< Sessanta novelle popolari montalesi
Questo testo è incompleto.
XI XIII



NOVELLA XII


  • Bell'-e-fatta

(Raccontata da Ferdinando Giovannini sarto)


C'erano nel mondo du' campagnoli braccianti, e uno di loro s'ammogliò, e doppo sposato passò del tempo che nun poteva mai avere figlioli e gli pareva d'essere disperato. Stevan dunque dispiacenti lui e la moglie, e ugni sera s'arraccomandavano con l'orazioni, ché Dio gli dessi almanco un figliolo; e la preghiera viense finalmente disaudita, perché la donna s'accorse che era gravida; e vienuta a' nove mesi, lei partorì una bellissima bambina; ma nun sapevano i su' genitori che nome mettergli. Dice il padre: - Che si sta noi a almanaccare? Il nome gli vien di suo. È tanto bella e ben fatta, che il su' proprio nome nun pol essere altro che questo: Bell'-e-fatta. E accosì si trovorno d'accordo e al battesimo gli diedano il nome di Bell'-e-fatta. Bell'-e-fatta cresceva a vista d'occhio, e quando fu grandina il babbo la faceva secondo le su' facoltà ammaestrare, e gli viense imparato anco a tessere il nastro in sul telaio: infrattanto lei arrivò all'età di vent'anni e propio 'gli era una bellezza maravigliosa, e sopra una mana ci aveva un neo. A questa su' età a Bell'-e-fatta gli s'ammalò il babbo, sicché lui in un mumento sentette che doveva morire addirittura; chiama dunque al capezzale del letto la figliola e gli dice: - Bada, cara la mi' figliola, i' me ne vo all'altro mondo, e delle ricchezze nun te ne lasso, perché i' nun n'ho. Ti lasso soltanto un ricordo; ma vale più di tutte quante le ricchezze; e se tu nun lo trascuri, [90] la disgrazia nun ti verrà mai addosso. E il ricordo è questo: Che tu serbi sempre a ugni patto il tu' onore e la tu' reputazione di ragazza di garbo. Quando tu ti vegga in pericolo, piuttosto scappa in mezzo a una foresta o rinserrati in un convento. Doppo poch'ore che 'gli ebbe parlato accosì, il babbo di Bell'-e-fatta se n'andiede al Creatore. Passorno più mesi e deccoti a un tratto s'ammala pur anco la mamma di Bell'-e-fatta e viene in fin di vita. Chiama subbito al capezzale la figliola e gli dice: - Senti, i' nun ho da lassarti altra eredità che quella di tu' padre bon'anima. Il ricordo che ti diede lui, i' te lo dò e te lo rammento io pure. Dunque, si' savia e avvisata, ché male nun te ne vierrà. Poi more la donna e Bell'-e-fatta rimane solingola e abbandonata in casa, insenza babbo né mamma. Bell'-e-fatta a quel mo' sola s'accanava a lavorar di nastri al telaio per guadagnarsi il pane; ma nun poteva sortir fora, che nun gli andessan rieto i giovanotti, e con una scusa o con un'altra gli vienivano pure in casa a fargli visita. Sicché dunque Bell'-e-fatta era tutta sgomenta per serbare la su' reputazione e il