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La leggenda di San Gennaro | ► |
I PATRONI
L uno dei bisogni più ingenui, più teneri e più profondi dei popoli cristiani, raccolti nlle città, nei paesi, nei villaggi, persino nelle più umili borgate, quello di crearsi, nel paradiso dei santi, un patrono a cui dedicare dopo Iddio, Gesù e la Vergine, tutto l'ardore della propria fede, nelle cui mani mettere le sorti della loro città o della loro borgata, e da cui attendere, come fedele ed efficace protezione, come clemenza, come misericordia, da cui invocare, in un grido di dolore e di amore, le grazie supreme» la salvazione da ogni gran perìglio o il coraggio per affrontare e vincere questo gran perìglio, o, infine, la sublime fra le virtù crìstiane, la rassegnazione, a sopportare, in obbedienza, in umiltà, tutti i mali orrendi dell’esistenza. E questo bisogno intimo, questo bisogno sentimentale e mistico, insieme, di possedere spirìtualmente, un amico nel cielo, non è solo dei popoli accumulati nelle potenti città e di quelli disseminati nei piccoli villaggi: ma, anche, di quelle persone che affidano la proprìa vita allo stesso sforzo di volontà, che mettono la loro vita in uno stesso lavoro. Tutte le arti, le più preclare, hanno un santo patrono; tutti i mestieri, i più oscurì, hanno un santo patrono; e non vi è ente, non vi è corporazione, non vi è sodalizio, in cui ancora non si venerì l’antica fede di Cristo, in cui ancora non sia passato il freddo scetticismo che fa dileguare ogni ardore, in cui non sia passato, ancora, il gelido cinismo che tutto fa inaridire, non vi è una sola di queste rìunioni di uomini, dal cuore ancora legato a tutte le più amorose tradizioni di pietà religiosa, che non abbia un santo per patrono. Costume religioso moderno? Costume religioso di tutti i tempi: costume religioso di sempre. Chi mai potrà ritrovare, lontano, lontano, nei secoli tutti pieni delle profonde ombre del passato, quale città, per la prima, volle avere un patrono, nel Paradiso, quale arte, per la prima, domandò un amico nel cielo, per svolgersi e prosperare sotto la sua benedizione, quale gruppo di uomini raccolti per pregare e per lavorare, scelse un santo a proteggere la preghiera e il lavoro? Chi mai saprà il tempo, il perchè e il come della scelta di un patrono, di cento patroni, di mille patroni, presi nella immensa schiera del martirologio, scelti fra i santi più luminosi, più fulgidi della cristianità, come fra i poveri piccoli santi che pochi conoscono: giacché anche fra i santi vi è un destino non di maggior gloria nel Cielo, perchè tutti vi hanno la medesima gloria, ma di maggior gloria sulla terra? Chi mai dirà il vero momento e la vera ragione, in cui una di queste grandi figure o di queste modeste piccole figure di santi, tutti eguab, innanzi a Dio, ma non tutti eguali, nelle simpatie degli uomini, divenne la patrona di una folla di persone, fra le mura vaste di una vasta città o fra i campi floridi che circondano un obliato villaggio? Tutto è così lontano: e tutto è così incerto! Le leggende avvolte nei veli fitti del tempo, hanno perduto la loro antica, bizzarra, infantile e spesso alta significazione: e giungono sino a noi dopo aver attraversato milioni di fantasie e milioni di anime: e noi le ascoltiamo, curiosi e attoniti, non sapendo affidarvi ninna nostra certezza. Le storie coi loro documenti, con le loro testimonianze, con la loro precisione, sono giunte, è vero, sino a noi: ma, ogni storia sacra o profana ha il suo contradittore, ma ogni documento ne ha un altro, di fronte, ma ogni testimonianza è negata da un’altra testimonianza: e più incerto e più dubbioso, ancora, rimane Y animo di chi ha cercato la verità nella storia. E, probabilmente, una sola verità, è la verità autentica, una sola verità, è la verità