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VIII.
Il Balli s’era proposto di curare definitivamente l’amico. La sera stessa venne ad assistere alla cena di Emilio. Incominciò col non mostrare alcuna fretta di conoscere l’avvenuto e soltanto una volta che Amalia s’allontanò, chiese, continuando a fumare e guardando il soffitto: — Le hai fatto capire con chi aveva a fare?
Emilio disse di sì con qualche vanteria, ma poi sarebbe stato imbarazzato di dire anche una sola altra parola su quel tono.
Amalia ritornò molto presto. Raccontò della disputa che aveva avuta col fratello a mezzodì. Disse ch’era un grave torto di dar colpa ad una donna che il pranzo non fosse pronto. Dipendeva dalla forza del fuoco, e nelle cucine il termometro non era stato ancora introdotto. — Del resto — aggiunse sorridendo affettuosamente al fratello — non c’è da fargliene carico. Era venuto a casa di tale umore che se non avesse trovato uno sfogo gli avrebbe fatto male.
Non parve che il Balli volesse mettere in relazione il malumore di cui gli si parlava, con gli avvenimenti della sera prima. — Anch’io oggi ero di pessimo umore — disse per tenere la conversazione su un tono leggero.
Emilio protestò d’essere stato d’umore ottimo. — Non ricordi l’allegria che avevo questa mane?
Amalia aveva raccontata la storia della loro disputa con molta grazia; si capiva che parlandone aveva voluto soltanto divertire il Balli. Aveva dimenticato ogni risentimento, e non ricordava neppure ch’egli le avesse domandato scusa. Egli se ne sentiva profondamente offeso.
Quando i due uomini si trovarono soli sulla via, il Balli disse — Guarda come siamo liberi ora tutt’e due, non è meglio così? — e s’appoggiò affettuosamente al braccio dell’amico.
Ma l’altro non l’intendeva così. Comprese ch’era suo dovere di mostrarsi altrettanto affettuoso e disse: — Certo. È meglio così, ma io saprò apprezzare questo novello stato soltanto di qui a molto tempo. Per il momento mi sento molto solo anche accanto a te. — Senz’esserne stato richiesto, raccontò della visita fatta la mattina in via Fabio Severo. Non disse d’esserci stato anche la notte. Parlò del suono d’angoscia percepito nella voce d’Angiolina. — È stato solo quello che m’ha commosso. Era duro di lasciarla proprio nel momento in cui me ne sentivo amato.
— Conserva quel ricordo — gli disse il Balli insolitamente serio — e non vederla mai più. Accanto a quel suono d’angoscia ricorda sempre anche lo stato in cui venivi posto dalla tua gelosia e ti passerà ogni desiderio di avvicinarla più.
— Eppure — confessò Emilio sinceramente commosso dall’affetto del Balli — non ho mai sofferto tanto di gelosia quanto ora. — Fermandosi in faccia a Stefano, gli disse con voce profonda: — Promettimi che tu mi racconterai sempre quanto sul conto suo apprenderai; ma tu non l’avvicinerai mai, mai e se la vedessi sulla via me lo racconteresti subito. Promettimelo formalmente.
Il Balli esitò solo perchè gli pareva strano di dover dare una promessa di quella specie.
— Io sono ammalato di gelosia, solo di gelosia. Sono geloso anche di altri, ma prima di tutto di te. All’ombrellaio mi sono abituato, a te non mi abituerei mai. — Nella sua voce non c’era nessun tono scherzoso; cercava di destar compassione per ottenere più facilmente quella promessa. Se il Balli gliel’avesse rifiutata, egli era già deciso a correre immediatamente da Angiolina. Non voleva che l’amico potesse approfittare di quello stato di cose che era in gran parte opera sua. Guardò Stefano con un lampo di minaccia negli occhi.
Il Balli indovinò facilmente quanto passava per la mente di Emilio, e ne provò una forte compassione. Gli fece perciò solennemente la promessa domandata. Poi raccontò — al solo scopo di distrarre il Brentani — che gli dispiaceva di non poter più avvicinare Angiolina. — Credendo di farti piacere, avevo lungamente sognato di ricavare da lei un bozzetto. — Ebbe per un istante l’occhio da sognatore come se gli si delineasse in mente la figura pensata.
Emilio s’impaurì. Puerilmente ricordò al Balli la promessa fatta pochi minuti prima: — La promessa l’hai già fatta. Procura ora d’ispirarti altrove.