su' onore, e delibberò di vendere quella po' di robba che aveva e poi scapparsene zitta zitta, e andarsi a serrare in un convento. E fece accosì: e una mattina di levata, quand'ebbe ammannito il fagotto de' panni, se n'andette fora del paese a cercare un ritiro. Camminò un bel pezzo a caso, e alla sera si ritrovò framezzo a un bosco, che non c'era via né sentieri, e finì con ismarrirsi; sicché con quella notte buia, tutta spersa, Bell'-e-fatta si buttò a diacere dientro a un cespuglio per aspettare il sole, e stracca com'era ci s'addormì addirittura. A giorno deccoti per il bosco una canizza, che lo faceva rintronare da ugni parte. A quel rumore Bell'-e-fatta si desta, e in nel sentire que' cani che s'accostavano, lesta si niscondette nel più folto della macchia, temidosa che vedendola lì sola qualcuno nun gli avess'a dar noia e cavargli l'onore. Bisogna dunque sapere, che in quel giorno appunto il Re con una comitiva di persone andeva a caccia per la boscaglia: lui 'gli ascoltava la canizza seguitare e poi s'accorgette che i cani abbaiavano a fermo, e però corse a vedere che bestia gli avessan mai scovato, e guarda di qui, sconvoltola di là, finalmente [ 97] scoperse Bell'-e-fatta niscosta a quel mo'. Rimase 'ncantato. Dice il Re: - Oh! che ci fate voi costì? Chi siete? Allora Bell'-e-fatta gli raccontò tutti i su' casi e gli disse, che la su' intenzione era di custodire il ricordo del babbo e della mamma. Dice il Re: - Volete vienire a starvene nel mi' palazzo? Arrisponde lei: - Ma come farò, Maestà, a serbarmi l'onore e la reputazione accosì in mezzo a tanti pericoli? Dice il Re: - Anzi, 'gli è il mi' pensieri che vo' siete ragazza savia e di garbo, e i' non vi darò noia e nissuno 'gli ardirà toccarvi nemmanco un dito nel mi' palazzo. Ma se 'nvece vo' rimanete qui spersa nel bosco, vi potete anco incontrare in chi vi faccia del male. Insomma, doppo vari discorsi e dimolti dubbi messi 'nnanzi da un lato, e le sicurtà date dal Re, Bell'-e-fatta si decise d'andar col Re; e lui la menò con seco nel palazzo e la mettiede in una cammera a terreno, addove c'era una finestra sopra una strada e un finestrino con l'inferriata dimolto alto e che deva sur un corridoio; poi per compagnia e a guardarla il Re diede a Bell'-e-fatta una vecchia matrona, e gli ordinò che nissuno mai fussi ardito di nentrare in nella cammera della ragazza, e lui tutti i giorni andeva a quel finestrino a vederla e a parlargli. Gli dice una volta il Re: - Oh! che fai? Se t'annoi fammelo assapere. Arrisponde Bell'-e-fatta: - Bene sto, Maestà, ma nun mi spasso punto, ché a casa ero avvezza a fare il nastro. Il Re comandò che subbito gli portassino un telaio, e la ragazza si divertiva a intessere il nastro. Un giorno deccoti che