vera, in fatto di fede, di religione, di santi: è la verità della leggenda, quella venuta dalla tradizione, quella venuta dal cuore e dall’anima del popolo, quella venuta dalle anime semplici e dai cuori schietti, le sole e i soli che sappiamo sentire, credere, amare. E noi preferiamo credere alla leggenda così alta e splendente di San Giorgio che vinse, in battaglia, il dragone, leggenda che nessuna storia e nessuno storico ci ha saputo confermare, ma che è fatta per riempirci di stupore, di ammirazione e di emozione. Gli storici meritano non solo il nostro rispetto, che è sincero e grande, ma sono degni del rispetto di tutti: questo nostro rispetto dà loro, in questo libro che vuol offrire le linee e le espressioni di una grande figura di santo, il posto che essi meritano: niuno che abbia mente e che ami le energie del pensiero, che non stimi e che non apprezzi tutto ciò che risulta dallo studio, dalla indagine, dalla ricerca: ma la leggenda ha, per sè, un fascino indicibile, che viene quasi sempre, dall'anima collettiva antichissima, ignota, vasta, fremente di sentimento che la compose e che la trasmise alla nostr' anima fremente e palpitante. Questo fascino è indicibile, in sua possanza: ed è, anche, in sua possanza, invincibile.
Quanti santi ha, il Paradiso? Chi lo sa! Quanti patroni vi sono, fra questi santi? Chi lo sa! Il più erudito agiografo, il più sottile teologo non vi potrebbe dire nulla di preciso, in proposito. E io, sostengo, così, per un criterio tutto psicologico, di un’assai modesta psicologia: ogni santo, nel Cielo, è patrono di una città, di un paesello, di un’arte, di una corporazione, di un mestiere, di una raccolta di uomini, di un gruppo di donne: ogni santo ha da proteggere qualche cosa o qualche persona, un’idea o un ente che gli è simbolicamente dedicato. Tutti i santi, io dico, hanno questo ufficio: e ognuno di essi, il più semplice fra essi, quello il cui nome, persino, è sconosciuto a tanta parte della umanità, ma è pur noto a una piccola parte di umanità, ognuno di essi, per una sua virtù speciale che la folla ignora, ma che qualcuno bene conosce, ognuno di essi, per una sua fonte di carità e di amore, di cui si sono dissetati uomini antichi o uomini nuovi, ognuno di essi, per un miracolo, per una grazia, per una benedizione, ognuno di essi, nel Cielo, ha il suo grande ufficio di patrono.
Ah certo, certo, molti santi del Paradiso sono patroni di cento città cattoliche, di cinquecento paesi cristiani, di mille villaggi perduti nei piani, perduti sui monti, ma protetti da questi santi: molti di questi santi hanno il carico spirituale e tenero di proteggere e soccorrere, coi loro mistici ausilii, migliaia e migliaia di anime bisognose, anime sparse nelle latitudini estreme del mondo, ovunque siano diffusi i quattrocento milioni di cristiani. La madre di Maria Vergine, Hannah, la matura matrona che, forse nacque a Sephora, sant’Anna, colei che i grandi pittori raffigurano in sua figura serena e pia accanto alla giovinetta predestinata, sant’Anna, non è, forse, nella sua aureola di madre di Maria, non è patrona di paesi esotici, di città straniere e non è, in Italia, patrona sui monti e sulle spiagge, non è, in Napoli, patrona di tutti i Napoletani, dopo San Gennaro e patrona venerata di certi quartieri? San Giuseppe, lo sposo di Maria, non è il patrono dei patroni, poiché nel suo soave nome benedetto, in tutte le parti del mondo, si tendono a lui le mani congiunte di tutti coloro che lo considerano come loro protettore, poiché salgono, sino al buon vecchio legnaiuolo di Nazareth, dal bastoncello fiorito, salgono sino a colui che guidò amorosamente i primi passi di Nostro Signore per le vie di Galilea, salgono a questa figura di bene, di pietà, di dolcezza, che é Giuseppe di Nazareth, le orazioni più ferventi di