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I. Valli di Bormio
Capo I - B Capo I - II 1-6

286 Ascoli, Saggi ladini, I. in piggè (piciè) peccato (compassione; cfr. p. 43 n. 2), quella del num. 179 in pergiè (perciò) perchè, e in (ci) quid, e ancora l’esito dei num. 165 in preèl *prejól pregarlo, comuni tutti e quattro questi documenti palatini a tutte e tre le lezioni che abbiam della Parabola; e si aggiunge, nella comedia bormiese di cui più innanzi si parla, un passo veramente caratteristico, nel quale il GA di negare subisce per la varietà livignasca l’alterazione del num. 182 (s-néa nega), e non la subisce per una varietà propriamente bormina *. Ci sarebbero inoltre gl’infiniti clàmer, clàper (chiappare), con l’accento sulla prima, addotti dal Monti nel vocabolario, i quali, se sono corretti, converrebbero cogl’infiniti di Val Monastero, di cui è toccato in nota alla pag. 227 2; e finalmente, dallo stesso vocabolario: tea, cascina, stalla d’alpe, che è la stessa voce della Bassa-Engadina 3. DI QUALCHE VARIETÀ. INTERMEDIA E DEI CARATTERI DI SPECIALE AFFINITÀ. I. Facemmo testé una distinzione cronologica fra gii elementi ladini che sono peculiari alla Valle di Livigno ed i fenomeni che sono proprietà comune della favella ladina e del dialetto bormiese in generale 4. L’esame del qual dialetto potrà ora con1 Parla uno di Val Furva: èj essa feit mi, còfè i legnasch €schnèa, e schnèa sald[»]; ma sfolta èj poira, chel me schnegherr... ho ora fatto io, come [come-fa] i Livignaschi: c nega, e nega fermo’; ma questa volta ho paura che il mio negare... 1 II secondo parrebbe, dalla indicazione del Monti, comune anche al borxnfno; ma per quanto concerne l’accento, sarebbe uno sbaglio.

  • Il Monti ha pure le due voci livignasche per Cangiare’: mangier e maglièr

(398. 132), con la stessa distinzione di significato che avevamo ne’Grigioni (num. 146). Ma gli stessi due tipi (mangiti y majd), e con la medesima distinzione, ricorrono in più varietà lombarde; e mi facevano notare, che del baco da seta (animale rispettabilissimo!) dicono mangid come dell’uomo. 0j 4 E contrario all’equità il ’toccar senza bisogno degli errori in cui sieno incorsi coloro che ci hanno preceduto. Ma qui temerei di qualche equivoco se -non avvertissi, come il Biondelli (o. c. p. 10) faccia dipendere la particolare somiglianza fra il bormiese e Yengadino dal mancare al bormiese Yù lombardo e dal conservatisi intatte le forinole PL ecc., quando il vero ò all’incontro B. FRA IL GRUPPO LADINO ED IL LOMBARDO. § 2. Ladino e Lombardo. B. i. Valli di Bormio* 287 durci al seguente quesito: se cioè questa comunanza di fenomeni ancora provenga dalla commistione di due favelle diverse, o non piuttosto si debba ripetere da quelle conformità di condizioni isteriche per le quali si possono indipendentemente sviluppare delle varietà intermedie. «Che se a me è dato, non già di compire, ma almen d’iniziare questo esame, gli studiosi ne dovranno saper grado al professor Giuseppe Picei, direttore del reale ginnasio di Brescia. Saputosi dall’egregio uomo come io indarno venissi cercando il Processo di Maddalena Lazzari, citato dai Monti «, egli mi sovvenne imprima con una Comediuola inedita, la quale deve risalire alla metà del seicento, ed è probabilmente il testo più prezioso che per l’indagine nostra si possa avere. Due personaggi vi parlano il vernacolo della Val Furva (bacino dei Frodolfo), ed un altro vi adopera una varietà alquanto diversa, che meno scostandosi dal tipo fonetico degli attigui dialetti valtellinesi, dev’essere quella del capo-luogo, cioè di Bormio. La cortesia del Picei ha poi voluto aggiungerci un piccolo Vocabolario furvese, inedito esso pure, di mano moderna e di beli* ortografia. La varietà della Val Furva può di poco differire da quelle delle valli di Sotto e di Dentro, per la seconda delle quali avevamo una versione della Parabola nel vocabolario del Monti; e il Picei comprendeva queste e quella nei saggi rustici, che egli, bormino, si è inoltre compiaciuto di attingere alla tenace sua memoria, soddisfacendo con generosa abnegazione alle mie domande. Riproduco ora in carattere corsivo, senz’altra indicazione, gli esemplari che ho raccolto dalle labbra di quel valentuomo, e quindi sono trascritti secondo le nostre norme. Altre voci, pure che il bormiese si distacca affatto, per la prima proprietà, dall’engadino; e come tocchi pur quell’autore di particolari affinità fra V engadino (retico) e il livignasco, ma le faccia consistere nell’-er = *-dre degli infiniti, e nei suoni s z per s g (*g), che sono appunto fenomeni i quali ricorrono, come tosto vedremo, pur nelle varietà propriamente bormine.

