< Rime d'amore (Torquato Tasso)
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383. Chi di mordaci ingiurïose voci
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383.


Contro la luna la quale aveva interrotto un suo viaggio notturno.


Chi di mordaci ingiurïose voci
     M’arma la lingua come armato ho ’l petto
     Di sdegno? e chi concetti aspri m’inspira?
     Tu, che sí fera il cor m’ancidi e coci,
     5Snoda la lingua e movi l’intelletto
     O nata di dolor giustissim’ira.
     Vada or lunge la lira,
     Conviensi altro istrumento a sí feroci
     Voglie, in sí grave effetto;
     10Tal che fin di lassú n’intenda il suono
     L’iniqua Luna, in cui disnor ragiono.
Già spiegava nel ciel l’umide ombrose
     Ali la figlia de la Terra oscura
     Col Silenzio e col Sonno in compagnia,
     15Ed involvea de le piú liete cose
     Ne le tenebre sue quella figura
     Per cui tra lor eran distinte pria:

     Dïana ricopria
     Il volto suo tra folte nubi acquose
     20Sparse per l’aria pura,
     Per mostrarsi (ahi crudele!) in tempo poi
     Che fosser piú dannosi i raggi suoi.
Allor, moss’io d’Amor, tacito mossi
     I passi per la cieca orrida notte
     25Per quella parte ov’ha il cor gioia e pace:
     Ma, gli altri veli suoi da sé rimossi,
     Folgorò Cinzia, e ne le oscure grotte
     L’ombra scacciò con risplendente face,
     Cosí al pensier fallace,
     30Quando a la riva piú vicin trovossi,
     Fûr le vie tronche e rotte:
     Cosí seccò nei suo fiorir mia speme
     E dura man dal cor ne svelse il seme.
Or che dirò di te, Luna rubella
     35D’ogni pietà, di quel piacer ch’infonde
     Amor nei lieti amanti invidïosa?
     Ahi! come adopri mal la luce bella
     Che non è tua, ma in te deriva altronde,
     Benché vada di lei lieta e fastosa.
     40Tu per te tenebrosa

     E via men vaga sei d’ogni altra stella
     Ch’in ciel scopra le bionde
     Chiome; e quel bel che i rai solar ti danno
     Tutto impieghi spietata in altrui danno.
45Forse ciò fai perché i lascivi amori
     Pudica aborri e di servar desiri
     In altri il fior di castità pregiato?
     Deh! non sovvienti che tra l’erbe e i fiori
     Scendesti in terra da i superni giri
     50A dimorar col pastorello amato?
     E che ti fu già grato
     Temprar di Pane i non onesti ardori
     Quetando i suoi sospiri,
     Vinta da pregio vil di bianca lana,
     55Da pietà no, che sei cruda e inumana?
Oh quante volte ad Orïon, che carco
     Di preda e di sudor fea da la caccia,

     Stanco dal lungo errare, a te ritorno,
     Sciugasti col tuo vel l’umida faccia
     60E di tua propria man lentasti l’arco
     E lasciva con lui festi soggiorno!
     Ma ’l vergognoso scorno
     Non soffrí Apollo e l’oltraggioso incarco,
     Anzi seguí la traccia
     65Del tuo amatore e fe’ ch’a lui la vita
     Togliesti incauta con crudel ferita.
Ben ti dee rimembrar che poi scorgesti
     Estinto il caro corpo in riva al mare
     Che del tuo stral trafitta avea la fronte,
     70Onde tu sovra quel mesta spargesti
     Lavando la sua piaga in stille amare
     Da l’egre luci un doloroso fonte,
     Dicendo — Ah man, voi pronte
     A l’altrui morte, vita a me togliesti!
     75Ché non si può chiamare
     Vita or la mia, se non vogliam dir viva
     Chi de l’alma e del cor il fato ha priva. —

Pur forse, o dea, te ’n vai del pregio altera
     Di castità, perché ferino volto
     80Vestir festi Atteon, spruzzando l’acque?
     Or dimmi, lui rendesti errante fera
     Perché ti vide il bel del corpo occolto
     O perché a le tue voglie ei non compiacque?
     Ver è, se ben si tacque,
     85Ch’egli a forza e con voglia aspra e severa
     Da le tua braccia sciolto
     Se ’n gisse, mentre tu d’ardor ripiena
     Al collo gli facei stretta catena.
Ma tu t’ascondi, ed a gli accesi rai
     90Tenebre intorno aspergi or de’ tuoi falli
     Udendo di quaggiú vere novelle.
     Chiuditi pur, né ti mostrar piú mai,
     Perché non merti in ciel vezzosi balli
     Guidar in compagnia de l’altre stelle.

     95Cosí de le fiammelle
     Sue chiare il sol piú non t’indori omai;
     E reggere i cavalli
     Notturni il Fato a te vieti in eterno
     Donando altrui di lor l’alto governo.

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