelli)
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Prefazione
Rime (Vittorelli) Lettera dell'autore

L’EDITORE


Il nome di Iacopo Vittorelli è di dolcissimo suono a chiunque ama le grazie di Anacreonte e le Catulliane bellezze. Sono ormai parecchi anni che s’impressero per la prima volta le sue Rime, e si diffusero con applauso da questi torchi Remondiniani. Si videro eziandio in seguito per la maggior parte recate in elegantissimi versi latini, e pubblicate nella patria dei Cunich e dei Zamagna. Molti altri o delicati o robusti suoi Componimenti apparirono in progresso di tempo, ma questi per avventura s’impressero in qualche particolare Raccolta, o sono tuttavia onninamente ignoti.

Io voleva ora occuparmi a dare una nuova ripulita edizione, ma era mio desiderio che lo stesso Autore scegliesse il più bel fiore delle sue rime, e le riordinasse. Egli è solito a riguardarsi per soverchia modestia come roca anitrella che non sa misurarsi col soave canto de’ cigni, nè ho potuto farlo arrendevole alle mie istanze se non dopo un’amichevole del pari che ostinata insistenza. Ma egli vi si è prestato alla fine, ed io sono pure contento di poter rendere così un buon servigio agli amatori delle Muse Italiane.

Non si voglia imputarmi a peccato d’ingratitudine l’omissione della ristampa di una lunga e bellissima lettera del Co. Ab. Giambattista Roberti, che fregiava la prima edizione. Quella lettera fu riprodotta e a Bologna, e qui in Bassano fra le Opere Robertiane; e per quanto sia atteggiata di grazie, pure lo stesso aureo scrittore che la dettò, la definì per ischerzo una insalatina mista di erbette moltiplici. Egli sarebbe forse oggidì proclive alle mie preghiere di lasciarla andare disgiunta da un volumetto che vuol essere riguardato come un intatto mazzolino odoroso.

Avrebbe voluto l’egregio Autore che alcune altre cose fossero qui avvertite, le quali confidentemente mi espose in una lettera scritta dagli ozii tranquilli della sua Villa. Mi prendo l’arbitrio di rendere di pubblica ragione la lettera stessa, poichè niuno può meglio espor le sue idee di quello da cui provengono, e niuno saprebbe farlo con tanto amabile ritrosìa, e con tanto graziosa naturalezza, quanto l’ha saputo fare egli stesso.

Note

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