  • Processo di M. L. condannata quale strega in Bormio Fanno 1673; ms. di

134 pagine, parte in italiano e parte nel vernacolo di Bormio; Mt. voc. 371. A p. 425-6 ne dà una mostra, la quale accennerebbe alla varietà del capo-luogo (se te ciapes mal, ti has fatte, coflà-t gonfiarti) anziché alle più caratteristiche di cui veniam tosto a parlare. Digitized by 288 Ascoli, Saggi ladini, I. in corsivo, provengono» secondo l’indicazione, da Monti o da Cherubini (E. S. II 4, elenco di voci bormiesi, avuto da un valfurvasco); e tutte le restanti, che sono nel testo, ho estratto dalla parte furvasca (o furbasca) della Comediuola. Finalmente pongo frunota le voci che prendo ai Vocabolario furvese, aggiungendovi, e distinguendo, qualche esemplare di cui vo debitore alla cortesia di altre persone. 1-8. Infiniti: dQmander, sperèr, aver, maljér, dcr, stèr, fer, pelerr, tirerr, passerr, pagherr, litigher; con affissi: donèm donarmi, palesemm, manegiem; segondèff secondarvi; preghell pregarlo, foli, cofessell; immaginèss; laghèj (lasciar-ci); ecc. Ma sfugge allo scrittore qualche esemplare con Va: tornarr, buttarr, catarr chattalla. Participj: aré arato, dgmandé, pensé, regolò, lughè (arrivato), menè, painè (preparato), cattè, magliè; pi. persegui tèj, stimò j; fem. te V as penséda, rubéda, regordèda, timoreda, giureda. Altre voci: i leghi dirr (li lascio dire), cher chera, rera; mej più, sèj *sai (cfr. p. 103 n. 1) so, e simili, vedine III 3, is-eiden essi ajutansi, ch’el m’eydia ch’egli mi ajuti,- cfr. n. 172; caritè, bonté, sigurtè; e! ge céì sei già qui?, ven ce vieni qua, vann lèi, un pò de cèj un pò de lej f. All’incontro: mal, naddl, pa padre, comparr 2. 5.6. stà domen (stamane); una men, alli x^èn; enima; ma: stemana 5. 7. fom. Così pur tutte le Parabole. Ma pare esempio affatto solitario. 8. L’e dinanzi a è e n: in brecc, checcia 3. p. sg., [i strecc, guadegna]; dinanzi a r: chern, [i scherpa Parab. Liv.]; a $: gròssa, cfr. razza e rezza, e grezia Ma: pdlja, vali 5. 9. èira, i gléir ghiaje, carreira («* carèra comasco, caratello grosso ecc. Mt.), alli Calcheira (cfr. com. calchèra Mt.); granéir, daneir, fgrnéir, spezieir, spareir Ch. sparviero (cfr. p. 61) 6. 10. alt, cald, fate, altra, (cselza?) 7. 13. enc ench enea, nénca; mench manco (meno). 1 chesa cucina, chenua, schetola; e qui porremo anche al rett (ratto) il topo, e al ghett, la ghetta, gatto ecc.

  • nas nas, asan asino.

