< Sessanta novelle popolari montalesi
Questo testo è incompleto.
X. La Novella delle Scimmie
IX XI



NOVELLA X


  • La Novella delle Scimmie

(Raccontata da Ferdinando Giovannini sarto)


Una volta ci fu un Re, che aveva du' figlioli nati a un parto; come sarebb'a dire, loro erano gemelli; e uno si chiamava Giovanni e quell'altro Antonio. Siccome nun si sapeva bene quale fusse nato per il primo, ché in su di questo punto in Corte contrastavan dimolto, il Re steva col dubbio, chi mai dei dua gli avess'a succedergli in nel regno; e però quando i ragazzi furno grandi e giovanotti di mitidio, il Re gli disse: - Per nun essere 'ngiusto con nissuno di voialtri, decco il mi' pensieri. Che vo' andate a cercar di moglie a vostro piacimento, e quella sposa che mi farà il regalo più bello e più raro, quella deciderà chi fra voi dua m'ha da succedere al trono. Giovanni e Antonio al comando del babbo montorno a cavallo, e ognuno s'avviò per una strada diversa. Giovanni, doppo camminato per de' giorni, arriva a una gran città e si ferma a un albergo, addove dirimpetto c'era un magnifico palazzo signorile. Domanda del padrone e chi ci steva dientro, e gli arrisposano: - Il padrone che ci abita è un Marchese ricco, che ha un giovanotto e una bella ragazza per su' figlioli. Dice Giovanni: - Che si potrebbe vedere di parlargli a questa ragazza. - E perché no? - dissano i domandati. - Lei tutti i giorni nusce al passeggio, e la sera va per le società della genie di su' pari. Giovanni vedde dunque la ragazza fora e gli garbò dimolto; e quando l'ebbe avvicinata pe' ritrovi, addove lei andava, gli potiede anco discorrere; e finalmente lui gli disse che cercava [82] moglie e che sarebbe stato erede del regno di su' padre, se la sposa portava al Re il regalo più bello e più raro a confronto di quello del fratello Antonio. Dice: - Se vo' siete capace di fargli questo regalo, i' vi sposo subbito. La ragazza gli arrispose di sì, e il giorno doppo Giovanni andette a casa sua, e la ragazza gli consegnò una scatolina serrata con queste parole: - Decco il regalo; portatelo al Re babbo vostro, e quando gli garbi, i' sono pronta a diventare la vostra sposa. Sicché Giovanni fece ritorno al palazzo e diede al Re la scatolina. Dice il Re in nel pigliarla: - Sta bene. Te infrattanto po' far lo sposalizio e menar qui la tu' moglie. Ma la scatolina è serrata e i' nun l'apro insino a che nun ho in nelle mane anco il regalo d'Antonio per metterlo al paragone. Per nun l'allungar tanto, insomma, Giovanni sposò quella ragazza del Marchese, e al Re in nel vederla gli garbeggiò assai. Anco Antonio in que' medesimi tempi camminava per il su' viaggio, ma ci mettiede più giorni di Giovanni. Un giorno deccoti si ritrova in un bosco folto, che nun c'era né strade né viottoli, e pareva nun avessi ma' fine. Gira di qua, gira di là, viense Antonio a una larga praterìa dibandonata, insenza anima viva e tutt'all'intorno ci stevan ritte statue e figure di cavalli di marmo, e laone 'n fondo ci si vedeva un bellissimo palazzo. Doppo un gran pezzo Antonio arrivò a questo palazzo; picchia e gli apre una scimmia. Subbito saltan fora altre du' scimmie, l'aitano a smontar da cavallo, glielo pigliano e poi lui lo menano su: e dappertutto nun c'erano che scimmie a far de' complimenti alla mutola, e gli devano a capire che comandass'a su' talento. Antonio, ci si pole figurare, pencolava tra 'l sospetto e la maraviglia, e quando nentrò in un salotto, lì ci vedde un'altra scimmia, che pareva la caporiona del branco. A Antonio gli accennorno