< Rime d'amore (Torquato Tasso)
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113. Quel generoso mio guerriero interno
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113.


Introduce lo Sdegno a contender con Amore avanti la Ragione.


Quel generoso mio guerriero interno,
     Ch’armato in guardia del mio core alberga
     Pur come duce di guerrieri eletti,
     A lei, ch’in cima siede ove il governo
     5Ha di nostra natura e tien la verga,

     Ch’al ben rivolge gli uni e gli altri affetti,
     Accusa quel ch’a i suoi dolci diletti
     L’anima invoglia, vago e lusinghiero: —
     Donna, del giusto impero
     10C’hai tu dal ciel, che ti creò sembiante
     A la virtú che regge
     I vaghi errori suoi con certa legge,
     Non fui contrario ancora o ribellante,
     Né mai trascorrer parmi
     15Sí che non possa a tuo voler frenarmi.
Ma ben presi per te l’armi sovente
     Contra il desio, quando da te si scioglie
     Ed a’ richiami tuoi l’orecchie ha sorde,
     E, qual di varie teste empio serpente,
     20Sé medesmo divide in molte voglie
     Rapide tutte e cupide ed ingorde,

     E sovra l’alma stride e fischia e morde,
     Sí che dolente ella sospira e geme
     E di perirne teme.
     25Queste sono da me percosse e dome,
     E molte ne recido,
     Ne fiacco molte e lui non anco uccido:
     Ma le rinnova ei poscia e, non so come,
     Via piú tosto ch’augello
     30Le piume o i tronchi rami arbor novello.
Ben il sai tu, che sovra il fosco senso
     Nostro riluci sí da l’alta sede
     Come il sol che rotando esce di Gange;
     E sai come il desio piacere intenso
     35In quelle sparge, ond’ei l’anima fiede,

     Profonde piaghe e le riapre e l’ange;
     E sai come si svolga e come cange
     Di voglia in voglia al trasformar d’un viso,
     Quando ivi lieto un riso
     40O quando la pietà vi si dimostra,
     O pur quando talora
     Qual vïola il timor ei vi colora,
     O la bella vergogna ivi s’inostra;
     E sai come si suole
     45Raddolcir anco al suon de le parole.
E sai se quella che sí altera e vaga
     Si mostra in varie guise, e ’n varie forme
     Quasi nuovo e gentil mostro si mira,
     Per opra di natura o d’arte maga

     50Sé medesma e le voglie ancor trasforme
     De l’alma nostra che per lei sospira.
     Lasso! qual brina al sole o dove spira
     Tepido vento si discioglie il ghiaccio,
     Tal ancor io mi sfaccio
     55Spesso a’ begli occhi ed a la dolce voce;
     E, mentre si dilegua
     Il mio vigor, pace io concedo o tregua
     Al mio nemico; e quanto è men feroce
     Tanto più forte il sento,
     60E volontario a’ danni miei consento.
Consento che la speme, onde ristoro
     Per mia natura prendo e mi rinfranco
     E nel dubbio m’avanzo e nel periglio,
     Torca da l’alto obietto a’ bei crin d’oro
     65O la raggiri al molle avorio e bianco
     Ed a quel volto candido e vermiglio;

     O la rivolga al varïar del ciglio,
     Quasi fosse di lui la spene ancella
     E fatta a me ribella.
     70Ma non avvien che il traditor s’acqueti;
     Anzi del cor le porte
     Apre e dentro ricetta estranie scorte
     E fòra messi invia scaltri e secreti;
     E, s’io del ver m’avveggio,
     75Me prender tenta e te cacciar di seggio. —
Cosí dic’egli, al seggio alto converso
     Di lei che palma pur dimostra e lauro;
     E ’l dolce lusinghier cosí risponde: —
     Alcun non fu de’ miei consorti avverso
     80Per sacra fame a te di lucido auro