3 la domann, mann, pann pane. 4 al brecc, Ve! il tagliere (’asse’), Vesp; tene glia, li castegna. 1 gali, spalla. 6 caldeira, polleir, morteir, steir, 7 fate. § 2. Ladiuo e Lombardo. B, i. Valli di Bormio. 16. es tira inant, tant, ma: pertent; tant, pi. tene, quant quant, pi. quenc (sg. e pi, f. quanta] e così: la pianta, pi. H pianta); comanda, ma: i raccomendi gli raccomando, e grèngg grandi; un an, quenc en ghesì. Cfr. § 2, b, ii, 1. 17. /fóma^chsembi? *• 19. 21. véiv vòira; sé ira*; primó’ira primavera, che nell’ai da ei serba vestigio del v dileguato, così come l’Ó da e in 6rr *ver avere, (cfr. 86 vx *àauór sapere, e floèul, cioè flól, Mt. voc. 80. 481, *Aeul fievole), allato apode r vQle’r; e v. ancora il Bum. 40. Ancora: plen, seren, cadena. 22. 2S. àra erat (e cosi pur nelle Parabole); m$l; /feZ;- éir jeri, déis disch deisch 5. — 80. séis sisch. 24. stett con dè, state con Dio. 27.28. fèsta; verm, terra; invem; melj.— 82. jent e gient. 81. uzél, pi. ulcélj (cfr. n. 93); anél, pi. anélj. 88. morir, carpir, ecc. Ned è un’anomalia fonetica nur gnurr venire, ma si tratta di forma analogica, la qual dipende dal participio (nu, n. 60), sul metro di ir andare, allato al suo ptep. [i]t, a 8imiglianti. — 85. implì empito. 84. fréid. 88. ir irr, Ve zi, Ve zida. 40. déit; pel; bór bibere, bòf bibit, cfr. n. 19-21. 41. chisch questi, chisti queste; chij quelli (a quii a quello, liv. Mt. voc), chi Ili quelle. 46. dolyr ecc. À Importante nell’ordine lessicale: chora quando, cfr. p. 254; ma è voce che ricorre pure in altre parti della Valtellina: quòra (V. Malenco), cora, Mt. 50. 52. cor, al mor muore, mi tròj e pròj trovo e provo; Ve nóf Ve nova; un lenzól, i lenzólj, i fazólj; cóir 5, sOir sóira suocero -a, nóf nove; óf sg. e pi. (off pi.). 54. 56. la mort, un mort; oss, gross, poss; del noss temp, a vos chónc a vostro agio 6, ma al pi.: ai nflss dì, i nòss pret, i

  • la ghémba.

1 * stadeira. 3 li palpeira palpebre.

  • al sull sole, murus murusa, cutt cote; cui si aggiungono, pel n. 58: al

spus, la spusa. 6 chidir parrebbe mostrare la palatina del n. 166 grig., cfr. il n. 160-5.

