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Saint-Mare Girardin, «Cours de littérature dramatique» Lavori da scuola

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TRIBOULET


Ho mostrato qual è il procedere critico di Saint-Marc Girardin. In luogo di afferrare un carattere poetico nella sua integritá, lo mutila, ne astrae il sentimento. Dopo questa falsa operazione, determina le qualitá generali di quel sentimento, e le mostra in qualche esempio del teatro greco o del teatro francese del secolo di Luigi XIV. Scendendo al teatro moderno, dimostra che quel sentimento non risponde piú né a quel tipo né a quell’esempio. — Ergo, ecc. — È una critica dommatica, cortese e temperata nella forma, assoluta e sistematica nel fondo.

Tutte le sue lezioni si rassomigliano; ciò che dirò dell’una, s’intenda delle altre. Usciamo da’ generali e prendiamo ad esempio la sua ottava lezione.

Parla dell’amor paterno, e te lo mostra nel Don Diego e nell’Orazio di Corneille; indi stabilisce le qualitá o i caratteri di questo sentimento. L’amor paterno secondo il critico non è un affetto, ma un dovere; richiede tenerezza, ma congiunta con una certa «fermeté et grandeur». Orazio ama il figlio teneramente; ma egli non esita a farne olocausto alla patria: il suo affetto è subordinato ad un principio superiore, al dovere. Ecco il circolo di Popilio. Chi non ama nella stessa guisa di Orazio, non è padre. E Triboulet non è padre, perché in Triboulet l’amore è istinto ed egoismo; perché ama la figlia non per lei, ma per sé; perché ama con tanta tenerezza, che questo sentimento si confonde quasi con un’altra specie di amore. Orazio e Triboulet! Come è potuto venire in capo a Saint-Marc Girardin di pormi allato due personaggi cosí diversi? Chi è avvezzo a guardare nei personaggi la loro individualitá poetica, veggendo questo strano paragone, non può tenersi dal riso, con tutta la riverenza che si dee al critico francese.

Il sostanziale di un personaggio non è nel sentimento, ma nel carattere. Il sentimento, l’intelligenza, la forza, ecc., sono un lato solo dell’uomo, l’uomo di profilo; il carattere è tutta l’anima, sentimento, intelligenza, istinto, qualitá fisiche e morali, non astratte e scisse, ma determinate ed individuate: il carattere costituisce l’individualitá, la personalitá. Il sentimento dunque prende qualitá dalla natura dell’individuo nel quale si trova, e non ha niente di fisso e d’immobile. Francesca, Giulietta, Antigone amano tutte e tre; e la bellezza di queste creazioni è posta non nelle qualitá generali dell’amore, non in quello che esse hanno di comune, ma in quello che hanno di proprio, cioè nel loro «carattere»: a questo solo patto sono esse creature o persone poetiche. Un critico che, veggendosi un individuo davanti, mi dice che esso rappresenta il tale e tal sentimento, con gli stessi caratteri fissi che ha in tutti gli esseri poetici, mi cancella l’individualitá e me la riduce a specie, cioè a dire distrugge la poesia, smembra la vita. Quando i lanzichenecchi si avvicinano a Lecco, tutti sentono paura, gli abitanti in genere, e poi don Abbondio, Perpetua, Agnese. Ma questo sentimento diviene poetico, perché s’individua, e quindi si diversifica nei tre personaggi. Udite un maestro di retorica:

— Fatemi un lavoro sull’amicizia, sull’onore, sulla paura, ecc.: immaginate un personaggio qualunque, e rappresentate in lui i fenomeni e i caratteri dell’amicizia, dell’onore, della paura, ecc.