passano di sotto alla finestra di Bell'-e-fatta un branco di Strolaghi e gli urlavano: - Chi si vole strolagare? Bell'-e-fatta a quel bocìo s'affaccia e vede gli Strolaghi, che gli addomandano: - Vi volete strolagare? Dice lei: - Che! nun ci credo a codeste sciocchezze. E poi i' nun ho quattrini da spendere. Arrisponde uno degli Strolaghi: - Ma pure, se vi volete strolagare, vi si dirà la fortuna che vi tocca. De' quattrini nun ce ne 'mporta; ci abbasta di regalo la sopraccoperta del vostro letto. Dice Bell'-e-fatta: - Mi parete matti! La sopraccoperta del letto me l'ha data il Re e nun è robba mia; e poi 'gli è troppo ricca di trapunti d'oro. In quel frattempo il Re 'gli era [98] vienuto al finestrino di dientro alla cammera e domandò a Bell'-e-fatta con chi lei parlava; e lei glielo disse degli Strolaghi e quel che loro volevano. Dice il Re: - Oh! che vòi! Fatti, fatti strolagare. Delle sopraccoperte ce n'ho tante, che te ne darò subbito un'altra. Dunque, a persuasione del Re, Bell'-e-fatta si fece strolagare per la sopraccoperta del su' letto, e gli Strolaghi gli dissano: - Sappiate che voi avete da essere la sposa del Re. Lei a quella nova si mettiede a ridere, e raccontò al Re il discorso degli Strolaghi; e anco lui rideva, perché gli parevan gente citrulla quegli Strolaghi a pensare che un Re potessi mai sposare la figliola d'un contadino; e sì, scoteva il capo e compativa Bell'-e-fatta per la su' mala spesa. Passorno altri quattro o cinque mesi dopo il giorno degli strolaghi. Ora bisogna sapere, che la Regina di Portogallo era vedova e 'gli aveva una figliola sola, brutta e scontrosa da nun si poter dire, e la Regina steva in pensieri di trovargli marito per dare un erede al regno; ma nissuno voleva quel mostro tutto pieno di dispetto. Che ti fa? Siccome tra' principi, quando si ragiona di maritarsi, e' s'usa mandare il ritratto, la Regina ne fece fare uno bello della su' figliola e comandò che lo portass'al Re un su' vecchio Ambasciatore dimolto fido del Re medesimo, perché, se la figliola la voleva per su' moglie, guardassi nel ritratto se gli garbava. Il Re vedde il ritratto e poi scramò: - Bella! A fargli anco un elogio, la somiglia un po' a Bell'-e-fatta. A farla corta, il matrimonio viense pattovito, e si fissò che di lì a pochi giorni il Re sarebbe andato in Portogallo a visitare la sposa e a trattare degl'interessi. Poi il Re scese giù al finestrino di Bell'-e-fatta e gli disse: - Sai, Bell'-e-fatta? c'è una novità. Sono sposo. Dice Bell'-e-fatta: - Me ne rallegro con seco e ci ho piacere anco per me, perché sortirò da stare sempre accosì rinchiusa. Dice il Re: - Sicuro; i' ti voglio fare prima cammeriera della Regina. Ma che bugiardi, eh! furno gli Strolaghi! Poera Bell'-e-fatta!

