< Sessanta novelle popolari montalesi
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XLII. La Rosina per il Mare
XLI XLIII



NOVELLA XLII


La Rosina per il Mare (Raccontata dalla Luisa vedova Ginanni)


C'era una volta un poer'omo che dalla su' moglie aveva avute du' bambine, e come 'gli è uso per le campagne queste bambine lui ugni giorno le mandava a scola per imparar la treccia e le divozioni da una ragazza un po' trapassata; attempatotta via! Ma questa ragazza, che nimo l'aveva volsuta, l'aschero per la voglia del marito se la mangiava ugni sempre, epperò, aveva il core cattivo e cercava di metter su le bambine contro la su' mamma per astio. Dice: - Bambine! Vi vole bene la mamma? - Sì, che ci vole bene, - gli arrisposano. E lei: - Ma come ve n'accorgete? Che vi dà qualcosa, de' regali? - Sì, ugni tanto la mamma ci dà i fichi-secchi del cassone, - dissan le bambine. - Poere bambine!... - scramò la maestra. - Se vo' fossi mia, i' ve gli dare' ugni dì i fichi-secchi, e po' vi pettinerei, vi compererei de' be' vestitini, una pezzolina di seta da collo e tante cose da esser contente. Domandò allora la Rosina, la più piccola delle bambine: - Oh! come si fa? Dice la maestra: - Fa' accosì. Quando la mamma va al cassone per i fichi-secchi, te serrala dientro, e doppo vederai che ti tocca tutto quel ch'i' ho detto. La bambina innocente di queste malizie, una volta che la su' mamma andette al cassone a cercare i fichi-secchi per darglieli e tieneva il capo giù 'n fondo, gli buttò addosso il coperchio, che gli sbattiede in sul nodo del collo, sicché quella poera donna rimane morta stecchita; e siccome nel listesso tempo lei era ruzzolata dientro la cassa, la Rosina lesta la [349] serrò a chiave 'nsenza pensare d'aver fatto punto del male; poi raccontò alla maestra la su' bella azione, e la maestra scramò: - Brava la mi' bambina! - e gongolava dall'allegrezza, ma nun lo deva a divedere. Deccoti che 'l babbo la sera arritorna dal su' lavoro per cenare. Aspetta aspetta, e la su' moglie nun vieniva 'n cucina per cocere la minestra. Dice lui alle su' bambine: - Addov'è la mamma? Che forse è ita fora a pigliare qualcosa per la cena? Arrispose la Rosina: - Che! La mamma stamattina è ita per cercarmi i fichi-secchi al cassone, e 'gli è casca dientro e nun è più nuscita di lì. - Oh! poer'a me! - scrama quell'omo. - 'Gli è successo qualche disgrazia. E via a vedere, e trova la su' moglie morta 'n fondo al cassone e col nodo del collo scavezzato. Figuratevi e' pianti e le disperazioni! Ma nun c'era più rimedio; i morti non rinviviscono. Infrattanto la maestra badava a dire alle bambine: - Oh! che fate insenza la mamma? E' vi ci vole un'altra mamma. Diteglielo al babbo che la pigli per aitarlo nelle faccende di casa. Ma quell'omo arrispondeva sempre alle su' bambine: - Ma che vi pare! Una matrigna! Ma che nun lo sapete che le matrigne èn' tutte cattive? Poer'a voi, le mi' figliole, s'i' avessi un'altra donna! La maestra però nun si sgomentava a ripicchiarla in sul medesimo chiodo: - Diteglielo al babbo, che lui la trascelga una donna bona per aitarlo. Ditegli che ci son anco io, che sare' contenta di farvi da mamma. Sicché quell'omo, stucco da questi discorsi, finalmente un giorno scramò: - Oh! finiamola. I' piglierò la maestra, quando questi stivali ch'i' attacco al palco cascan giù marci 'n sul solaio. Decco la mi' risposta. A que' tempi nelle case i palchi usavan tutti di legno e doppo che ventavan vecchi c'eran de' fessi in ugni parte. La maestra in nel sentire il giuro di quel vedovo, che ti fa? Dice alle bambine: - V'ha detto propio accosì 'l babbo? E vo' andate su' 'n cambera e ugni giorno pisciateci addove penzolano gli stivali; vederete che marciscan presto. Difatto di lì a capo di pochi mesi gli stivali si staccorno dal