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SERMONE VENTESIMOSETTIMO.
LA VITA UMANA.
Della notte le tenebre fugando
S’innalza il Sole a rischiarar la terra
Colla vivida face, e de’ lontani
Monti all’ombra cadendo si dilegua.
5Cade e risorge con alterna vece.
Ma la prim’alba e sola a noi riluce
Appena, e tocca già l’ultima sera
Temuta troppo o desiata, quando
Del baldo immaginare il volo tronchi,
10Od a lungo soffrire unico e tardo
Rimedio apporti. Desolato e stanco
Erra l’incerto pellegrin, che in questa
Selva incantata a sè vede d’intorno
Immagini danzar leggiadre e liete,
15E più s’accosta e s’affatica, al vento
Qual nebbia leggerissima disperse,
Lasciar vuoti gli amplessi e vuoto il core.
D’ingannevoli fole altri beato
In vista, fugge pauroso e bieco
20Di sè l’amara compagnia, cercando
Nel tumulto, nel fremito, nel cupo
Romoreggiar delle contese umane
Di sè medesmo l’infelice obblio.
Tra le cure affannose ad una ad una
25Ogni più cara illusïon vien meno,
E la sola memoria acerba dura;
Acerba più quanto più ratto il sogno
Della vita s’invola, e seco porta
Le mentite speranze e più non torna.
30Ma quei, che a noverare i giorni apprese
Sol dall’angosce, palpitando il giorno
Chiama, che dell’angosce ultimo sia;
Ed aspettando misero si duole,
Che lentamente a’ suoi voti risponda.
35Chi più saggio e felice? Incauti tutti,
E tutti infelicissimi, che al vero
Segno chiudendo della mente il guardo,
Dietro corriamo indocili farfalle
All’infido baglior che alletta e uccide;
40E dell’inganno nostro iniqua voce
Dando all’inconsapevole fortuna,
Più che a noi stessi, nella sorda guerra
Più scorati cadiamo, e più superbi.
Al dolor nati, del dolor la legge
45Noi tutti preme; ed il purpureo manto
E la lacera veste al volgo ignaro
Le recondite pene indarno asconde
O mal rivela. Della colpa figli,
Nostra comune ereditade è il pianto.
50Stolto chi venerar sdegna l’arcano
Avverso no, ma provvido consiglio
Di Lui, che fatti d’ogni labe puri
E l’un dell’altro pïetosi, in santi
Di fraterna amistà nodi congiunti
55Ne vuole, e degni di sua grazia rende.
Ma, più che stolto, sventurato! Un raggio
Sotto a torbido cielo a lui non splende
Di speranza e di amore; e senza un raggio
Di speranza e di amor, peggio che morte,
60È nostra vita dolorosa e oscura.
O strane menti de’ mortali! Al vostro
Ardito speculare angusto è il mondo;
Che la terra ed il mar, l’etere e cento
Elementi invisibili domate;
65Ma di voi stessi qual cura vi prende?
Già la tremenda folgore s’inchina
Quasi lambendo umilïata il piede
All’uom che la scongiura, e fra le nubi
Slanciandosi rapisce una favilla
70Che mille faci tremolanti avviva,
Ed emula del Sol rende la notte.
Per l’immenso oceán ricca di vele
Scorre l’altera nave; ed alla foga
Del fremente vapor fugge la via,
75Che per terra e per mare invan divise
Remote spiagge e popoli diversi.
Voi di natura gl’intimi secreti
Indagando svelate, e di voi stessi
Avete scarsa conoscenza, al gioco
80Abbandonati della rea ventura;
Nè sopportar, nè vincere sapendo
La dura signoria che vi flagella.
Ma tutti a un tempo il natural desio
D’un ignoto piacere agita e incalza:
85Ignoto, allora che l’infermo senso
Il ben dell’intelletto a noi contenda
E la pace del core e le serene
Gioie d’un’alma a cotemplare avvezza
Quanta parte di cielo a noi sorrida,
90Se di valore e di costanza armati
Impavidi sappiam colla nemica
Sorte lottare, ed iscotendo i ceppi,
Onde lo schiavo impallidisce o freme,
Alto poggiar con liberissim’ala,
95Che i nembi sprezza e l’ardua meta arriva.
Deh, se fede e pietà ne’ petti alberghi,
L’ira deposta e la viltade, in questa
Idea consolatrice alfin riposi
L’agitato pensier. Dolce è la vita
100Nelle miserie pur, quando s’infiori
Di gentilezza e d’onestade, intorno
Spargendo i salutiferi profumi,
Onde la innamorata alma si bea.
E se morte terribile minaccia
105De’ codardi e de’ tristi il gregge immondo,
Come placido sonno al giusto vela
Soavemente gli occhi, al ciel rivolti
Anche una volta a salutare il Sole.
Piange la gente vedova e smarrita,
110Ma di sè piange; e ch’io favelli il vero.
Questa tomba ne dice e questo pianto.
FINE.