Il Balli rise di cuore. Ma poi, commosso — aveva avuta un’altra prova della violenza della passione in Emilio — disse: — Chi avrebbe potuto prevedere che un’avventura simile potesse acquistare tale importanza nella tua vita! Se non fosse tanto doloroso, sarebbe ridicolo.
Allora Emilio si lagnò del proprio triste destino con un’ironia di se stesso che toglieva ogni ridicolo da lui. Disse che tutti coloro che lo conoscevano dovevano sapere che cosa pensasse della vita. In teoria la vedeva priva di qualsiasi contenuto serio, ed infatti egli non aveva creduto in nessuna delle felicità che egli erano state offerte; non ci aveva creduto e veramente non aveva mai cercato la felicità. Ma come era più difficile di sottrarsi al dolore! Nella vita priva di qualsiasi contenuto serio, diveniva seria e importante anche Angiolina.
In quella prima sera l’amicizia del Balli fu utilissima ad Emilio. La compassione che il Brentani sentiva nell’amico lo tranquillava molto. Prima di tutto egli poteva essere sicuro che, per il momento, Stefano ed anche Angiolina non si sarebbero trovati; poi egli aveva una natura mansueta che abbisognava di carezze. Dalla sera prima aveva cercato invano dove puntellarsi. Era stata forse la mancanza di appoggio la causa per cui l’agitazione lo aveva tanto spesso padroneggiato dispoticamente. Avrebbe potuto resistere se gli fosse stata data l’opportunità di spiegare e ragionare, e se fosse stato obbligato ad ascoltare.
Ritornò a casa molto più tranquillo di quando ne era uscito. Era sorta in lui l’ostinazione di cui egli era disposto di vantarsi come di una forza. Non avrebbe avvicinata Angiolina che nel caso in cui ella ne lo avesse pregato. Egli poteva attendere, e quella relazione non poteva e non doveva essere ripresa da lui con un atto di sommissione.
Ma il sonno non voleva venire. Nei vani tentativi di conquistarlo, la sua agitazione crebbe come nella corsa della sera innanzi. La sua fantasia agitata architettò intero il sogno di un tradimento del Balli. Sì, il Balli lo tradiva. Stefano aveva poco prima confessato di aver sognato di far posare Angiolina per un bozzetto. Ora, sorpreso nel suo studio da Emilio, con essa, mentre la copiava, seminuda, si scusava, ricordando quella confessione. Ed Emilio, per punirlo, trovava delle frasi roventi d’odio e di disprezzo. Erano ben diverse da quelle ch’egli aveva dirette ad Angiolina perchè qui egli aveva tutti i diritti: la lunga amicizia prima di tutto, e poi la formale promessa. E come erano complesse quelle frasi! Erano finalmente dirette a persona che le poteva comprendere come chi le diceva.
Fu strappato a questi sogni dalla voce di Amalia ch’echeggiava tranquilla e sonora nella stanza vicina. Egli provò un sollievo ad esser stato tratto dal suo incubo e saltò dal letto. Si appostò ad origliare. Udì per lungo tempo delle parole in cui non scopriva altro nesso che una grande dolcezza; nient’altro! La sognatrice voleva di nuovo qualche cosa che altri voleva; ad Emilio parve di scoprire ch’ella volesse anche di più di quanto le si chiedesse: voleva che altri esigesse. Era proprio un sogno di sommissione. Forse il medesimo della notte prima? Quella disgraziata s’era costruita una seconda vita; la notte le concedeva quel po’ di felicità che il giorno le rifiutava.
Stefano! Ella aveva pronunziato il nome di battesimo del Balli. — Anche costei! — pensò Emilio con amarezza. Come non se ne era accorto prima? Amalia non si animava che quando veniva il Balli. Anzi ora s’accorgeva ch’ella aveva sempre per lo scultore quella stessa sommissione che ora gli tributava in sogno. Nel suo occhio grigio brillava una nuova luce quando lo posava sullo scultore. Non v’era alcun dubbio. Anche Amalia amava il Balli.
