< Rime e ritmi
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Congedo Rime e ritmi


NOTE






PIEMONTE


pag. 955, v. 12. La prima edizione leggeva Villa di Quinta. Mi fu detto che Quinta in Portogallo è appellazione comune d’ogni villa. Veramente Carlo Alberto “abitava la villa d’Entre Quintas„ (L. Cibrario, Ricordi d’una missione in Portogallo, capo iii).

v. 19-22. Di questi versi fu detto con goffa barbarie “essere una riabilitazione di Carlo Alberto a base di Garibaldi„. No: io leggevo nei giornali del 1849 che il re pigliava molto interesse ai fatti della difesa di Roma.


BICOCCA DI SAN GIACOMO


pag. 960. È una frazione del comune di Bene Vagienna, in provincia di Cuneo, circondario di Mondoví: dove dinanzi a una chiesetta veggonsi ancora le tracce d’un ridotto ove fu combattuto il 16 aprile 1796. E tutto il paese è pieno di rimembranze di quella difesa e il paesaggio è pieno di memorie aleramiche e sabaude.


LA GUERRA


pag. 970, v. 24 ― 971 v. 4. Quando l’oltracotanza dell’ignoranza intollerante si sferrò su quest’ode, rea di non acclamazione, anche ci fu chi nel venturiero ravvisò Cristoforo Colombo. Oh! È Vasco Nunez de Balboa, a vista del Mar pacifico, nel settembre del 1513. — Non sarà inopportuno riferire anche qui le sentenze di Carlo Cattaneo messe in fronte alla prima edizione: “Per tutte queste passioni umane la guerra è perpetua sulla terra. Ma la guerra stessa colla conquista, colla schiavitú, colli esilii, colle colonie, colle alleanze pone in contatto fra loro le più remote nazioni; fa nascere dalla loro mescolanza nuove stirpi e lingue e religioni e nuove nazioni più civili, ossia più largamente sociali; fonda il diritto delle genti, la società del genere umano, il mondo della filosofia„. (C. Cattaneo, Opere, VI, 333, Firenze, 1891).


NICOLA PISANO


pp. 972-975. Cagione e mezzo al rinnovamento dell’arte scultoria fu lo studio e la diligenza messa da Nicola Pisano intorno al lavoro greco rappresentante la storia d’Ippolito e Fèdra nel marmo che poi racchiuse il corpo della contessa Matilde ed era incassato in una delle muraglie laterali del domo di Pisa.


CADORE


pp. 976-984. Per gratitudine mia, se non per cenno ad altri, ricordo alcuni libri che discorrono dei combattimenti del 1848 in Cadore e d’altre piú cose cadorine. E prima: del prof. Ant. Ronzon, Calvi e i Cadorini (Tai del Cadore, 1875) e Rindemera, Scene del Cadore nel 48 (Lodi, 1881); e del sig. Venanzio Donà, Guida del Cadore (Venezia, 1888); questi o videro o udirono dai presenti. Poi il sig. Ottone Brentari raccolse e rinnovò abbondante nella sua Guida storico-alpina del Cadore (Bassano 1886). A questi ultimi giorni il colonnello Gennaro Moreno ha raccontato, con intendimenti e dottrina militare, Calvi e la difesa del Cadore (Roma, Biblioteca minima popolare militare).

