< Sessanta novelle popolari montalesi
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XLIX LI



NOVELLA L


Il Mercante di sale (Raccontata dalla ragazza Giuditta Diddi contadina)


C'era una volta un signore di nascita, un bel giovanotto, ma no tanto ricco, e lui andeva a veglia da una Marchese per isposarla, s'intende; e questa Marchese, abbeneché aggraziatina, 'gli era però un po' civetta e dimolto ambiziosa; insomma una ragazza con de' cattivi pensieri, e quando si viense a concludere il matrimonio, lei disse al su' damo che nun lo voleva più, perché al su' paragone nun ci poteva stare; a su' petto nun aveva lui abbastanza quattrini. Quel poero giovanotto rimanette male a essere licenziato a quel mo' com'un cane, e se n'andiede a casa mezzo 'nvecille per lo spregio partito; sicché su' pa', in nel vederlo con quella faccia scura, gli domandò se gli fusse successo qualche disgrazia. Dice il giovanotto: - Pur troppo! La Marchese doppo tante imprumesse e spergiuri m'ha rimando, perch'i' nun so' ricco al su' paragone. Dunque, babbo, i' nun ci vo' più stare 'n questi paesi; i' vo' ire a fare il Mercante di sale. Dapprima il padre si provò a consolarlo il giovanotto, a mettergli 'nnanzi i risti che lui risicava d'incontrare; ma quando lo vedde risoluto nella su' idea, gli comperò un grosso bastimento, gliel'empiette tutto di sale, e con la su' santa benedizione gli permettiede che partissi. Doppo avere navicato dimolti mesi il giovanotto arriva a un paese e lì scende, e va a desinare a un'osteria, in dove c'erano un branco di signori a tavola per su' divertimento; ma a male brighe che il giovanotto principiò a mangiare, s'accorgé che la [416] minestra e le pietanze nun sapevan di nulla; e' ci mancava dientro il sale. Dice: - Oste, tutta questa robba 'gli è sciocca al mi' palato e nun è bona. I' ho con meco portato una polvere, che a mettercela con mitidio la fa subbito saporita. Volete ch'i' la provi? - Oh! - gli arrispose l'oste, - faccia lei! E 'nfrattanto tutti que' signori gli stevano attenti per cognoscere quel che arebbe operato il giovanotto forestiero. Lui dunque salò ugni cosa, e quando l'ebbano assaggia e' rimasano, perché in quel paese del sale nun se ne servivano per l'avanti, e nun rifinivano dal domandare: - Che la vende questa polvere? Che ce n'ha dimolta lei? La compero io, la compero io. Dice il giovanotto: - I' n'ho un bastimento pieno zeppo, e i' la do al più meglio compratore. Que' signori assieme gli offrirno tanti napoleoni d'oro in baratto; ma l'oste disse: - E i' gli offerisco 'n scambio tanti diamanti. Al giovanotto gli parse più di vantaggio pigliarsi i diamanti, e accosì presto si trovò d'accordo con quell'oste, gli diede il sale del bastimento e poi arritornò a casa ricco sfondolato, e la prima domanda che lui fece a su' padre fu di sentire, che n'era della su' ragazza. Dice il padre: - La tu' ragazza 'gli è sposa 'mprumessa d'un Re. - Oh! birbona! - scrama il giovanotto, che nun aveva possuto smenticarla, e volse rivederla 'n tutti i modi, ma con che lei nun lo ricognoscessi. Il giorno doppo il giovanotto si travestì da carbonaio e si mettiede 'n dito un anello co' un diamante che traluceva da lontano e del gosto di cinquemila scudi, e col su' sacco del carbone 'n sulle spalle andette in nella strada in dove steva la Marchese a bociare: - Carbone, carbone bono da vendere, donne, ohé! Deccoti s'affaccia alla finestra la camberiera della Marchese e subbito gli sbatte negli occhi il luccichio del diamante, sicché corre dalla padrona e gli dice: - Signora, signora, c'è un Carbonaio co' un diamante 'n dito, propio una maraviglia. Dice la Marchese: - Chiamalo su e senti se lui me lo vole vendere. Quando il Carbonaio nentrò in salotto, dice la camberiera: - Galantomo, la mi' padrona gradirebbe codesto diamante che portate 'n dito; lei ve lo paga quel che gosta. E il Carbonaio: - Che! la mi' robba nun la vendo; la regalo. Dice la Marchese: - Ma io de' regali simili nun gli vog lio [417] dalla gente che nun cognosco e nun sono di par