Fu una sventura ch’Emilio, ricoricatosi, non pigliasse sonno. Ricordava con amarezza come il Balli si vantasse degli amori ch’egli destava e come, con un sorriso di persona soddisfatta, dicesse che l’unico successo che gli mancasse nella vita era il successo artistico. Poi, nel lungo dormiveglia in cui piombò, fece dei sogni assurdi. Il Balli abusava della sommissione d’Amalia, e rifiutava ridendo qualsiasi riparazione. Il sognatore, ritornato in sè, non derise se stesso per quei sogni. Fra un uomo tanto corrotto come il Balli e una donna tanto ingenua come Amalia, tutto era possibile. Risolse d’imprendere la guarigione d’Amalia. Avrebbe incominciato coll’allontanare di casa lo scultore, il quale, da qualche tempo, benchè senza sua colpa, era divenuto apportatore di sventura. Se non ci fosse stato lui, la relazione con Angiolina sarebbe stata più dolce, non complicata da tanta amara gelosia. Anche la separazione sarebbe stata ora più facile.
La vita di Emilio in ufficio era dolorosissima. Gli costava un grande sforzo dedicare la propria attenzione al lavoro. Ogni pretesto gli era buono per lasciare il suo tavolo, e dedicare ancora qualche istante ad accarezzare, cullare il proprio dolore. La sua mente sembrava destinata a questo e quando poteva cessare dallo sforzo di attendere ad altre cose, essa ritornava da sè alle idee predilette, se ne riempiva come un vaso vuoto, ed egli provava proprio il sentimento di chi s’è potuto togliere dalle spalle un peso insopportabile. I muscoli si riànno, si stendono, ritornano alla loro posizione naturale. Quando finalmente batteva l’ora in cui egli poteva lasciare l’ufficio, si sentiva addirittura felice, sebbene per pochissimo tempo. Dapprima s’ingolfava con voluttà nei suoi rimpianti e desideri che divenivano sempre più evidenti e ragionati; ne godeva finchè non s’imbatteva in qualche pensiero di gelosia che lo faceva fremere dolorosamente.
Il Balli lo attendeva sulla via. — Ebbene, come va?
— Così così — rispose Emilio stringendosi nelle spalle. — Ho passata una mattina atrocemente noiosa.
Stefano lo vide pallido e abbattuto e credette di capire che sorta di noia avesse provato Emilio. Aveva preso il partito di essere molto dolce con l’amico. Gli si propose a compagno per il pranzo; nel pomeriggio sarebbero andati insieme a passeggio.
Con un’esitazione che al Balli sfuggì, Emilio accettò. Per un istante aveva pesata la possibilità di respingere la proposta del Balli, e di dirgli subito quello ch’egli oramai sentiva di dover dirgli. Sarebbe stata infatti una vigliaccheria non salvare la sorella per la paura di perdere l’amico; nell’azione ch’egli meditava non vedeva più che un esperimento di coraggio. Non lo fece, solo per il dubbio di poter ancora essersi ingannato sui sentimenti di Amalia. — Sì, sì, vieni! — ripetè al Balli e mentre Stefano attribuiva la ripetizione dell’invito a gratitudine, Emilio era conscio di averla fatta per il piacere che gli fosse data immediatamente l’occasione di dissipare ogni dubbio.
Durante il pranzo, infatti, potè acquistare tutta la certezza di cui abbisognava. Come gli somigliava Amalia! A lui parve di veder se stesso a cena con Angiolina. Il desiderio di piacere la metteva in un imbarazzo che le toglieva ogni naturalezza. La vide persino aprire la bocca per parlare e poi pentirsi e tacere. Come pendeva dalle labbra del Balli! Forse neppure udiva quello ch’egli diceva. Rideva e stava seria per un’involontaria soggezione.
Emilio cercò di distrarla; ma non fu ascoltato. Non lo udì neppure il Balli il quale, per quanto non si fosse accorto del sentimento ispirato alla fanciulla, ne subiva una specie di fascino che si tradiva nell’eccitamento cerebrale in cui cadeva sempre quando si sentiva assoluto padrone di qualcuno. Con una grande freddezza Emilio studiava e misurava l’amico. Il Balli aveva dimenticato perfettamente lo scopo per cui era venuto. Raccontava delle storie ch’Emilio già conosceva; si capiva che parlava per la sola Amalia. Erano storie di un genere che già aveva provato sulla disgraziata. Raccontava di quella triste e lieta bohème della quale Amalia amava tanto la gioia disordinata e la spensieratezza.
Quando Stefano ed Emilio uscirono insieme, nell’animo di quest’ultimo era cresciuto enorme l’amaro rancore per l’amico, che in seno gli dormiva da tanto tempo; una frase incauta del Balli, lo fece traboccare: — Vedi che abbiamo passata un’ora gradevolissima.