Per dichiarazione al vocabolo cidolo e al v. 8 della pag. 983 ecco un passo dalla Storia del popolo cadorino compilata da Giuseppe Ciani (Padova, Sicca, 1856) parte prima libro primo, pp. 11-13. Detto delle travi d’alberi lavorate e acconciate e nel maggio spinte nel Piave che li trasporta a Perarolo; séguita — “Ma non vi giungono sí presto: altre dall’impeto dell’onda gittate in sulle sabbie, altre dagli spessi e saldi massi, che sporgonsi dall’alveo, contenute. Il che or qua or là quasi sempre interviene, e la prima, che dando di cozzo ne’ massi si ferma, tronca il corso alle succedentisi; onde s’aggruppano, s’incavallano, s’ammonticellano, sí, che per lungo tratto tu non iscorgi sul fiume che un’incomposta tettoia. I paesani appellano serre questi inviluppi: a districarli accorronvi uomini in questa fatta di opere esercitati; ché non tanto il fiume, che solo vi basti. Questi uomini si chiamano Menadàs: cure loro le stesse che dei Dendrofori presso a’ Romani. Dipendenti da un capo, muniti di lunghe aste ferrate di uncini aguzzi e rampiconi, calano fra greppo e greppo, ove le serre e le sbandate in sulle sabbie: ricaccian queste nel fiume; uncinano, aggrappano disviticchiano le rammassate, né si stanno che assembratele nel Cidolo. Un edifizio codesto a cavalliere del Piave presso a Perarolo: piantato su d’ambedue le ripe, l’estremità sí da un lato che l’altro torcendosi, addentransi alquanto nel fiume; grosse travi le congiungono quivi insieme; congegnate a foggia di cancello, se all’acque, non concedono l’uscita alle taglie. Gli stessi che addusserle, da quella chiudenda l’estraggono; conoscitori delle marche onde s’improntano, avvianle a’ segatoi eretti lunghesso il fiume, conforme è loro ordinato: quivi ammonticchianle a che s’asciughino: asciutte son date alle seghe; ridotte in tavole, sulle zattere traduconle pel fiume a Venezia, o lascianle per via ove i magazzini de’ proprietari„.


CARLO GOLDONI


pp. 985-988. Ricordare le Memorie di C. G.


ALLA FIGLIA DI FRANCESCO CRISPI


pag 991, v. 2 — e migliore. Nella copia che di mano dell’autore fu mandata alla sposa, onde la odicina fu riprodotta nel piú de’ giornali, la penna trascorse a scriver maggiore: quindi il lepido ripetío dei paperi: non bisogna invidiare ai paperi il verso a cui si riconoscono e si raccolgono. Del resto nel rispetto storico torna benissimo anche maggiore.


ALLA CITTÀ DI FERRARA


pp.992-1000. In questi versi la storia di Ferrara, e anche la preistoria mitica e la conformazione geologica e psicologica della sua provincia e popolazione, è introdotta a rappresentare la preparazione e lo svolgimento della epopea che doveva illustrarla. A queste prove la poesia può forse ancora resistere. Il presente è del dramma, del romanzo, del giornale: il futuro è di Dio: il passato, il doloroso e glorioso passato, può essere tuttora della poesia, massime in una storia complessa di tanti elementi com’è l’italiana.

pag. 999, v. 21. O Garibaldi vieni.
Questo appello parve a taluni importuno e volgare. No. Quando nel 1849 si trattò di calar giù le campane di sant’Onofrio per mandarle alla fonderia, Giuseppe Garibaldi ammoní: rispetto alle campane che suonarono all’agonia di Torquato Tasso.


LA MOGLIE DEL GIGANTE


pp. 1005-1006. Cosí il popolo, poeta eterno quando non guasto da’ maestri, ha cominciato a chiamare la “Sirena„, scolpita da Diego Sarti per la fontana della Montagnola [1896].