chiodo e giù per le terre tutti 'mporrati, sicché le bambine corsano a raccontarlo al babbo. Scrama su' padre allora: - Dunque se è destino, [350] i' la piglio la maestra. Ma voi, arricordatevene, se vi trovate poi a star male non è mia la colpa; siete voi che l'avete volsuto Insomma, per farla corta, lui sposò la maestra e la menò 'n casa, e 'n sulle prime le cose camminorno per bene; ma dimolto nun durò, e quel poer'omo doveva tacere e ingollarle tutte le male parole e le birbonate della su' moglie, e più steva fora a lavorare per nun aver letigi a tavola e a letto. Si sa, l'omo lo fanno scappar di casa du' malanni, la donna cattiva e 'l fumo; e accosì successe a quel disgraziato mezzo allocchito per via della maestra. E' l'ebbe le sue! Ma 'n dove più s'arrabinava quella matrigna 'gli era a far disperare la Rosina, e la perseguitava insenza rembolare, e badava a dire a su' padre: - Che te nun lo sai? 'Gli è lei che ha morto la tu' donna. Lei fu che l'ammazzò su' madre con lo sbacchiargli 'l coperchio del cassone in sul nodo del collo. E poi alla Rosina: - E te anderai diritta all'Inferno con questo delitto addosso; e se c'è del male 'n questa casa, vedi, briccona, 'gli è tutto per via di te, per il tu' delitto. Meriteresti la morte per man del boia! Insomma finì che la Rosina lei nun la volse più d'attorno, e bisognò che per amore o per forza il su' omo gliela menassi via. Dice: - Per istasera mangerà con noi la Rosina; ma doppo cena, te pigliala e lassala 'a mezzo a quel bosco lontano. Abbeneché con gran dolore il babbo, quand'ebban cenato, nusci assieme alla Rosina, che era buio fitto, e per istrada scramava ugni tanto: - Lo vedi, se 'gli è successo com'i' dissi? T'è tocca la matrigna! Siemo tutti ora in scombussolo e te starai dibandonata a ristio di morir di fame o che gli animali ti mangino viva. La Rosina a que' discorsi piagneva, ma in nel camminare scaricava per terra della sembola che s'era messa per le tasche del grembio. Doppo dimolte miglia arrivano al bosco, e lì il babbo si fermò, e siccome la Rosina si sentiva stracca, lei si buttò giù a diacere e in un momento s'addormì. Quando dunque il su' babbo la vedde bell'e addormita, prima gli diede un bacio e poi quasimente di corsa se n'andette, lassandola lì sola quella disgraziata bambina, concredendo d'averla persa per sempre, e vienuto a casa raccontò alla su' moglie quel che lui per su' comando aveva fatto. Ma la [351] bambina svegliata a giorno e con una fame da lupi, andando dritto al segnale della sembola scaricata la sera 'nnanzi, riviense alla su' casa in nel mentre che la matrigna scodellava i maccheroni e diceva: - Guà! 'gli avanza una scodella piena. Se c'era la Rosina, gli toccava di su' parte. - Deccomi qui, - scramò subbito la Rosina. - Apritemi, ch'i' mangi anch'io. - Oh! bugiardo! - bocia a quella voce la matrigna al su' marito. - Dunque nun è vero che te la Rosina l'hai dibandonata in nel bosco sotto la quercia. Ma nun vole dire. Stasera doppo cena, che tu la meni più lontano e poer'a te! se nun ubbidisci. A quel bue di marito gli conviense piegare 'l capo, e la sera assieme alla Rosina arritornò in nel bosco per lassarla lì: la Rosina al solito scaricava di niscosto della cendere 'n terra per poi ritrovar la strada a giorno, come difatto successe, sicché lei deccola che apparse a casa in nel mentre che la matrigna scodellava la minestra di cavolo, e siccome ce n'era una scodella d'avanzo, disse: - Se la Rosina fusse qui, toccava a lei. - I' vi sono, apritemi, ch'i' ho fame, - bociò la Rosina d'in su l'uscio. La matrigna in nel vederla la Rosina gliene disse al su' marito più che potiede: - Bugiardone, 'gnorante! Oh! che credi di mettermi 'n mezzo me? Che stasera doppo cena tu la rimeni dientro al bosco questa sfacciata, e' portami una