mio. - Allora, - arrisponde il Carbonaio, - i' lo darò in scambio di qualche altra cosa. - E sarebbe? - Che lei mi lassi baciare il su' piedi 'gnudo. Scrama la Marchese. - No davvero. Sicché il Carbonaio disse: - Gua'! e io l'anello i' lo tiengo per me, - e s'arrivolse addietro per andarsene; ma si vedeva bene che alla Marchese quel diamante gli faceva gola. Dice la camberiera: - Padrona, che male c'è in un bacio su un piedi? Tiri via, che tanto e' nun si sa che io e lei. - Te sie' una tentatora, e te mi dai un consiglio cattivo, - disse la Marchese, - abbeneché i' n'ho un gran desìo del diamante. - Dunque, - dice la camberiera, - per la miscea d'un bacio su un piedi nun la lassi scappare questa maraviglia. Insomma finì che la Marchese si cavò una calza e il Carbonaio gli diede un bacio sul piedi 'gnudo, e lei prendette l'anello e se lo 'nfilziò nel su' dito. Il secondo giorno il Carbonaio finto, con il su' solito sacco di carbone e un diamante di diecimila scudi, arritorna a bociare sotto al palazzo della Marchese, e alla su' voce deccoti s'affaccia la camberiera. A male brighe che lei vedde quel barbaglio 'n sulla mano del Carbonaio, corre diviata dalla padrona: - Signora, signora, e' passa il Carbonaio d'ieri e 'gli ha un diamante più bello al doppio 'n dito. Dice la Marchese: - Chiamalo su e domandagli se lui vole barattarlo con questo che qui, e gli darò anco il resto del gosto in quattrini. Il Carbonaio salisce e la camberiera gli fa la richiesta della su' padrona. Arrisponde lui: - Che! la mi' robba nun la vendo; la regalo. Ma se lei nun l'accetta il mi' anello accosì, i' glielo do 'n scambio d'un bacio su un ginocchio 'gnudo. Scrama la Marchese: - A questo patto i' nun vo' nulla. - E allora l'anello i' lo tiengo per me, e 'nsenza un bacio su un ginocchio 'gnudo lei nun lo pole più avere, - disse il Carbonaio, e prendette l'uscio per andarsene. La Marchese se ne struggeva di possederlo il diamante, e la camberiera che se n'accorgé, dice: - Tiri via, padrona, che male c'è egli a forsi baciare un ginocchio 'gnudo? Io per una simile rarità me gli lassere' baciare tuttadua. - Ma se lo viengono a risapere? - dice la Marchese. E la camberiera: - Che! è 'mpossibile. Nun si saperà che [418] io e lei. Insomma, la Marchese prendette il diamante doppo che il Carbonaio gli ebbe baciato un ginocchio 'gnudo. Deccoci al terzo giorno, che il Carbonaio daccapo viense a bociare in nella medesima strada col su' sacco in sulle spalle e co' un diamante 'n dito del valsente di ventimila scudi; luccicava, luccicava quella pietra preziosa da cavar gli occhi soltanto a guardarla. All'urlìo s'affaccia la camberiera e visto l'anello corre a tutte gambe dalla padrona: - Signora, signora, che cosa stupenda! Il Carbonaio ha oggi un anello, che nel mondo de' simili nun se ne pole trovare. Dice la Marchese per l'ambizione di possederlo: - Chiamalo su, e domandagli se me lo vende. I' gli do 'n baratto quest'altri du' diamanti e il di più in muneta. Ma il Carbonaio 'gli arrispose: - Che! i' nun vendo la mi' robba; la regalo a chi mi fa una grazia. Dice a Marchese: - Che grazia v'abbisogna, galantomo? E il Carbonaio: - Se lei brama il mi' diamante, mi lassi dormire con seco una notte. Scrama la Marchese: - Ma che siete ammattito? Queste nun ènno grazie nemmanco da pensarle. E il Carbonaio: - E allora l'anello i' lo tiengo per me. Stia bene e alla rivista. E s'avvia giù per le scale. Dice la camberiera: - Padrona, che vole propio perderla una fortuna accosì? E' nun capita mica tutt'i giorni. - Ma che ti pare ch'i' voglia dormire con un omo, - disse la Marchese, - quando appunto domani i' vo' sposa? Dice la camberiera: - Che 'mport'egli? Basta che nimo lo sappia e nun se n'accorga. 