  • godej per amor me, a vos chònà, atto x, se. n; cfr. in ispeeie il leventinese,

al n. 152. Ne viene un prezioso esempio anche pel frangimento dell’o in posizione (cfr. n. 57 grig.). % 2dO Ascoli, Saggi ladini, I. vòss scrupol, di feit vóss dei fatti vostri. Inoltre: ogg (ott) otto, nòe notte; Ve cott y i en cóc un òc, i 6lj còlas vòglia, come la si voglia 4. 59. 60. Lo schietto u: un, fura, scur, sigùr, la sigùr, gùra, lus; plazù, bù buu bevuto, bù avuto, gnù venuto, pi. temùj. Ha le apparenze di un’eccezione: poira, paura; ma sarà póira, che ci riconduce al n. 235 di Toschiavo’. / óbri, ubera, ci porta alla sua volta all’analogia del n. 66 grig.; cfr. altògn n. 93. 61. ggla, erp*, nQs;gQufK 68. gust. — 64. mólger, pògn. 93. st’altògn, che deve dire Quest’autunno’; cfr. ulcélj n. 31 3. 97. LJ si regge, alla ladina: vòglia, melj, ecc., erbeglie Ch. (cfr. pag. 254). 199. abbia, aja Picei e Mt. 111. Vedi il num. 137. 114 ecc. Costante la conservazione del nesso: più, implì n. 35,plang; clappè pigliate (chiappate), gléir n. 9; ecc. Mt.: cioflà soffiare (cfr. la nota a pag. 287), plèdria pevera (cfr. St. crit. II 96), móscio muschio, ecc. — 118-9. vègl (sg.) 128. Dèlia caratteristica tenacità del R che riesce finale, già avemmo saggi ai num. 1-3, 9 è 33; ora aggiungiamo il tipo viver, perder, esser. [Pure a Grosio, v. pag. 294, resiste il -r dell’infinito: viver, mangiàr; ma non costantemente; cfr. Ili, 3.] 129*. È frequente il dileguo di v interno: proedù, soent, lorr cosa (lavoro), cfr. num. 19-21, 40, e III, 3. Ma pure il v iniziale in date congiunture si regge, in altre no: còlas vòglia n. 56, chel me schnegher òglia valer che il mio negare voglia valere; ch’y v6j che ci (le) voglio, n’òj perder temp; l’è essa pò veira gli è ora poi vero, ladischd’èirala dice davvero. Così ci accostiamo, per questo capo, alle condizioni del bergamasco, più ancora di quanto potè vedere il Biondelli, o. c. 11 5. 184. 186. schvoidè vuotato, schnegher, v. il num. preced.; es tu sei, ecc.; bonisciom buonissimo; imposcibel.

  • son sonno (pure a Bormio; Lazzeri)? circa la qual forma rimanderemo

a ( Poschiavo

  • Circa questo esempio di -m/*, si considerino i seguenti casi di *-» organico,

offertici dal Vocabol. furv.: avf avo, arcavfa li cofv (sic) i covoni, la chiavfa la nefv (sic), e con *-d da *-p [-b]: avf ape, al canofv (sic). 3 l’ulcell, cfr. Toschiavo’. 4 i òlj li orelja, al gonelj. 1 li gingia, lapida; [di *t? da *p: naod nipote]. § 2. Ladino e Lombardo. B, i. Valli di Bormio. 291 187. Si regge la sibilante all’uscita della sec. pers. sg.: es, ti te pdrles, cldmes, véndes, lézes, móres 1;- eres eri, Mt. voc. 426; ecc. Ma non piti nel nome, del che si ritocca più innanzi; tranne un avanzo quasi fossile, che riconosco in coeuz (cóz *caué[l]s, cfr. sòr e*sauèr ecc.), capelli, Mt. voc. 53 2. Altro esempio può parerne in dose (dos), tra due, Mt. voc. 70; ma, a tacer d* altro, non credo esatta questa traduzione. 141. noss ecc. n. 54-6, fem. vossa. * 144. Vocab. furv.: fum fune, cfr. § 3, ’Val di Non’ecc. 100-5. 181-2. Manca la palatina nelle formolo c+a e g+a. Quindi: catarr, preghell n. 1-3, oca vacca Ch., fadiga, ecc. ecc.; cfr. 8. f Li vigno’. Per c capra* sovveniva però al Picei: ’céura, ma insieme gli pareva voce engadinese. In Ch. riabbiamo: cavra o riavrà, e chiavra nel Vocab. furv. (cfr. num. 52 in nota). Tuttavolta par probabile che la voce colla palatina sia accattata 3. 109-70. uzel ecc. v. n. 31, pldzer. — 188-9. Cfr. n. 32 (e 52). Per NG’ecc.: strérùger, mólger. 172. féit feit, treit; teit, spèlta, dréit dreit dréita; stréit;- leó latte, leó il letto. 177. Assai notevole è ogola ( # augula) aquila Ch.; cfr. n. 184 e 177 alto-engad. 4. 184. not nota, nota-tant-de-mench nulla di meno; gyuf n. 61, wiofmugo, Pinus Mugho, Mt. 198. Caratteristico è il conservarsi del -t della sec. pi. indie, pres. e imperat., ma solo in voci monosillabe: hett (att) avete, sott siete 5; stett state!, ded-i dalli!, e quindi nell’ausiliare annesso: lagherett lascerete. All’incontro: credè voi credete, ecc. Pur nella sec. 1 Carattere sempre ancora costante pure nel capo-luogo: védes, métes, sas sai, das (Lazzeri); cfr. Ili, 3.