su' mana per prova dell'ubbidienza, e insennonò vederai ch'i' ti pago io a mi' modo. E nun ci fo versi d'abbonirla quella matrignaccia birbona, ché lei per la rabbia gli scaraventò per insino un piatto nel grugno al su' omo, perché lui si chetassi dal lamentarsi e piagnere, e quando fu notte, quell'allocco dové di riffa pigliarsi con seco la bambina e via! a piedi al solito bosco. Ma la Rosina scambio di scaricare della sembola, oppuramente della cendere in nel camminare, scaricava del panico, e arriva sotto la quercia s'addormì dalla stracchezza tanto forte, che nemmanco sentiede quando il su' babbo con un coltellaccio gli tagliò la manina e doppo averla ben bene baciata fuggi più lesto del vento. E lassamolo pure arritornarsene a casa a battibeccarsi con la su' moglie, tutt'allegra e contenta di questa bell'azione. Ora si ragiona della Rosina. A bruzzolo la Rosina si scionnò, ma rimané in nel vedersi insenza la mana e tutta grondante di sangue, che più a [352] moversi gli verciava giù dalle vene; e poi la strada per rivienire a casa nun gli rinuscì trovarla come quell'altre volte, perché il panico l'avevan beccato gli uccelli. Dunque, disperata e mezza svienuta dal sangue perso, dalla fame e dalla sete, si buttò 'n ginocchioni a singhiozzare, e diceva: - Mi sta bene! È il gastigo del mi' delitto, per quel gran peccato della mamma ch'i' ho morta per dar retta a quella birbona di matrigna. I' me lo merito, sì, di morire qui sola e dibandonata. Sia fatta la volontà del Signore. Ma in quel mentre che la Rosina piagneva a quel mo' pentita del male fatto, abbeneché 'nsenza su' colpa, perché lei era troppo creatura innocente per cognoscerlo a quel tempo il male dal bene, deccoti gli apparì dinanzi a lei una Vecchina garbosa e linda che tieneva un pianerino infilziate in un braccio. Dice: - Che ha' tu, bambinuccia? - Oh! nonna, - lei arrispose, - i' ho un gran delitto addosso. La matrigna prima che sposass'il mi' babbo mi mettiede su perché ammazzassi la mi' poera mamma, e ora nun m'ha volsuta più 'n casa e m'ha concio accosì. I' piango per questo, e la mi' brama è di morire. Dice la Vecchina: - Nun ti sgomentare, bambinuccia! Te fa' bene a pensarci sempre al tu' peccato; è segno di bon core e di pentimento. Ma i' ti vo' aitare, perché te ti penta anco meglio e te sia perdonata un giorno o l'altro da chi pole. Intanto i' t'ho riporto la tu' mana per rimetterla al su' posto. Porgi 'l braccio. E 'n quel mentre la Vecchina tirò la mana fora dal pianerino e la rappiccicò al braccio della Rosina; poi gli diede robbe da mangiare, e i ferri e del filo perché facessi la calza. Dice: - Decco, i' vierrò qui a vederti tutt'i giorni all'undici, e del mangiare e del lavoro nun te ne mancherà. Infrattanto aspetta la tu' sorte, e pensa ugni sempre al tu' peccato. Addio. - A rivederci e grazie, - arrispose la Rosina, - e nun vi dubitate ch'i' starò all'ubbidienza. Delle settimane ne passorno, e la Rosina 'gli abitava lì nel bosco, e la Vecchina, come gli aveva imprumesso, andeva a trovarla ugni mattina all'undici e a ragionar con seco; quando un giorno a levata di sole comincia una canizza e un gran rumore per la macchia, sicché la Rosina dalla paura si niscondette dientro una fratta. 