— Molti maestri oggi dánno de’ temi su questo andare; è il difetto capitale del Bartoli, che lavora non di rado sopra l’astratto e dá nel retorico; è la conclusione pratica a cui mena la teoria del Girardin. Ma il Manzoni, in luogo di studiare le proprietá della paura e rappresentare lo stesso sotto tre nomi diversi, ha avuto innanzi tre individui, tre anime, tre caratteri, e tutto nella sua stupenda esposizione vive e si muove. La paura opera in quelli diversamente e produce diversi effetti: ciascuno la sente a suo modo, secondo la sua natura: vi è differenza quantitativa e qualitativa. Sostituite, dunque, al sentimento il carattere, e si vedrá l’errore in che è caduto il Girardin.

Ma di errore nasce errore. Se voi mi annullate l’individualitá, se vi ponete innanzi dei tipi fissi, ritorna in essere la critica de’ modelli e de’ paralleli. Il tipo dell’amor paterno si trova nell’Orario di Corneille: Orazio diviene dunque il «modello», da cui non si possono discostare tutti quelli che pongono in iscena un padre, e se volete, per esempio, dar giudizio del Triboulet di Victor Hugo, fate un raffronto, un «parallelo» tra Orazio e Triboulet. Cosi fa Girardin; ed io insisto, perché la critica presso di noi è generalmente ancora in questo stato. Fu giá tempo, che non si poteva parlare della Gerusalemme senza correre col pensiero all’Iliade. Con questa critica il Gravina ci dimostra che l’Italia liberata del Trissino sia un poema perfetto, perché affatto conforme al modello, all’Iliade.

Che si fa oggi nelle scuole? Parlo delle scuole, dove si è uscito un po’ dalle parole e dalle frasi, e vi si mostra qualche tendenza ad una critica piú alta. Eccoti il professore in cattedra. Tu gli parli di un povero operaio gittatosi indarno nel Po a scampo di un suo compagno pericolante: ed egli ti risponde: — Eurialo e Niso; — tu gli dipingi la madre che piange sul figliuolo morto; ed egli:— Merope — ; il suo cervello è un’officina di tipi e di modelli per tutte sorti di situazioni. Le lezioni del Girardin sono per questa gente un sussidio prezioso, un repertorio, un rimario di tipi e di modelli. Ci trovate il dolore tipo, l’amore tipo, il padre tipo, la madre tipo, il figlio tipo, ecc., ciascun tipo col suo modello corrispondente; quasi una spiegazione anatomica con le figure di rincontro; è arte e critica ridotta a meccanismo. Voi dovete considerarmi le cose, come le sono in sé, nella loro individualitá, e non ne’ loro rapporti piú o meno lontani ed estrinseci. Questa critica a rapporti e a paralleli fa effetto, come le antitesi ed i concetti; ti colpisce, ti sorprende, e, se vuoi, ti diletta anche; ma non tardi molto a scoprirvi di sotto il vacuo e il falso.

Intento alle cose, dimentico le persone. Ho esaminato la dottrina con le sue conseguenze, senza che le mie osservazioni si debbano tutte applicare al critico francese. Non porta egli il suo sistema fino a questa pedanteria, anzi si mantiene sempre ad una certa altezza, aiutato da due preziose qualitá, di che gli è stata larga la natura, molta lucidezza e molto buon senso. Gli manca larghezza di studi ed abito del meditare; onde una certa chiarezza superficiale, che piace ai poltroni.

Consideratemi le cose come le sono in sé, nella loro individualitá. Volete esaminarmi Triboulet? Non pensate ad Orazio o a Don Diego; pensate a Triboulet.