La coperta tu desti E per isposo il Re tu nun avesti.

[99] Arrisponde Bell'-e-fatta: - Ha detto bene, Maestà, furno bugiardi davvero, o meglio sciocchi!

Ma se piace a Dio, Il Re sarà un bel dì lo sposo mio.

Scrama il Re: - Anco te mi pari ammattita. Addio. Ci si rivedere tra poco; e 'ntanto pòrtati bene e doppo ti farò contenta di più. Infrattanto il vecchio Ambasciatore aveva pensato a un ripiego. Se ne va alla zitta dalla matrona guardiana di Bell'-e-fatta e gli dice: - Sentite; ci sono cento scudi tondi per regalo, se vo' mi consegnate in nelle mane mia Bell'-e-fatta; e nun abbiate paura di nulla, ché ve la riporterò qui tal e quale, insenza che nissuno gli abbia torto un capello. Scrama la matrona: - Ma che vi par egli! Caso mai il Re vieniss'a sapere un simil fatto, i' sare' morta di sicuro. Che! 'gli è una cosa propio 'mpossibile. Ma l'Ambasciatore tanto disse e tanto pregò, che la vecchia rabbonita e più tirata dall'interesso gli diede in consegna Bell'-e-fatta, ma però col patto, che lui gliela rimenass'a casa prima del ritorno del Re. L'Ambasciatore prese dunque con seco la ragazza e per mare la menò nel regno del Portogallo alla Regina su' padrona, e ci arrivorno tre giorni 'nnanzi al Re, che faceva il viaggio 'n vettura. La Regina subbito chiama a parlamento 'n segreto Bell'-e-fatta, e gli dice: - Oh! senti. Se tu mi da' retta e tu operi a mi' modo, e tutto che resti 'nfra di noi, questi sono mille scudi di regalo in mano, o questo 'gli è un contratto di quanto voglio darti 'n seguito, quando sia compito il mi' disegno. Va' intanto nell'appartamento e lì aspetta quel che t'ordino. Infrattanto era arrivo il Re e smontò al palazzo della Regina del Portogallo, e tutta la Corte scese giù a riscontrarlo. Lui, a mala pena che 'gli ebbe salutato la Regina, disse: - Addov'è la mi' sposa? Dice la Regina: - Sappia, Maestà, che 'n questo paese c'è un uso, che nun si pole 'ntralasciare. Lei potrà vederla la sposa, ma per ora nun gli è permesso di parlargli. Arrispose il Re a quella nova: - L'uso, a parlar libbero, mi pare un po' strambo; ma se c'è, bisognerà bene che mi ci sottometta. [100] Il giorno doppo dunque tutti gli erano radunati in nella sala del trono, e a un comando della Regina, decco che passa Bell'-e-fatta in mezzo a dodici damigelle di Corte, vestite alla reale. Lei fa un inchino al Re e poi va via col séguito. Dice il Re fra di sé medesimo: - Eppure, s'i' non fussi sicuro di aver lasciata Bell'-e-fatta al mi' palazzo, dire' quasi che 'gli è lei. È vero però che la figliola della Regina nun ce l'ha il neo in sulla mana. Ora bisogna sapere che la Regina gli aveva fatto mettere a Bell'-e-fatta de' guanti carnicini, che erano del colore della su' pelle, e il neo per questo nun gli si vedeva. Quand'ebbano fissato ugni cosa e che lo sposalizio si farebbe tra un mese, il Re ritornò al su' logo; ma di già v'era arriva Bell'-e-fatta, e il vecchio Ambasciatore l'aveva rimessa in nelle propie mane della matrona. Dunque il Re scese a trovarla e gli disse: - Sai? Il matrimonio è bell'e concluso, e tra un mese vo a pigliar la sposa. Tu vedessi, come la ti somiglia! Preparati a star meglio, ché tu sara' la prima cammeriera della Regina. Povera Bell'-e-fatta! Che Strolaghi? Te lo dicevo io:

La coperta tu desti, E per isposo il Re tu nun avesti.

Risponde Bell'-e-fatta: - I' ci ho piacere che sia contento, Maestà; e anco io starò meglio. Ma per gli Strolaghi poi gli dico:

Che se piace a Dio, Il Re sarà un bel dì lo sposo mio.