LA CHIESA DI POLENTA


pp. 1010. — La chiesa di San Donato in Polenta, ricordata già in un documento del 976, è costruzione del sec. viii. Volevasi or fa pochi anni abbatterla al suolo per farne una nuova: se non che don Luigi Zattini, intelligente e amoroso arciprete, n’ebbe avvertito il cav. Antonio Santarelli ispettore degli scavi e monumenti nella provincia di Forlì. Il quale diè primo al pubblico notizie dell’antica chiesa (1890); e súbito appresso ne discorse ampiamente alla Deputazione storica romagnola Corrado Ricci. E della chiesa e della ròcca polentana che le sorgea vicino scrisse di nuovo il Ricci nell’Ultimo rifugio di Dante (1891), e una veduta ne ha inserito assai bella nel bellissimo Dante illustrato pubbl. in Milano da Ulr. Hoepli (1898). A instanza dell’arciprete Zattini, del cav. Santarelli, del conte Cilleni-Nepis ispettore delle scuole, del prof. Raffaello Zampa, il Comune e la Mensa vescovile di Bertinoro e la Provincia di Forlí cominciarono a pensare e provvedere pe’ ristauri. Ricordo che nella seduta 20 dec. 1889 del Consiglio provinciale, venuta in discussione la spesa per la chiesa polentana, opponendo alcuno non doversi gittare denaro del pubblico per conservare chiese quando il meglio sarebbe buttar giù quelle anche in piedi, Aurelio Saffi, il nobilissimo mazziniano che presiedeva l’adunanza, parlò da quell’uomo colto e savio che era, e disse fra l’altro “Quale italiano non vorrà conservata e onorata una chiesa dove Dante pregò?„ Allora tutti quei repubblicani votarono la spesa per San Donato di Polenta. Che fu dichiarato dal Governo monumento nazionale; e cominciarono i lavori de’ restauri; e vennero in aiuto alla spesa il Ministero dell’istruzione e quello dei culti; dei benefattori, come dicono, privati, ricordo la contessa Silvia Baroni Pasolini, il comm. Francesco Torraca, l’arcipr. Ricci di Consercole, i parocchiani di Polenta e quel buon don Zattini che non ha poi molto grassa prebenda. Ristaurati furono il tetto, le navate destra e centrale, l’abside centrale, la cripta: rimane da ristaurare l’abside a destra di chi entra e da ricostruire il campanile.

Da un articolo nel Cittadino di Cesena (13 giugno 1897) dell’avv. Nazzareno Trovanelli, buon cittadino e buon letterato, di cui sono notevoli parecchie traduzioni dal Tennyson e dal Longfellow, riproduco qui, a schiarimento de’ miei versi, alcuni passi. — “Le colonne della chiesa, grosse, rotonde, a strati di mattoni e di conci, sono coronate da capitelli che formano la parte piú importante e caratteristica dello storico monumento. — Sono — scrive il cav. Santarelli — scolpiti in pietra locale, alcuni cubiformi, altri a dadi, con facce smussate variamente ornate con foglie convenzionali, disegni geometrici, intrecci bizzarri di tenie, figure grottesche di uomini e animali, a tutto rilievo molto basso e rude. — Certe figure, piuttosto di scimmiotti che d’uomini, una specie d’ippogrifo, un orribile granchio di mare, fermano specialmente l’attenzione„. — “Del castello non restano che laceri avanzi sui quali è addossata una squallida casa colonica. Fu Dante al Castello polentano? Pregò egli nella piccola chiesa? Nessun documento l’attesta, ma nulla lo rende inverosimile.... La leggenda che qualche volta erra, ma talvolta integra e riassume la storia, lo crede; e vuole ancora che Francesca.... salisse quassú e ad un cipresso che sorge solitario sopra uno di questi poggi e domina tutta la vallata intorno e si vede a grande distanza (forse sostituito ad altri ivi posti successivamente) si dà ancora la poetica intitolazione di cipresso di Francesca„.


Al v. 24 della pag. 1012 osai fare italiano il verbo latino subsannare, che s’intende benissimo nella volgata versione della Bibbia: “Sprevit te et subsannavit te virgo filia Sion„ [Reg. iv xix 21]. Altri scrittori ecclesiastici l’usarono: Tertulliano, adv. Judaeos xi; san Girolamo, epist. lx: ma l’ha anche Nemesiano, fragm. de aucup., “et rauca subsannat voce magistri Consilium„. Il Forcellini interpreta beffeggiare, dileggiare “sanna irrideo„: e sanna “proprie est distortio vultus quae fit diductis labiis, ora hiante, corrugata facie et ostentatione dentium„; e l’hanno Giovenale vi 306 e Persio i 61. Il Tommaseo nel suo Dizionario della lingua italiana registra “Sossannare, far le boccacce„, dal volgarizzamento toscano e del trecento del Trattato contro l’avversità della fortuna di Arrigo da Settimello.

Il vecchio cipresso, che sorgeva dal colle di Conzano, fu colpito e atterrato dal fulmine nel pomeriggio del 21 luglio 1897: un altro ne fu piantato nel luogo il 26 ottobre.





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