chiunque prega, spera e invoca bene, poiché vi é chi lo chiama a benedire la vita e chi lo appella a benedire la morte? E il grande taumaturgo che venne di Spagna in Italia, colui che vestì l’abito di Francesco d’Assisi, il grande sant’Antonio di Padova nostra, colui che, là in Padova bella, è venerato e non ha bisogno di nome, neppure, poiché si chiama il Santo, come se non ve ne possa esser nessun altro in Paradiso, per Padova, sant’Antonio non è, forse, uno dei patroni più popolari, in tutta V Europa e nelle Americhe e da per tutto ove la gente pieghi le ginocchia per orare e per chiedere le grazie, onde egli è famoso e abbondante donatore? E sulle fiere montagne coronate di ghiaccio, in loro sublime solitudine, sulle spiagge desolate ove viene a rompersi l’alta marea dell’Oceano, nelle possenti città tumultuose, sulle floride colline baciate dal sole, nei paesi del tropico, nei paesi su cui brilla la Croce del Nord, sotto tutti i suoi più commoventi attributi, sotto tutti i suoi titoli più efficaci, più alta di tutte le sante, insieme, più alta di tutti i santi, quale maggior patrona che Nostra Donna, quale maggior patrona che Maria di Nazareth, ovunque batta un cuore, ovunque frema di fede uno spirito, ovunque un'anima gema di dolore, ovunque una fronte si pieghi sotto il peso della vita, quale più di lei, Patrona? Essa è la fontana vivace: e niuno dirà mai, nella leggenda e nella storia, su quante poderose mura di città da lei protette sorga la sua pura inunagine, niuno dirà su quante povere capanne raccolte fedelmente intomo a un bianco campanile, Ella domini, in sua bontà infinita. Ella, fontana viace!
E così, anche fra i patroni, vi sono quelli rifulgenti di tutti gli splendori e quelli simili a modeste lampade, veglianti nelle sere d'in verno, dietro i vetri di una cameretta ove si lavora: vi sono quelli che hanno una immensa popolarità, spesso una popolarità mondiale, e altri che la possiedono solo in una stretta cerchia di un piccolo paese, in uno stretto cerchio di persone. Londra ha per patrono, la più nobile, la più ardente e la più umana figura fra gli apostoli e i santi, ha per suo patrono l'uomo della via di Damasco, Paolo, colui che non conobbe Cristo, ma fu, per sua nobiltà e per suo ardore, il primo degli apostoli di Cristo: Pietroburgo nel suo gelido mantello di neve ha per suo protettore Pietro, il navicellaio della barca della fede cristiana, colui che tiene le chiavi del Cielo: e Roma, la superba Roma, li ha ambedue, per protettori, i due apostoli, e sono elevate a loro, le basiliche maestose, sogno di pontefici e di artisti, sono elevati a loro i templi sontuosi nelle mura e fuori le mura di Roma e le loro tombe sono venerate, ogni anno, da pellegrini che giungono nell’alma Roma, da tutte le parti del mondo. Ma chi, si rammenta più, oramai, che san Dionigi era il protettore di Parigi? Il vecchio grido di guerra Saint Denis, Sani Denis, scoppiava, giocondo e violento, sugli antichi campi di battaglia, ove splendeva, come gemma, il valore francese: e benediva le armi franche. San Dionigi, dal Cielo e andavano alla vittona, ì Francesi! Ma sono passati i tempi eroici e non vi sono più guerre: e non vi sono più battaglie: e ognuno ha obliato il santo che coronò di gloria i guerrieri di Francia. In una via popolosissima di Parigi, fra tante altre vie che s'incrociano e ove ferve il tumulto della vita quotidiana, un’antica porta sta, isolata, la Porte Saint Denis, isolata, come una cosa fuori uso, come una cosa di cui nessuno più conosca la storia, come un gran pezzo di pietra antica, come un frammento di monumento, come un ricordo sempre più velato nella memoria: caduto in desuetudine San Dionigi e il suo grido di guerra e la sua chiesa e la sua portai Non è, forse. Santa Genovieffa, la patrona di Parigi, accanto a San