Il moderno romanticismo francese non è stato in principio un prodotto spontaneo e nazionale; esso è sorto, come la rivoluzione, per opposizione all’antico, per impazienza di una critica decrepita, con la violenza della polemica, con l’esagerazione delle passioni. A quei tipi perfetti, a quelle bellezze assolute e tutte di un pezzo divenute fattizie e convenzionali, si oppose un sistema affatto opposto, che si battezzò per «romanticismo». All’antica semplicitá si sostituí non solo la varietá, ma l’opposizione: studiate tutte le concezioni romantiche, e vi troverete in fondo un’antitesi. Alla bellezza si sostituí il brutto; e, se questo negli antichi romantici ci ha una gran parte, negli odierni è il sostanziale, il tutto. E due vie si tennero per conseguire questo scopo. Da una parte si attribuí il deforme ad un certo «fatale» concorso di passioni ed istituzioni sociali, senza quasi colpa dell’individuo, degno piú di compassione che di biasimo. D’altra parte si volle mostrare negli individui anche piú colpevoli qualche lato, per il quale essi potessero destare interesse. Non ci è uomo nel quale sia affatto cancellata la natura umana; rimane sempre in fondo al cuore qualche buon sentimento, che si rivela subitamente in certe situazioni della vita con maraviglia dello stesso colpevole. Il romantico disseppellisce questi sentimenti, te fi pone in rilievo, e ti mostra ammirabile e sublime colui che poco innanzi giudicavi abbietto e depravato.

Questa concezione domina nei drammi di Victor Hugo di tal natura sono Marion de Lorme, Triboulet, e Lucrezia Borgia. Per darne giudizio voi non dovete ricorrere alla societá greca, al secolo di Luigi XIV: voi dovete studiarmi la concezione in sé stessa. Non so se sia stato fatto ancora un lavoro serio sulla natura e le tendenze del moderno romanticismo francese: io non posso toccarne neppure di volo, ché mi porterebbe troppo lontano. Mi restringo a Triboulet per quella parte che riguarda la critica del Girardin.

Triboulet congiunge con la deformitá física la deformitá morale, questa effetto di quella. Gobbo, brutto, incolto, povero e plebeo, fa il buffone di corte, schernito, svillaneggiato, sputacchiato. Questo lo immalvagisce: lo rende uno sfrontato ed un tristo. I suoi vizi nascono dalla sua situazione; mutate questa, e Triboulet diviene un onest’uomo, perché anche in questo stato egli ha un cuore, e sente la sua abbiezione ed è capace di rimorso. Vedetelo comparire in iscena; ha tutta l’apparenza di un tristo; ma attendete che egli sia solo, che vi sveli il fondo della sua anima, e voi gli avrete compassione, e voi potrete dire: — Tu non eri nato per essere un birbante! —

                          ... Ah! la nature et les hommes m’ont fait
Bien méchant, bien cruel, et bien lâche en effet.
O rage! étre buffoni o rage! être difforme!, etc.
                    

Leggete quel monologo, e Triboulet diviene interessante.

In mezzo a tanta abbiezione, di cui egli ha coscienza e rimorso, vi è qualche cosa che lo rileva agli occhi suoi e lo nobilita: Triboulet è padre. Straniero e repulso nella societá in cui si trova, la figlia è per lui la societá. Solo, senza il conforto di una famiglia, la figlia è per lui una sposa, una madre, una sorella. Odiato odia: accanto alla figlia ama ed è amato. Fra’ cattivi è cattivo: accanto alla figlia si sente virtuoso. Non ha un amico, non ha nell’universo cosa alcuna su cui possa riposare lo sguardo: la sua figlia è il suo universo.

                                         ... Ma cité, mon pays, ma famille
Mon épouse, ma mère, et ma soeur, et ma fille,
                    
                          Mon bonheur, ma richesse, et mon culte et ma loi,
Mon univers, c’est toi, toujours toi, rien que toi!
De tout autre côte ma pauvre âme est froissée
                    

Triboulet non ha il carattere nobile ed uguale del vecchio Orazio; ci resta sempre al di sotto qualche cosa di rozzo e di salvatico. Odia, ama con lo stesso furore: egli è in una situazione tesa, che dee condurre ad uno scoppio violento. Quest’uomo è costretto a ridere, mentre la sua anima piange; a comprimere tutti i suoi sentimenti; a schernire ed essere schernito. Innanzi alla figlia si oblia, si abbandona, effonde in lei tutta la ima anima, tutti i suoi affetti; prova la dolcezza del piangere.

                                                                                 ... Cela me délasse
J’ai tant ri l’autre nuit!
                    