di mettersi a siedere, e la caporiona lo 'nvitò a giocare una partita alle carte; e accosì lui avendo accettato, giocò assieme con tre scimmie e la caporiona gli era dirimpetto. A una cert'ora, in verso la sera, soltanto co' gesti, gli domandorno se voleva cenare, e siccome Antonio della fame se la sentiva, disse addirittura di sì. Vanno dunque a cena, e a tavola servivano soltanto delle scimme, i convitati gli erano scimmie, insomma tutte scimmie in ugni logo del palazzo; sicché anco a letto in [83] cammera, dimolto ricca e comoda, ce lo menorno quegli animali, e lassatolo dientro, chiusano la bussola. A dire il vero, abbeneché Antonio nun fusse punto pauroso, nunistante 'gli era imbrogliato a bono di trovarsi in quel palazzo con tutte quelle bestie, e nun sapeva come sarebb'ita finire; in ugni mo', siccome si sentiva allaccato morto dal tanto camminare, si fece un animo, si spogliò e si mettiede a letto, e poi sarà quel che sarà; e in un mumento 'gli era di già addormito. Ma in sul più bello del su' sonno deccoti sente una voce che lo chiama: lui si sveglia, spalanca gli occhi e nun vede nissuno, perché il lume l'aveva spento. Allora bocia: - Chi è che mi chiama? Dice la voce: - Antonio, che sie' vienuto a far qui? E lui per filo e per segno racconta a quella voce tutt'i su' casi e la ragione, perché si trovava fora di casa. Dice la voce: - Se tu acconsenti di sposar me, Antonio, il regalo più bello e più raro e' ci sarà per il Re, e tu avra' anco 'l regno. Arrispose Antonio: - Io per me nun ci fo difficoltà. I' vi sposo quando vo' volete. - Bene! - dice la voce. - Domani a giorno tu troverai sul cassettone delle lettere; pigliale e 'n sulla porta del palazzo dàlle a chi sta a aspettarle. Antonio si leva la mattina e delle lettere sul cassettone ce n'era un catafascio. Lui le piglia e va giù, e alla porta deccoti Dio sa quante ma' scimmie; le consegna a loro le lettere e loro le portano al babbo d'Antonio, perché la soprascritta diceva a quel mo', e dientro si faceva assapere al Re addove fusse 'l su' figliolo, che di salute nun aveva mancamento, e che lui cercava moglie. Quelle scimmie restorno alloggiate in nella città reale. La notte doppo, in quel mentre che Antonio dormiva, la solita voce lo sveglia: - Antonio, sie' tu sempre del medesimo sentimento? E lui: - Ma sicuro ch'i' sono. - Bene! - dice la voce. - Domani tu manderai al babbo anco quest'altre lettere. E la mattina Antonio pigliò quel mucchio di lettere e le diede alle scimmie, che le portorno diviato al Re, con le bone nove del su' figliolo; e anco queste scimmie rimasano a alloggio in nella città reale. Il Re però a quello spettacolo badava a dire: - Oh! che farò io di tutte queste bestie? Orora e' m'han pienato la città. [84] Poi nun sapeva che almanaccarsi, perché dientro alle lettere c'era scritto che Antonio la sposa l'aveva trovata con il regalo più bello e più raro di tatto 'l mondo. Anco la terza notte Antonio fu svegliato dalla solita voce: - Antonio, sie' tu sempre del medesimo sentimento? E lui daccapo: - Ma sì ch'i' lo sono. Quando i' ho dato una parola, i' la mantiengo e nun muto mai. Dice la voce: - Bene! Domani si partirà assieme per andare dal Re e là ci sposeremo. Quando fu giorno Antonio si levò, e figuratevi se lui 'gli era curioso di cognoscere la sposa. Scende e fora della porta del palazzo vede che c'è una magnifica carrozza attaccata a quattro scimmioni, e una scimmia guidava a cassetta. Gli aprono lo sportello e dientro la carrozza ci steva sieduta una scimmia. Antonio si mette a