Dionigi? Santa Genovieffal Salvo le anime pie, in Parigi, niuno la rammenta più, questa modesta santa, questa modesta patrona, che pure ebbe una vita così bella: salvo in qualche famiglia della vecchia nobiltà, che impone il nome di Genovieffa a una sua figliuola, chi mai pensa più ad onorare la protettrice di Parigi, caduta nell*obblio, come il suo compagno di patronato, San Dionigi? Fortuna dei santi: fortuna dei patroni! E securo che il patrono di Milano, è Sant’Ambrogio: è securo che il tempio a lui dedicato, è mirabile: è securo che la poesia di Giuseppe Giusti In Sant’Ambrogio, con quei profondi ed emozionanti versi: Sentia nel canto la dolcezza amara... è inobliabile: tutto ciò è securo I Ma è anche certissimo che San Carlo Borromeo, il popolarissimo San Carlo Borromeo, reso anche più popolare dal suo piissimo nepote, il cardinale Federico Borromeo, il vincitore della peste, è il vero e proprio patrono di Milano; e non vi è culto maggiore, per esso, nella grande capitale di Lombardia, e il povero Sant’Ambrogio è messo da parte, ricordato sì e no, visitato solo dagli stranieri per le opere di arte che sono nelle sue chiese. Tutta chiara nelle albe pallide di primavera sorge Venezia sulle sue acque immibili ed è tutta rosea nelle ore del vespro, sotto i tenui cieli azzurri: e il suo fiero leone, in alto della colonna marmorea, leva il piede sul libro dell’Evangelio, mostrando il fatidico motto: Ecce, Marcus evangelista tuus, e nel nome dell’evangelista, vi è tutta la storia dei suoi trionfi, è tutta la luce di un passato incancellabile. Marco, Marco! Persino ora, gridano così i gondolieri, quando si battono nelle corse, nelle regate e s’incitano, per raggiungere il palio, verso il Canal Grande. Marco, Marco! Così, per tutti i momenti più alti della vita veneziana, scoppiava il grido che invocava il santo protettore. Eppure ne aveva un altro, di santo protettore, Venezia: ne aveva un altro, assai meno celebre, assai meno famoso, assai meno noto. Santo Eimagora. Povero vecchissimo santo che, pure, ha dovuto benedire dal Paradiso tutte le gesta di Venezia, che pure ha dovuto proteggerla e benedirla in ogni sua sciagura e in ogni suo bene. Chi si rammenta più di Santo Elrmagora? La sua chiesa è visitata da touristì scrupolosi ma indifferenti, da rari appassionati di arte: e molti non hanno mai saputo l'esistenza di un Santo Elrmagora. Solo ora, nel clamante finale della Nave, il poeta che seppe onorare cosi altamente l'Italia e Venezia, ha nominato, in suo scrupolo, il santo che niuno rammentava, più: e un senso di stupore vi è stato in tutti quanti, tanto San Marco e Venezia sembrano e sono una sola cosa! Certamente, uno dei più simpatici santi protegge la città di Genova, il santo guerriero, il santo eroe, colui che è raffigurato, vestito di maglia e di corazza, con l'elmo lucente sui capelli biondi, cavalcando un gran cavallo bianco che si inalbera, brandendo una spada per uccidere il dragone che si torce, cacciando fiamme dalle nari, sotto gli zoccoli del cavallo: San Giorgio! E questo santo condusse, nel tempo dei tempi, il popolo genovese, coi suoi dogi, coi suoi ammiragli, alle vittorie navali: e ancora veglia. San Giorgio, sulla città e sul mare fecondo, onde ella si fa sempre più bella e più ricca. Ma se entrate, come un viandante dei tempi antichi in Genova, non per mare, non per ferrovia, ma come viandante, per la sua maggior porta, voi scorgete, lassù, lassù, una statua di Maria e voi leggete le reverenti parole di dedicazione: Genova, città di oraria Santìssima. Tutta la città le è dedicata: e, oramai, solo sulle beneauguranti medaglie di argento, che sono un gentil dono di amore e di amicizia, la effigie di San Giorgio, sul gran cavallo che si rizza sul dragone vinto e debellato, rammenta le purissime glorie del santo eroe!