'Gli era il Re di que' posti, che si spassava a caccia assieme alla su' Corte. Successe che i cani nel [353] corrire alla cerca degli animali scoprirno la Rosina gufata tra le rame e le foglie, e si fermorno tutti a abbaiargli d'attorno; il Re co' cacciatori, concredendo ci fusse qualche liepre al covo, corsan tutti e veddano la bambina tremolante e bianca com'un panno lavato. Dice il Re: - Che ci fai te costì? Chi siei? Dice la Rosina: - I' sto qui a lavorare, e la nonna mi viene a vedere ugni giorno. Dice il Re: - Che nun gli hai il babbo e la mamma? Arrisponde la Rosina: - La mamma è morta, e il babbo ha preso un'altra donna, e lei mi voleva male e m'han mando via di casa. Scrama il Re: - Poera bambina! Sai? Te mi garbi. Che ci vienresti a star con meco? I' ho du' bambini della tu' età, e te poteresti tienergli compagnia, e la Regina ti farà da mamma anco a te. - Oh! - arrispose la Rosina: - tornate domani per la risposta. Prima i' vo' sentir la nonna se lei è contenta. Di lì a un po' che il Re se n'era ito apparse la Vecchina, e la Rosina gli arraccontò le brame di quel Re. Dice la Vecchina: - Sì, va' pure e pòrtati bene, e sempre arricordatene del tu' peccato. Dice la Rosina: - Nun vi dubitate; ma anco voi nun vi scordate di me, caso ch'i' n'avessi bisogno del vostro aiuto. - Sì si, - arrispose la Vecchina, - i' me n'arricorderò, - e subbito la sparì. Dunque il giorno dopo riviense il Re per la risposta, e la Rosina 'gli andiede con lui al Palazzo reale e fu messa a tiener compagnia a' figlioli del Re, e siccome su' padre gli faceva insegnare dimolte cose da' maestri, anco la Rosina s'istruiva e su crescendo negli anni diviense presto una bella e brava ragazza: ma 'n quel mentre che il mastio più grande gli voleva un gran bene alla Rosina, più che se gli fusse stata sorella, la Regina principiò a averci dell'aschero, perché la Rosina vieniva di bassa stirpe e l'avevan trova dibandonata in un bosco; nun gli garbava alla vecchia tutto quel bene del Principe per la Rosina. Infrattanto successe che il Re lo prese un male e se n'andiede all'altro mondo, e la Corona toccò al su' figliolo maggiore, sicché la madre gli disse: - Ora 'gli è tempo che te cerchi moglie. Va' per questi regni e trovala di par tuo, che nun abbi a restare insenza erede. Il figliolo maggiore per contentarla la su' mamma si metté in cammino con un sacchetto di quattrini, [354] cavalli e servitori e girò mezzo mondo; ma una ragazza di su' genio nun gli rinuscì scontrarla, sicché lui arritornò a casa scapolo siccom'era partito. Dice lui a su' madre: - Io delle ragazze n'ho viste più di cento; ma tanto belle e garbose quanto la Rosina i' non n'ho trove, e 'l mi fermo pensieri è di sposare la Rosina. Siem cresciuti assieme, e lei sola mi pole contentare. La Regina a questo discorso nuscì da' gangheri; ma fu tutto inutile, perché il su' figliolo volse in ugni mo' la Rosina e la sposò a dispetto di su' madre, che propio si rodeva dalla rabbia e nun sapeva darsi pace, e nunistante gli conviense fingere una gran contentezza per questo sposalizio; l'aschero però se lo niscose dientro al core per metterlo fora a su' tempo. Successe che doppo pochi mesi la Rosina s'accorgette d'esser gravida, e appunto nel listesso tempo al Re gli mossano la guerra, e bisognò che pigliassi 'l comando de' su' soldati per menargli a battagliare fora de' confini del Regno, ma lontano dimolte miglia. Il Re voleva che la su' mamma stéssi a custodire la Rosina, e quella vecchia scontrosa si diniegò assoluto, e per cavarsi dall'impiccio nuscì dal palazzo e andette a serrarsi dientro un convento. Dunque il Re lassò la sposa alla Corte, con ordine che ugni tanto tempo un postiglione gli portassi le su' nove; ma la vecchia che lo seppe, anco lei comandò che il postiglione doveva sempre passar da lei, tanto in su che 'n giù, per potere scrivere al su' figliolo e ricevere le risposte. E 'n sulle prime non ci fu nulla da dire, ma quando un bel giorno la Rosina partorì du' maschi, la vecchia diede al postiglione da cena e da bere un vino alloppiato e gli scambiò, in nel mentre che lui dormiva com'un ghiro, la lettera della bona nova, e gliene mettiede dientro la bolgetta un'altra, addove c'era scritto: "La tu' cara Rosina ha fatto du' brutti mostri, e tutti 'l popolo in scombussolo gli urlano: bruciategli, e la città e il Regno dal gran dispiacere