  • Si ripete il prezioso esemplare nel Vocab. furv.; e circa il dileguo del l %

si consideri i pos, U tempie (i polsi), del medesimo vocabolario. 3 Ugualmente mi parrebbero accattate altre due voci congeneri: bestia pecora Ch. e Mt., malgrado il besciàm, bestiame, di Albosaggia Mt., cfr. pag. 172 num. 3, beschia eng., pecora, Car. nachtr.;- e limoèuria^ persona macilenta, segaligno, animale vile, cfr. n. 99 basso-eng. Più manifesta che mai ò l’estrania provenienza di dagia Mt., sorta di pino delle alpi; v. sopra, pag. 39, num. 4. Qui ancora da notarsi, per l’identità colle voci grigioni, il plolj del Vocab. furv., cfr. p. 110. 4 La fase *au[g]ula sarebbe all’incontro in aola, piccola aquila, che il Rosa mi adduce dal dial. di Ponte di Legno (Val Camonica Super., appiè del Tonale). 1 Parab. Liv.: giòt a tór andate a prendere (imperai.). 292 Ascoli, Saggi ladini, I. pi. dell’i mperf. dell’ausiliare: eret, Tunica voce che io incontri nella comediuola per questa persona 4. 203. rier ridere — 210. 215. Cfr. i n. 19-21, 40 e 129». Ora, perchè ci è parso di dover staccare il bormiese dagli altri dialetti che in questo paragrafo venimmo studiando, e di vederci altra cosa che non una semplice confluenza di elementi engadini e lombardi? In parecchi fenomeni, e di ordine vario, che sono in parte riserbati ai capitoli susseguenti, la convenienza tra il bormin’o e l’engadinese, o il ladino di Svizzera in generale, è tale e tanta, che par che ci costringa a ripetere pur 1* elemento ladino di questo territorio da mere propaggini cisalpine della favella ladina de’Grigioni. E quanto alle alterazioni che l’antico patrimonio ladino abbia sofferto, non è diversa, a cagion d* esempio, la condizione del plural feminile bormino, che si direbbe appena spogliato della sibilante (li piànta, li plàga, li ostaria, li pora serva, ecc.), dalla fase che avvertivamo in Bregaglia e nella Mesolcina. E se Bormio mal più dà la palatina nei num. 160 ecc., la stessa Bregaglia ormai non ce ne offre se non esempj rari, e nei poschiavino non ve ne ha quasi più traccia. Ma, d’altra parte, lo schietto u per Vu latino (n. 59. è0.63) scevera il bormiese cosi dal ladino d’oltralpe come. dai lombardo. È l’efficacia dell’elemento lombardo, bene scarsa in generale per questo territorio, come in ispecie la flessione ci mostra (cfr. per ora i n. 109, 137 e 198), dovrebbe dall’un canto esser bastata a spegnervi la palatina delle formole c+a e g+a, quando non giungeva, dall’altro, a immettervi Vùì Lo schietto u accennerebbe, ma in debol guisa, a parecchie varietà ladine che incontreremo ad oriente del bormiese (§ 3, a); ma se al di là del Tonale scarseggia l’fi, vi è all’incontro ^sempre florida la palatina nelle formole a cui alludiamo. Nessuna particolare attinenza ci è d’altronde dato scorgere fra il bormiese e il dialetto della Val di Monastero, che immediatamente gli sovrasta da settentrione. Par probabile che la via dello Stelvio accenni alle 1 La Val Furva, come vedo da un bel saggio del sacerd. G. B. Vitàlini, oonserva tuttora questo tipo, in aat avevate (cfr. aan avevano, ecc.); ma nella corrispondente voce di f essere’, oggi dice aruv (v. n. 22 e cfr. aran erano, ecc.), ha cioè il tipo col pronome suffiso, alla lombarda (cfr. borm. od. voleof volevate, Lazzeri).

  • li vis (radici) del tuts, narici.
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