Questo testo è completo, ma ancora da rileggere.
Benché tra' monti solitaria insegni Certo è, che a sua gran pena
Questo testo fa parte della raccolta Canzoni eroiche di Gabriello Chiabrera


XVII

per lo medesimo.


Se dell’Indegno acquisto
     Sorrise d'Oriente il popol crudo,
     E ’l buon gregge di Cristo
     Giacque di speme e di valore Ignudo;
     Ecco che per la ria superbia doma
     Rasserenati la fronte Italia, e Roma.
Se alzar gli empj Giganti
     Un tempo al Ciel l'altere corna, al fine
     Di folgori sonanti
     Giacquer trofeo tra incendj o tra ruine;
     E cadde fulminata empia Babelle
     Allor che più vicin mirò le stelle.
Sembrava al vasto Regno
     Termine angusto ornai l'Istro, e l'arene;
     Nuovo Titano a sdegno
     Già recarsi parca palme terrene:
     Posto in obblio, qual disdegnoso il Cielo
     Serbi all’alte vendette orribil telo.
Spiega di penna d’oro
     Melpomene cortese ala veloce;
     E in suon lieto e canoro
     Per l'Italiche ville alza la voce;
     Risvegli ornai negli agghiacciati cori
     Il nobil canto tuo guerrieri ardori.
Alza l'umido ciglio,
     Alma Esperia, d’Eroi madre feconda,
     Di Cosmo armato il figlio
     Mira dell'Istro in sulla gelid’onda.
     Qual ne’ Regni dell’acque immenso scoglio
     Farsi scudo al furor del Tracio orgoglio.
Per rio successo avverso
     In magnanimo cor Virtù non langue.
     Ma quel di sangue asperso
     Doppia testa e furor terribil angne,
     O qual della gran madre il figlio altero,
     Scorge cadendo ognor più invitto e fero.
D’immortal fiamma ardente
     Fucina è su, su i luminosi campi,
     Ch'alto sonar si sente,
     Con paventoso suoli fra nubi, o lampi,
     Qualor da' bassi Regni aura v’accendo
     Di mortal fasto, e l’ire e i toschi ascende.
Su l’incudi immortali
     Tempran l'armi al gran Dio Steropi e Bronti
     Ivi gli accesi strali
     Prende, e fulmina poi giganti e monti;
     Ivi nell'ire ancor, nè certo invano
     S’arma del mio Signor l’invitta mano.
Quinci per terra sparse
     Vide Strigonia le supèrbe mura,
     Quinci ei nell’arme apparse
     Qual funesto balen fra nube oscura,
     Ch’alluma il mondo, indi saetta e solve
     Ogni pianta, ogni torre in fumo e in polve.
O qual ne' cori infidi
     Sorse terror quel fortunato giorno!
     I paventosi stridi
     Bizanzio udì, non pur le valli intorno,
     E fin nell’alta reggia al suo gran nome
     Del gran Tiranno inorridir le chiome.
Segui; a mortai spavento
     Lungi non fu giammai ruiua in danno;
     Io di nobil concento
     Addolcirò de' bei sudor l'affanno,
     Io della palma tua con le sacr’onde
     Cultor canoro eternerò lo fronde.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.