È soverchia tenerezza, dice Girardin; Orazio non si mostra cosí tenero.— Eh, mio Dio! Lasciamo stare in pace Orazio e il tipo dell’amor paterno ed il padre perfetto. Triboulet ama come Triboulet: che ci è di comune tra le due concezioni? Il Girardin non ha posto mente, che Triboulet si trova in condizioni straordinarie, e che perciò il suo amore ha una espansione quasi frenetica, che non trova riscontro in altro esempio. Bianca è per lui non una figlia solamente, ma tutto; ed egli versa in lei tutta la sua anima esulcerata, tutto il suo essere reietto dal mondo. In Orazio l’amore verso i figliuoli è in collisione con l’amore verso la patria, alla quale egli sacrifica i suoi affetti privati. In Triboulet non vi è collisione: l’amor paterno regna solo, in tutta la sua onnipotenza, ed è sentimento e dovere, passione e virtú, tutto.

Il giudizio del Girardin è per lo meno ozioso. L’amore di Triboulet è troppo tenero, egoistico, geloso, istintivo. Sia pure. Fin qui non mi avete detto ancor nulla. Voi mi dovete dimostrare che un amore siffatto non sia poetico, se volete venire ad una conclusione; e questa dimostrazione vi è impossibile: tutto ciò che move potentemente il cuore umano sotto qualunque forma, e con qualunque carattere, è poesia.

Nel giudizio del Triboulet, come in tutti gli altri suoi giudizi, il Girardin pone male le quistioni: il punto di partenza è sbagliato.

Quando ho innanzi Triboulet, in luogo di pensare ai tipi astratti o a questo e quel modello, io mi domando dapprima: — Che cosa è Triboulet? — E mi studio di afferrare in tutta la sua pienezza la concezione del poeta. È la prima condizione d’una buona critica. E quando me ne son fatto chiaro concetto, ecco le sole due quistioni, che ha a porre la critica: — Questa concezione è vera? è viva? —

La veritá della concezione richiede che non vi sia dissonanza nelle parti, che i diversi elementi corrispondano col tutto e tra loro. In Triboulet, per esempio, tanta sovrabbondanza di affetto verso la figlia è vera, perché risponde alla concezione; e se egli amasse alla guisa di Orazio, il suo amore sarebbe falso, sarebbe una ridicola dissonanza.

Ma non basta che la concezione sia vera; deve essere viva: a questo sol patto è poesia. E la concezione è viva, quando non rimane un pensiero, ma diventa una persona. La concordia de’ diversi elementi è unitá meccanica ed esteriore: è l’unitá dell’orologio. Triboulet non deve essere un orologio, ma un uomo. I diversi elementi debbono essere fusi e compenetrati; lavoro inconscio della virtú creativa. Ora Victor Hugo ha lavorato con troppa coscienza; il critico ha in lui preceduto il poeta. Le diverse parti della sua concezione stannosi dirimpetto, procedendo prima parallelamente, poi in antitesi. Avete prima il buffone, poi l’uomo, poi il padre; indi un’antitesi continuata. Ma l’anima non è fatta a pezzi né ad antitesi; tutto questo sa di artificiale. È un maestro, il quale per far comprendere la lezione dá alle sue idee una disposizione, non conforme alla loro natura, ma alla intelligenza degli allievi. Il romanticismo è nato in Francia con questo difetto: è stato un lavoro di riflessione piú che di arte. Ciò che si trova qua e lá in Shakespeare, è stato dai romantici raccolto, condensato, messo in rilievo ed in antitesi: indi che cosa di crudo e di duro nelle loro concezioni. Triboulet, se debbo dir netto il mio pensiero, mi pare una costruzione vivace, armonica, bene ordinata, ma non una perfetta creazione: difetto comune a quasi tutte le concezioni drammatiche di Victor Hugo.

Le quistioni poste a questo modo sono feconde, e ne può nascere un lavoro importante sopra Triboulet e sui drammi del poeta francese. Come le ha poste il Girardin non menano a nulla.

[Nel «Piemonte» di Torino, a. II, n. 20, 23 gennaio i856.]

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