s'èn' vestiti a bruno, e ci vole dimolta fatica a tienere ognuno all'ubbidienza che nun facciano una ribillione." Alla partenza il postiglione nun se n'addiede dello scambio, e arrivò alla presenzia del Re: - Che novità porti? - Bone, Maestà, - dice il postiglione: ma quando il Re 'gli ebbe letto lo scritto, subbito cascò per le terre svienuto dalla gran pena e ci volse del bono a farlo ritornare 'n sé. Allora lui [ 355] arrispose: - Che ne sia tienuto di conto della Rosina e dì quel che lei ha partorito. Al mi' ritorno lo so io che ho da fare. Ma la vecchia il postiglione lo fermò al solito al convento, e dopo averlo alloppiato gli prendette la lettera del Re, e in nel sentire le cose che c'eran dientro la rabbia se la mangiava viva. Diviato almanaccò un'altra lettera a modo suo, e diceva che la Rosina co' su' figlioli fusse presa e bruciata, oppuramente buttata via 'n mezzo della piazza. Quando alla Corte gli ebbano questa lettera finta, e 'n scambio dell'allegrezze ci leggerno que' comandi barbari, che loro concredevano dal Re di su' mana, cominciorno a sbatacchiare tutti gli usci del palazzo come ismemoriati, e il fratello e i servitori bociavano: - Oh! poerino. Il Re dicerto 'gli è ammattito. Corse a que' rumori anco la Rosina, e 'n sulle prime stevan cheti alle su' domande; ma poi bisognò pure che glielo manifestassen il volere del Re su' marito. Dice la Rosina: - Mi sta bene! È il mi' merito per quel peccato commesso d'aver morto la mi' mamma. Dunque al comando del Re io 'ntendo d'ubbidire, abbeneché nun sia giusto. Di me fatene pure quel che lui comanda. Doppo pensato un bel pezzo, il fratello del Re delibberò che la Rosina fusse serrata in una cassa assieme a' bambini con delle robbe da mangiare e da bere per undici mesi, e accosì la buttassin dientro il mare; poi, per inganno del popolo, fece fare tre fantocci di cera, e 'n mezzo della piazza gli fece bruciare di notte, e bandì che quelli erano la Rosina e i su' figlioli, tutti condannati a quel gastigo per ordine 'spresso del Re. Il pubblico piagneva e urlava al brutto spettacolo, ma nun furno arditi di mettersi in ribillione, perché c'era dimolti soldati a guardare la piazza; e siccome al Re gli spedirno il postiglione per fargli assapere che al su' scritto gli avevano ubbidito, la Regina vecchia al solito scambiò la lettera e gli diede a intendere, che la Rosina era fuggita via co' su' orrendi mostri e che nun si cognosceva per dove; sicché dunque il Re dalla gran passione nun volse più ritornarsene al su' Regno e rimanette 'n quella città vinta battagliando. E lassamelo pur lì e venghiamo alla Rosina, che navica serrata in nella cassa, dove vedeva un po' di sole per du' finestrine che c'erano, perché lei potessi almanco respirare. [356] In nel mare la Rosina ci stiede da undici mesi, e oramai quasimente non aveva più né da mangiare né da bere, e a ugni mumento s'aspettava di morire dalla pena e dalla fame; ma un giorno deccoti comincia a tirare forte 'l vento, e la cassa viense portata in sulla spiaggia d'un'isola, addove c'erano tre poere donne che lavavano il bucato. Loro crederno che la cassa fusse piena di quattrini e di robbe di valore, sicché acciaccinate con delle pertiche fecian di tutto per aprirla e restorno in nel vedere che dientro c'era la Rosina e le su' creature mezzo svienute. Subbito la messan fora perché rinviolissano, e in quel mentre deccoti apparisce la Vecchina del bosco, che disse: - Donnine! Pigliatela con voi questa sposa co' bambini e custoditela, e poi vederete che del bene nun ve ne mancherà. A chi fa bene pol esser sicuro che gli vien del bene. Dunque le tre donne la Rosina e i bambini gli menorno con seco nella su' casuccia rieto le mura e gli cercavan di pane per il campamento, e la Rosina lavorava per fora, e accosì