Scrama il Re: - Senti, Bell'-e-fatta, tu sie' proprio ammattita a parlare accosì, quando tu sai che la sposa i' l'ho già pattovita. Passò il mese e l'Ambasciatore torna dal Re a invitarlo per lo sposalizio, sicché il Re col su' treno parte per andarsene nel Portogallo: infrattanto l'Ambasciatore, con altri cento scudi di regalo e le solite promesse, doppo dimolti contrasti s'era fatto dare Bell'-e-fatta dalla matrona guardiana, e per mare l'aveva al solito menata alla Regina del Portogallo 'nnanzi che ci arrivass'il Re. La Regina dice allora a Bell'-e-fatta: [ 101] - Questo poi 'gli è il vero mumento di darmi retta e fare tutto quello che t'ordino, se te vòi quello che t'ho promesso in nel contratto che ti diedi. Arrispose Bell'-e-fatta: - I' starò a su' ordini. Lei comandi pure. La Regina la fece mettere in un bell'appartamento, e gli disse di vestirsi da sposa per il giorno doppo, e che operassi secondo quanto gli avrebbe lei insegnato; che sposato il Re all'altare, si ritirass'in cammera e a desinare non venissi, fingendo di sentirsi un po' male; ma a cena sì, ci doveva essere, e mescere al Re il vino d'una bottiglia che lei gli voleva dare lì a tavola; e poi doppo, quando fussano nentrati in cammera e il Re si spogliava mezzo assonnato dal vino bevuto, Bell'-e-fatta aveva da trandugiare a levarsi i panni con la scusa di dire le su' orazioni, e come il Re 'gli era addormentato per bene sonare un campanellino che gli mettiede tra le mane. Tutte d'accordo, insomma, aspettorno dunque la mattina della cirimonia. All'ora fissata la Corte steva 'n cappella e si fece lo sposalizio con le debite funzioni, e poi la sposa se n'andette in cammera sua. Il Re, a dir vero, sempre più rimaneva in nel vedere che la su' sposa rassomigliassi tanto a Bell'-e-fatta; ma perché sapeva d'averla lasciata a casa, e poi in sulla mana della sposa nun c'era il neo di Bell'-e-fatta, lui pensava che fuss'un caso quella rassomiglianza. Quando poi sentiede che la sposa nun scendeva a desinare fu un po' annoiato; ma si rimettiede alla sera a cena in nel trovarsela accanto. Il fatto è che la Regina diede alla sposa la bottiglia del vino e gli disse in quel mentre: - Via, figliola mia, mescete da bere al Re vostro sposo e fategli onore. Bell'-e-fatta prese la bottiglia e mescette da bere al Re; e lui doppo un po' di bere cominciò a sentir voglia di dormire. S'alza dunque e dice: - Mi par tempo d'ire a letto. Gnamo via, bella sposa. Allora gli accompagnorno gli sposi alla su' cammera e serran la bussola. Quando gli sposi furno dientro in cammera soli, abbeneché il Re avessi sonno, c'era un divano, sicché fece qualche complimento alla sposa, e ci si prese delle confidenzie; poi per mostrargli la su' contentezza gli regalò du' pomi d'oro. Dice doppo: - Via, gnamo a letto, ché casco dal sonno. [102] Dice Bell'-e-fatta: - Faccia pure, Maestà, ma mi permetta di dire prima le mi' orazioni. E il Re: - Come vi garba. Ma lui si spogliò subbito e a mala pena nel letto s'addormentò che pareva un ghiro. Bell'-e-fatta sentendolo russare tira fora il campanellino e lo sona, e da una porticina segreta comparse la Regina e dice: - Presto, vieni, Bell'-e-fatta, vieni con meco. La mena via e la riconsegna senza 'ndugio all'Ambasciatore, che dal su' canto la rimenò subbito alla città del Re e la rimettiede in nelle mane della matrona guardiana. La Regina, a male brighe partita Bell'-e-fatta, va di corsa in cammera della su' brutta figliola e gli dice: - Animo! su, che 'gli è tempo di nun aspettare. Bisogna che tu vadia a dormire col Re. Scrama la brutta: - Oh! che gli viene in capo, mamma? Gli pare! Io con gli omini nun ci sono ma' stata e nemmanco intendo d'andarci. - Via, giuccarella, - gli arrispose su' madre: - vo' tu guastare ugni cosa con codesti daddoli? Tu sie' la sposa del Re, e