'Gli è un fatto che rimane tra me e lei. E la Marchese, che a nun avere il diamante ci pativa: - Ma la sera e' viene ugni sempre il Re e nun se ne va che dimolto tardi. Anco per questo, quel che protende il Carbonaio nun si pole assoluto. Dice la camberiera: - E lei ficuri che gli dole 'l capo e lo licenzi il su' sposo prima del solito, e si fa 'n modo che il Carbonaio s'accontenti di du' ore sole per dormire con seco. Ma si sbrighi a accordargliela questa grazia al Carbonaio: lui è già 'n fondo alle scale, e una volta sparito, chi lo ritrova? - Te sie' una gran tentatora, - scrama la Marchese, - e abbeneché m'accorga ch'i' opero male, per possedere il diamante i' non ho la forza di scontradirti. Sentuto questo ragionamento, la camberiera fu lesta a [ 419] richiamare su il Carbonaio e lo niscose dientro un armadio in nell'arcova della padrona, e siccome già principiava a farsi buio, un po' doppo apparse il Re a discorrire con la su' sposa e gli portò in regalo una bella camicia di tela da notte, trapuntita da vetta 'n fondo d'oro e con l'insegne reali ricamate 'n sulla pettorina: la Marchese la prendette e poi la porgé alla camberiera, perché gliela mettessi sotto 'l capezzale del letto; e quando fu una cert'ora, la Marchese principiò a dire, che nun si sentiva troppo bene, che gli doleva 'l capo e che aveva bisogno di dormire. Il Re allora s'arrizzò con dimolto dispiacere, e detto addio se n'andiede, con la 'mprumessa di vienirsene la mattina doppo a pigliar la sposa 'n carrozza e menarla a Corte per la cirimonia delle nozze. Sicché dunque la Marchese traditora rimasa sola si spogliò diviata e, rientrata a letto, il Carbonaio sortì dall'armadio e 'nsenza tanti discorsi gli si sdraiò accanto a tienergli allegra compagnia 'nsino a che lei stucca nun s'addormì com'un ghiro. Ma quando il Carbonaio s'accorgette che la ragazza era per bene appioppata, prima gl'infilziò l'anello 'n dito, poi pian pianino gli prendé la camicia ricamata di sotto 'l capezzale, e rimessosi i su' panni addosso, fuggì via alla rifruga e riviense a casa a cavarsi quel travestimento da carbonaio. Alla Marchese poi in nello scionnarsi nun gli parse vero di nun trovare più con seco il Carbonaio, e tutt'allegra dell'anello avuto, si vestiede per lo sposalizio e nun s'avvedde punto del mancamento della camicia. Si sa che alle nozze de' Principi è costume che siano 'nvitati i più gran signori del Regno per più d'onore agli sposi: sicché il Re volse al su' pranzo le meglio persone e ci chiamò anco il Mercante di sale, perché da povero che lui era prima 'gli era diventato uno de' più ricchi della città. Si metterno a tavola e tutti s'appalesavano allegri e chiacchieroni; soltanto il Mercante di sale steva mogio mogio e nun apriva ma' bocca; sicché in nel vederlo a quel mo' con quella mutria di malcontento, e' si divertivano a sbeffarlo e i su' amichi ugni po' po' gli domandavano: - Ma te che hai? Che ti pass'egli per il capo? Dice lui: - I' penso che una volta i' andiedi a caccia co' uno stioppo di cinquemila scudi, tirai e i' la colsi in un piedi e nun l'ebbi. - Chi, chi? - tutti a urlare. - Te nun connetti. E [420] lui: - I' penso che un'altra volta i' andiedi a caccia co' uno stioppo di diecimila scudi, tirai e i' la colsi in un ginocchio e nun l'ebbi. - Ma chi? Che bestia? - bociavano da ugni parte smascellandosi dalle risa. - Te ha' troppo alzato 'l gombito. La Marchese però a questo discorso principiò a sturbarsi e nun poteva siedere tranquilla al su posto; e quegli altri badavano a bociare: - Ma parla chiaro. Che 'ntendi te con questi 'ndovinelli? Dice il Mercante di sale: - I' penso che un'altra volta i' andiedi a caccia co' uno stioppo di ventimila scudi, tirai, e i' la colsi 'n mezzo al corpo e questa 'gli è la su' camicia. E in nel listesso tempo lui cavò fora la camicia ricamata che lui aveva rubbato la sera 'nnanzi d'in sul capezzali della Marchese. Il Re a simile vista scramò: - Dunque te nun sie' fedele? Te m'ha' tradito per lo 'nteresso. Nascette una gran discussione e la Marchese dovette fuggire via dalla vergogna, che tutti gli buttavano 'n faccia delle brutte parole e 'l Re nun la volse più altrimenti per su' sposa; e lei si niscondé 'n casa sua e nimo ne seppe più nulla. E accosì gli toccò questo giusto gastigo per i su' mali portamenti nel mondo.

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