Emilio avrebbe voluto potergli dire delle insolenze. Un’ora gradevole? Per lui certo no. Egli avrebbe ricordata quell’ora col medesimo ribrezzo che provava per quelle passate col Balli e con Angiolina. Aveva provata infatti a quel pranzo la stessa nota, dolorosa gelosia. Rimproverava all’amico prima di tutto di non essersi accorto del suo mutismo, d’averlo ignorato tanto da credere ch’egli si fosse divertito. Ma poi: come non s’accorgeva che Amalia in sua presenza era colta addirittura da una morbosa confusione e da un’agitazione che, a volte, la facevano balbettare? Egli era però tanto in chiaro in quel momento sui propri sentimenti, che temette che anche il Balli non s’accorgesse che gli si parlava di Amalia per vendicarsi del contegno da lui avuto con Angiolina. BisognavaFonte/commento: Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/295 prima di tutto evitare di tradire un risentimento; egli doveva apparire un buon padre di famiglia ch’è mosso ad agire dal solo scopo di proteggere i suoi cari.
Incominciò col raccontare una bugia, e con l’aria di dire una cosa indifferente. Disse che, quella mattina, una vecchia parente lo aveva fermato per chiedergli se fosse vero che il Balli era promesso sposo di Amalia. Non era tutto, ma Emilio provò un sollievo per aver detto un tanto. Era avviato diritto diritto, a spiegare al Balli che non era nè la persona superiore nè l’ottimo fra gli amici ch’egli si credeva.
— Ah, davvero? — esclamò il Balli molto sorpreso e ridendo con tutt’ingenuità.
— Infatti — disse Emilio facendo una smorfia che voleva essere un sorriso — la gente è tanto maligna che fa persino da ridere. — Aveva detto così che l’ilarità del Balli era offensiva. — Capirai però che bisognerà avere un po’ di riguardo, perchè a noi non può garbare che si dica questo della povera Amalia. Quel plurale noi, rappresentava un tentativo di diminuire la propria responsabilità per le parole ch’egli diceva. Contemporaneamente però aveva alzato la voce con grande calore: non poteva permettere che il Balli prendesse tanto alla leggera quell’argomento che a lui bruciava le labbra.
Stefano non seppe più quale contegno tenere. Non doveva essergli accaduto molto spesso nella sua vita di venir accusato a torto. Si sentiva innocente come un neonato. Il rispetto ch’egli portava e aveva sempre dimostrato alla famiglia Brentani, e la bruttezza di Amalia, avrebbero dovuto salvarlo da ogni sospetto. Conosceva molto bene Emilio e non lo credeva capace d’indispettirsi per qualche parola dettagli da una vecchia parente; ma aveva sentito nella voce di Emilio una violenza e forse di più, dell’odio, un tono che lo aveva fatto trasalire. Corse subito col pensiero alla verità. Ricordò come da tanto tempo tutti i pensieri, anzi tutta la vita di Emilio si fosse concentrata intorno ad Angiolina. Che quella violenza e quell’odio nella voce di Emilio fossero da attribuirsi alla sua gelosia per Angiolina per quanto egli non parlasse che di Amalia? — Non credevo che alla nostra età, la mia cioè e quella della signorina, si potesse essere creduti capaci di commettere delle sciocchezze. — Parlava con imbarazzo. L’argomento scottava anche a lui.
— Che vuoi? È il mondo...
Ma il Balli, che a quel mondo non credeva, gridò irosamente: — Lascia stare; ho già capito di che si tratti. Parliamo d’altro.
Tacquero per un pezzo. Emilio esitava a parlare, proprio per paura di compromettersi. Che cosa aveva già capito il Balli? Il segreto suo, cioè il suo risentimento, oppure il segreto d’Amalia? Guardò l’amico e lo vide ancora più eccitato di quanto le sue parole avessero potuto far supporre. Era molto rosso, e i suoi occhi azzurri guardavano torbidi nel vuoto. Pareva che improvvisamente si fosse accaldato, perchè aveva provato il bisogno di denudare l’alta fronte spingendo il cappello verso la nuca. Evidentemente l’aveva con lui; le arti impiegate per celare il proprio rancore dietro supreme ragioni di famiglia non erano bastate.