le spose dormono assieme al marito. A farla corta, gli ci volse del bono e del bello alla Regina per tirare la brutta 'n cammera del Re, e quando poi fu lì, a vedere il Re al letto lei nun si voleva spogliare, e urlava, e s'arrabbiava; sicché dunque su' madre era quasimente disperata; e fortuna che il Re dormiva bene appioppato! Finalmente gli rinuscì alla Regina di farla spogliare e metterla al letto; ma la brutta rannicchiata sur una prodina badava a dire: - Senta, mamma, se il Re mi tocca pur un piede comincio a strillare e la chiamo. Stia vicina, veh! Nun se ne vadia di qui. La Regina però nun gli diede retta e la lassò lì sola al buio a letto col Re. In verso la mezzanotte passata deccoti il Re si desta e si rivolta dal lato della sposa per abbracciarla; la brutta sente quel tocco e principia a tirar calci e a stridere come un gatto stretto tra l'uscio e 'l muro: - Mi lassi stare, mi lassi stare; nun voglio essere toccata. Mamma, mamma, corra qua! Scrama il Re, tra istupito e arrabbiato: - Oh! che lavoro è egli questo? Ch'avete rimutato pensieri in un mumento? Dianzi nun era così. Ma vedendo che quella nun si chetava, il Re si rivolse dall'altra parte e si riaddormentò. Doppo [103] un par d'ore si ridesta il Re e rideccotelo per abbracciar la sposa; e quella gli fa la medesima ficura, sicché il Re nun sapeva propio che si pensare, e nun volendo far del chiasso riattaccò un sonno. Alla prim'alba poi, il Re, aperti gli occhi, guarda la sposa e ti vede d'avere accanto quel brutto mostro, con un viso dispettoso e sconvolto da far paura. S'alza d'un tratto infurito: - Qui c'è un tradimento! - grida, e chiama perché vengano i su' cammerieri: quelli nentrano nella stanza e anco loro restan di sasso a quello spettacolo. Dice il Re: - Presto, attaccate i cavalli e via subbito a casa. Difatto in un mumento è pronta la carrozza, il Re ci sale dientro, e, senza dire addio a nissuno, ritorna diviato alla su' città. Quando la Regina sentette tutti que' rumori, corse alla cammera del Re e ci trovò la su' figliola sola. Gli domandò: - Che 'gli è successo? Dice la brutta: - Guà, il Re se n'è ito via. Che volete? I' v'ho chiamo tanto, perché lui mi toccava, e vo' nun m'avete risposto. Scrama la madre inviperita: - Figliola sguaiata e grulla! Bel lavoro che tu ha' fatto, doppo tante industrie per trovarti marito! E ora, per la tu' 'gnoranza, ci sarà anco da aspettarsi che il Re ci mova la guerra. Ma lassamo lì queste du' donne a battibeccarsi 'ntra di loro e veniamo al Re. A mala pena il Re fu al su' palazzo, subbito scese a far visita a Bell'-e-fatta. - Come va? - A me, bene, - gli arrispose Bell'-e-fatta. - Oh! a lei? E la sposa indov'è? Nun mi ci presenta, perch'i' possa nescire da questo rinchiuso? Dice il Re: - Che vòi? Ci vole un po' di pacienza in nelle cose. È intravenuto che la mamma pietosa nun l'ha volsuta lassare partire in nel mumento la sposa, e tornerò a pigliarla tra un mese. Ma passa un mese, ne passa dua, e la sposa il Re nun andeva a ricercarla, e Bell'-e-fatta gliene domandava sempre al Re; e lui, ora con una scusa, ora con un'altra, gli arrispondeva: - Eh! c'è tempo. Vierrà, nun dubitare. Doppo tre o quattro mesi un giorno al Re gli parse che Bell'-e-fatta avessi perduto il su' colore, sicché gli disse: - Bell'-e-fatta, che ti senti male? Che forse nun ci sta' bene qui a terreno? Se ti garba, ti metto in un quartieri più arioso, [104] su in cima al palazzo. Arrispose lei: - Che! Maestà, i' nun ho nulla, nun ho bisogno di nulla. Ma pure tutti i mesi Bell'-e-fatta mutava di viso, e la matrona raccontò che la ragazza nun mangiava più con appetito. Allora il Re gli disse a Bell'-e-fatta: - Senti, te nun sta' bene dicerto, e però ti mando il dottore oggi a visitarti; - e 'nsenza che aspettassi la risposta, dà ordine che il medico della