siedere anco lui accanto a quella, e tutti partono con un gran séguito di scimmie, e doppo camminato un pezzo il corteo arriva finalmente alla città dal Re, babbo di Antonio. La gente correva istupita a vedere quello spettacolo propio novo, e al Re gli parse d'essere rincitrullito, e a Corte dicevan chiaro: - Di certo, l'erede del regno sarà Giovanni. Smontati poi che furno, la scimmia fece capire che lei voleva star sola in una cammera, e doppo che Antonio ce l'ebbe menata, lei pure gli diede uno scatolino da portarsi al Re; e il Re, sentuto che il su' figliolo s'era trascelta quella sposa, bisognò bene che s'accordass'a concedergliela per moglie; infrattanto anco questo scatolino lo mettiede con quell'altro della moglie di Giovanni per aprirle tutt'e dua assieme. Vienuta la mattina, ugni cosa era ammannita in nella cappella reale per lo sposalizio: Antonio dunque mandò a pigliare la sposa in nella su' cammera; ma lei nun volse aprire agli ambasciatori e fece capire che doveva in persona presentarsi Antonio. Sicché Antonio salisce su e picchia all'uscio con le nocca delle dita, e subbito le imposte si spalancano. Nentra, e che ti vede! La scimmia s'era trasmutata in una bellissima ragazza, vestita da sposa e alla reale, che faceva maraviglia soltanto a guardarla. Dice lei: - Decco la vostra sposa. Agnamo. Antonio, mezzo fora di sé dal contento, menò giù la sposa dientro la cappella, e tutti rimasano in nel vedere quel tocco di bella [ 85] ragazza; e messi gli sposi in sull'inginocchiatoio il prete gli benedisse, e Antonio diventò marito della ragazza. Finita poi che fu la cirimonia, disse il Re: - Ora 'gli è tempo di vedere i regali e decidere chi dev'essere l'erede del mi' regno. Piglia la scatolina della moglie di Giovanni, l'apre e nusce un bell'uccellino. Scrama il Re: - Bello! propio bello! che un uccellino a quel mo' sia possuto star vivo rinchiuso lì per tanto tempo. Doppo piglia la scatolina della moglie di Antonio, l'apre e ci trova del panno di lino; comincia a tirare su, e ne tira insino a cento braccia di tela. Scrama più forte il Re: - Ma questo è anco più maraviglioso e raro, che 'n questa scatolina accosì pigiata ci potessi star dientro una tela di lino di cento braccia! La decisione è già fatta: erede del trono non pol esser che Antonio. In nel sentire queste parole Giovanni s'era tutto sconturbato; ma la moglie d'Antonio disse allora: - Antonio del regno di su' padre nun n'ha bisogno punto, perché lui ce n'ha uno da sé; e però l'erede è Giovanni. Siccome Antonio è stato sempre del medesimo sentimento di sposarmi, abbeneché i' fussi sotto la figura d'una scimmia, lui ha rotto l'incantesimo che m'aveva legato assieme con tutt'i mi' sudditi. Dunque ora Antonio diventa Re del regno ch'i' gli porto, per su' merito, in dota. A male brighe dette queste parole lei si cavò di sotto al vestito una bacchetta e ne fece quattro pezzi, e gli diede a Antonio, perché gli buttass'a' quattro venti d'in sul tetto del palazzo. Antonio stiede agli ordini della su' sposa, e in un mumento tutte le scimmie che si trovavano 'n città e che eran reste a casa, ritornorno chi omini, chi donne, signori, signore, artigiani, contadini, cavalli e bestie d'ugni sorta; e doppo pochi giorni, finite le feste dello sposalizio, Antonio con la su' moglie se ne partirno e andiedano a pigliar possesso del su' regno: addove camporno allegri o contenti, e ebban de' figlioli, e insomma,

Se la godiedano e se ne stiedano, E a me nulla mi diedano.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.