Fortuna dei santi e dei patroni! San Luca che, dice la leggenda e conferma la storia. San Luca, il quarto evangelista, che dipingeva sulle pareti bianche, le immagini prime e che tramandò ai posteri lontanissimi i tratti della madre di Nostro Signore, San Luca è onorato come alto protettore dei pittori e nel suo giorno è festa in tutto il mondo che dipinge, e nel suo nome sono intitolate accademie, istituti, scuole, e la sua aureola di santo, la sua aureola dì evangelista, la sua aureola dì artista, gli assicurano, una trìplice gloria imperitura. Ma chi si ricorda, salvo i calzolai, che San Crispino è il loro patrono? Chi si rammenta che in umiltà e in lavoro, Crispino si è santificato, battendo la tomaia e inchiodando le suola? Il mestiere del calzolaio è cosi oscuro! La vita dì San Crispino è così semplice! Meravigliosamente bella, con un profilo squisito dì vergine. Cecilia è rappresentata al cembalo, con le bianche mani che ne traggono suoni armoniosi e, alle sue spalle, gli angeli suonano le tiorbe, soavemente ed ella leva il capo ispirato e nei suoi capelli biondi quasi sciolti, è un nastro che li cinge; e finché una nota musicale farà fremere un'anima umana, finché dal cavo degli strumenti, finché dalle gole palpitanti escirà l'onda sonora che vi avvolge e vi prende, Santa Cecilia, patrona della musica, patrona del canto, sarà invocata, evocata, come figura dì poesia e d'ispirazione. Ma quanti conoscono che Santa Zita é la
2 - Serao, San Gennaro |
Fortuna dei patroni! Era, nel tempo dei tempi, patrono di Napoli, il primo, l'antichissimo patrono, Santo Agrippino, un santo del contado che, pure, fu vescovo di Napoli, dopo Santo Aspreno. Ma, a un tratto, apparve sulla faccia del mondo San Gennaro: vi apparve con la sua leggenda meravigliosa e la sua meravigliosa storia: vi apparve con la sua vita, con la sua morte, coi suoi miracoli: vi apparve, come cittadino di Napoli! E la aureola di Santo Agrìppino impallidì e, a poco a poco, sparve: il santo del contado cedette il posto al santo cittadino: il santo cafone fu messo da parte: Gennaro il grande taumaturgo, il vincitore della morte, vìnse il mite Agrìppino: e San Gennaro fu il glorioso patrono di Napoli, incontestato, incontestabile, invincibile. Chi, salvo qualche buon sacerdote, chi, salvo qualche credente fervido di fede, sa che Napoli ha anche una patrona, chi, salvo costoro, sa che Santa Restituta è patrona di Napoli? La storia di Santa Restituta, è così commovente! La sua cappella, nel Duomo, è così ricca, sontuosa, solenne! Ma la cappella è deserta, quasi sempre: ma nessuna napoletana si chiama più Restituta, come anticamente: e i Gennari, i Gennarini, i Gennarielli, sono innumerevoli, a cominciare da Sua Maestà il re d’Italia, che si chiama, è verissimo, Vittorio Emanuele, ma che si chiama, anche Gennaro e che, qui, a Napoli, quando era giovinetto era chiamato dal popolo, familiarmente, Gennarìno!