Allora egli fu preso da una puerile paura di perdere l’amico. Separatosi da Angiolina e dal Balli, egli non avrebbe più potuto sorvegliarli, ed essi, certo, si sarebbero prima o poi ritrovati. Risoluto, si attaccò affettuosamente al braccio del Balli: — Senti, Stefano. Capirai che, se io ti ho parlato a questo modo, debbo esservi stato spinto da ragioni fortissime. Per me è un grande sacrificio di rinunciare a vederti più spesso in casa mia. — Si commosse al timore di non riuscire a commuovere l’amico.
Il Balli si mitigò subito: — Ti credo — gli disse — ma ti prego di non nominarmi mai più quella tua vecchia parente. Strano che avendo a parlarmi di cose tanto serie, tu abbia provato il bisogno di dirmi delle bugie. Parla adesso con franchezza. — Riacquistata la sua calma, ritrovò intero l’interesse amichevole che aveva portato sempre agli affari di Emilio. Che cosa succedeva di nuovo a quel disgraziato?
Come sentiva l’amicizia il Balli! Emilio ne arrossì. Era stato ingiusto a dubitare. Volle cancellare qualunque ombra avessero potuto gettare le sue parole nell’animo dell’amico, e per il segreto di Amalia non ci fu più salvezza. — Sono molto disgraziato — dichiarò compiangendosi per aumentare la compassione che aveva già percepita nelle parole del Balli. Non raccontò di avere scoperta la sorella mentre sognava ad alta voce di Stefano, ma parlò soltanto dei mutamenti che avvenivano in Amalia quando il Balli varcava la soglia della loro casa. Quando egli non c’era, ella appariva ammalata, stanca, distratta. Bisognava prendere una risoluzione che la guarisse.
Al Balli bastò di udire dalla bocca di Emilio una confessione simile per crederci assolutamente. Egli sospettò persino che Amalia si fosse confidata col fratello. Non l’aveva mai vista tanto brutta come in quell’istante. Spariva l’incanto ch’era messo sulla grigia faccia di Amalia dalla supposta sua mitezza. Ora la vedeva aggressiva, dimentica del suo aspetto e della sua età. Come doveva stonare l’amore su quella faccia! Era una seconda Angiolina che lo veniva a turbare nelle sue abitudini, ma un’Angiolina che gli faceva ribrezzo. L’affettuosa compassione che egli provava per Emilio aumentò come quest’ultimo aveva voluto. Disgraziato! Aveva anche da sorvegliare una sorella isterica.
Fu lui a chiedere scusa del movimento d’ira che aveva avuto. Fu sincero come sempre: — Se non ci fosse stata una novità tale, quale io non potevo supporre, questa sarebbe stata l’ultima volta che ci saremmo visti. Figurati: credevo che nella tua pazzia per Angiolina, tu non mi sapessi perdonare la simpatia ch’io le avevo ispirata, e cercassi un pretesto per aver lite con me.
Emilio fu colto da un profondo malessere. Il Balli gli aveva spiegati gl’intimi moventi della sua mala azione. Protestò energicamente, tanto che il Balli dovette chiedergli scusa di quel sospetto, ma verso se stesso quell’energia mancò d’efficacia. Per un istante fu tutto col pensiero ad Amalia: — Strano! Angiolina aveva parte nel destino della sorella. — Si quietò dicendosi che col tempo avrebbe saputo riparare, facendo prima di tutto capire al Balli quale essere stimabile fosse Amalia, e dedicando poi a quest’ultima tutto il proprio affetto.
Ma come darle una prova di tale affetto nello stato in cui egli si trovava? Anche quella sera stette parecchio tempo fermo dinanzi al tavolo su cui aveva sperato di trovare una lettera di Angiolina. Guardava quel tavolo come se avesse voluto farne scaturire una carta. Il desiderio di Angiolina era aumentato in lui. Perchè veramente? Ancora più che il giorno prima sentiva quanto fosse vano e triste il gioco di tenersi lontano da lei. Oh, gioconda Angiolina! Ella non dava a nessuno dei rimorsi.
Poi, quando nella stanza vicina percepì chiara e sonora la voce di quell’altra sognatrice, il suo rimorso fu cocentissimo. Che male ci sarebbe stato a lasciar continuare quei sogni innocenti nei quali si concentrava tutta la vita d’Amalia? Vero è che quel rimorso finì col mutarsi in una grande compassione di se stesso che lo fece piangere e trovare un grande sollievo in quello sfogo. Quella notte dunque il rimorso gli fece trovare il sonno.