     Ch’ivi men s’empie ov’ella piú n’abonde;
     Né per brama d’onor ch’i tuoi confonde
     Ordini giusti. E s’io rara bellezza
     Seguii sol per vaghezza,
     85Tu sai ch’a gli occhi desïosi apparse
     Donna cosí gentile
     Nel mio piú lieto e piú felice aprile
     Che ’l giovinetto cor súbito n’arse:
     Per questa al piacer mossi
     90Rapidamente e dal tuo fren mi scossi.
Forse, io no ’l niego, incauto allor piagai
     L’alma; e se quelle piaghe a lei fûr gravi,
     Ella se ’l sa tanto il languir le piace,

     E per sí bella donna anzi trar guai
     95Toglie, che medicine ha sí soavi,
     Che gioir d’altra, e ne’ sospir no ’l tace.
     Ma questo altero mio nemico audace,
     Che per leve cagion, quando piú scherza,
     Sé stesso infiamma e sferza,
     100In quella fronte piú del ciel serena
     A pena vide un segno
     D’irato orgoglio e d’orgoglioso sdegno
     E d’avverso desire un’ombra a pena,
     Che schernito si tenne,
     105E del dispregio sprezzator divenne.
Quanto ei superbí poscia e ’n quante guise
     Fu crudel sovra me, già vinto e lasso
     Nel corso e per repulse isbigottito,
     Il dica ei che mi vinse e non m’ancise;
     110Se ’n glorii pur ch’io glorïare il lasso.
     Questo io dirò, ch’ei folle, e non ardito,

     Incontra quel voler che teco unito
     Tale ognor segue chiare interne luci
     Qual io gli occhi per duci,
     115Non men che sovra ’l mio l’armi distrinse;
     Perché ’l vedea sí vago
     De la beltà d’una celeste imago
     Come foss’io, né lui da me distinse;
     Né par che ben s’avveda
     120Che siam qua’ figli de l’antica Leda.
Non siam però gemelli: ei di celeste,
     Io nacqui poscia di terrena madre;
     Ma fu il padre l’istesso, o cosí stimo:
     E ben par ch’egualmente ambo ci deste
     125Un raggio di beltà, che di leggiadre
     Forme adorna e colora il terren limo.

     Egli s’erge sovente, ed a quel primo
     Eterno mar d’ogni bellezza arriva
     Ond’ogni altro deriva:
     130Io caggio, e ’n questa umanità m’immergo:
     Pur a voci canore
     Tal volta ed a soave almo splendore
     D’occhi sereni mi raffino ed ergo,
     Per dargli senza assalto
     135Le chiavi di quel core in cui t’essalto.
E con quel fido tuo, che d’alto lume
     Scòrto si move, anch’io raccolgo e mando
     Sguardi e sospiri, miei dolci messaggi.
     Per questi egli talor con vaghe piume

     140N’esce, e tanto s’inalza al ciel volando
     Che lascia a dietro i tuoi pensier piú saggi.
     Altre forme piú belle ad altri raggi
     Di piú bel sol vagheggia; ed io felice
     Sarei, com’egli dice,
     145Se tutto unito a lui seco m’alzassi:
     Ma la grave e mortale
     Mia natura mi stanca in guisa l’ale,
     Ch’oltre i begli occhi rado avvien ch’i’ passi.
     Con lor tratta gl’inganni
     150Il tuo fedel seguace, e no ’l condanni.
Ma s’a te non dispiace, alta regina,
     Che là donde in un tempo ambo partiste,

     Egli rapido torni e varchi il cielo,
     Condotto no, ma da virtú divina
     155Rapto, di forme non intese o viste;
     A me, che nacqui in terra, e ’n questo velo
     Vago d’altra bellezza, e non te ’l celo,
     Perdona, ove talor troppo mi stringa
     Con lui che mi lusinga.
     160Forse ancora avverrà ch’a poco a poco
     Di non bramarlo impari,
     E col voler mi giunga e mi rischiari
     A’ rai del suo celeste e puro foco,
     Come nel ciel riluce
     165Castore unito a l’immortal Polluce. —
Canzon, cosí l’un nostro affetto e l’altro
     Davanti a lei contende
     Ch’ambo li regge, e la sentenza attende.

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