Corte vadia a vedere Bell'-e-fatta. Entra dunque il medico e comincia a interrogare Bell'-e-fatta, com'è uso de' dottori; poi la visita, gli tasta il polso: - Eh! ragazza mia, - gli dice, - il vostro male nun è 'nsenza rimedio. Passati nove mesi vo' siete bell'e guarita. Il Re aspettava il medico di fora: - Dunque, dottore, che male ha questa ragazza? Il medico, con un risino malizioso, allora gli arrisponde: - Che vole, Maestà? Cose da donne. Ecco, glielo dico chiaro, Bell'-e-fatta è gravida. - Che! Come, come? - urlò il Re; e infurito tira lo stilletto, schizza d'un salto in cammera di Bell'-e-fatta, l'acciuffa per i capelli e poi, alzata la mana per ammazzarla, gli dice a denti serrati: - Traditora! 'Gli è questa la ricompensa di tutto quel che ho fatto per te? Sciaurata! io, che potevo averti a mi' piacimento, mi son sempre proibito di vienirti in cammera, e te ha' osservato il ricordo del babbo e della mamma a questo modo! Ora dunque è l'ora di morire per le mi' mane. A quella furia si buttò 'n ginocchioni per terra Bell'-e-fatta: - Sì, Maestà, - gli dice piagnendo: - i' ho mancato a tutto, e merito la morte. Ma questa creatura che è dientro di me nun ci ha colpa nel mi' peccato. Lassi, Maestà, che nasca e poi faccia di me quel che lei vole. Il Re a quelle suppriche s'abbonì e disse: - Sì, che nasca la creatura, e poi i' ti gastigherò io della tu' 'ngratitudine. Ordinò dunque che du' levatrici stassan sempre con Bell'-e-fatta, e chiamata la matrona guardiana gli tirò su le calze in cento modi per iscoprire qualche cosa; ma lei a dire, che nun sapeva nulla e che da Bell'-e-fatta nun c'era stato nissuno. Il Re però nun era troppo persuaso delle parole della vecchia, e la fece mettere 'n prigione per ischiarire intanto come tutto l'affare fuss'andato. Al termine de' nove mesi Bell'-e-fatta partorì un [ 105] bellissimo bambino, e il Re senza 'ndugio corse subbito in cammera di lei per fare le su' vendette, e cominciò daccapo co' rimproveri a sfogarsi che l'aveva 'ngannato e tradito. Bell'-e-fatta tutto raumiliata lo steva a sentire, e vedendolo tanto incattivito gli disse: - Maestà, lei pole fare di me quel che lei vole. Ma gli domando anco una grazia; che prima mi tienga al battesimo questo bambino, e poi m'ammazzi pure, che io son contenta di morire per le su' mane. Arrispose il Re: - Si faccia anco questo e poi tu me la pagherai. Il Re 'gli andiede via e le balie si messano attorno la creatura per vestirla ammodo, e quando fu bell'e accomidata, Bell'-e-fatta la pigliò 'n braccio e tra certe gale che aveva al collo gli ci rimpiattò, e nissuno se n'avvedde, i du' pomi d'oro che il Re gli diede, 'a regalo la notte del matrimonio in Portogallo; poi le balie portorno la creatura alla cappella. Dunque comincia la cirimonia, e il Re da compare tieneva il bambino in sulle braccia; e quando il prete fu per ugnerlo, una delle balie aperse la camicia del bambino e comparirno que' du' pomi d'oro che Bell'-e-fatta gli ci aveva messi dientro. A quella vista il Re gli parse di riconoscergli; subbito grida: - Fermi tutti; ché 'nnanzi di seguitar la cirimonia i' ho bisogno di schiarirmi d'una cosa. Lassa lì il bambino e corre in cammera di Bell'-e-fatta e gli dice: - Che è questo tradimento? Chi t'ha dato que' pomi d'oro? Arrisponde lei: - I' gli ho avuti in regalo da Sua Maestà - Come? - scrama il Re: - i' nun t'ho ma' dato di simili regali. Insomma, chiedi di qua, rispondi di là, si viense a scoprire tutta la matassa e il Re cognobbe, che su' legittima sposa era Bell'-e-fatta e suo quel bel bambino tienuto al fonte; sicché contento e allegro il Re gli disse alla sposa: - Avevi proprio ragione, Bell'-e-fatta, quando te ripetevi ugni sempre:

Se accosì piace a Dio, Il Re sarà un bel dì lo sposo mio.

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