guadagnava per pagare la pigione e le fatiche di quelle lavandaie. Un giorno domanda la Rosina: - Che città è questa dove no' siemo? - È una città rovinata dalla guerra, - gli dissano le tre donne, - e c'è un Re forastiero che vinse tutte le battaglie. Ma per una disgrazia che gli è successa 'n casa sua, nun c'è per anco volsuto ritornare e abita qui da dimolto tempo. A queste parole la Rosina si sentiede sobbalzare 'l core, e a forza di ricerche finalmente viense a cognoscere, che quel Re forastiero 'gli era appunto il su' propio marito; nunistante stiede zitta per nun farsi scoprire, e tanto 'gli aspettò, ché i su' bambini diviensano grandi abbastanza da poter camminare e parlare diviato e andarsene girelloni per la città da sé soli. Passò dunque dell'altro tempo, e la Rosina studiava in che mo' nuscire dalle su' pene, quando la Vecchia del bosco gli si presentò e gli disse: - Sai, Rosina? Il Re forastiero va via tra quindici giorni, e prima dà la lemosina alla gente che vadia a chiedergliela a udienza. Mandaci anco i tu' bambini. La Rosina subbito vestiede perbene le du' creature, e il giorno dell'udienza fece che loro si presentassino al Re, e a male brighe che il Re gli vedde, scramò: - Che be' bambini? Di chi sono questi du' biondi? E i bambini a scherzare, a saltargli addosso, [ 357] e da ultimo gli portorno via una moneta dalla ciotola che lui tieneva sul tavolino e fuggirno più lesti del vento; e il Re rideva dall'allegria. La domenica doppo il Re daccapo dava la lemosina, e anco i bambini della Rosina ci viensano, ma con ordine di nun pigliar nulla, sicché il Re gli disse: - Me lo dite, bambini, di chi siete, ché oggi nun volete nulla da me? Arrispose il maggiore: - Lei è il mi' babbo, lo dice la mamma. E il più piccino: - Lei è il mi' babbo, la mamma l'ha detto. Scrama il Re: - Che siete un po' matti, i mi' bambini? Chi v'ha 'nsegno a parlare accosì? E quelli daccapo: - Lei è il mi' babbo, la mamma lo dice. - Lei è il mi' babbo, la mamma l'ha detto. E doppo se n'andorno di corsa. Il Re però diede ordine che il su' fidato camberieri gli seguitassi a gambe; e difatto successe che lui gli raggiugnette 'n sulla porta di casa. I bambini si messano attraverso e urlavano: - Ci piglia la mamma! ci piglia la mamma! - sicché viense la Rosina a vedere quel che era successo. Dice il camberieri: - Il Re mi' padrone vole sapere, perché questi bambini gli han detto: "Lei è il mi' babbo." Arrispose la Rosina: - Loro gli han detto accosì, perché è vero. Domandategli da parte mia a Sua Maestà, se lui era ammattito quando scrisse ch'i' fussi bruciata assieme co' mi' figlioli! Deccogli qui i mostri orrendi ch'i' feci. A male brighe che il Re sentiede l'ambasciata della Rosina la volse vedere, e lei si buttò 'n ginocchioni e scramò: - Tutti questi mali m'èn' successi per gastigo dell'ammazzamento della mamma, abbeneché nun fussi capace di capirlo allora 'l male. Ma che nun è vero quel che m'hann'apposto de' mostri, lei, Maestà, se n'accorge da sé co' su' occhi. Insomma si scoprirno tutt'i tradimenti della Regina vecchia, e anco il postiglione s'arricordò che aveva dormito in nel convento e che dicerto lì dientro la Regina gli scambiava le lettere della Corte con quelle sue false. Doppo, il Re con gran treno e grandi allegrie fece ritorno a casa sua, e prima si fermò al convento per ragionare con su' madre: - Oh! che sie' tornato! - gli scrama un po' 'n sospetto che lui potessi cognoscere tutte le su' billère. Dice il Re: - Sicuro che son torno, e assieme alla Rosina e a' mi' bambini che ho ritrovo. Ma lei come fu [358] ardita di scrivere tante bugie? Pare propio 'mpossibile. E 'nsenza misericordia il Re 'gli ordinò che la su' mamma con tutte le monache d'accordo l'arrestassin le guardie, e ammucchiata una gran, catasta di stipa 'n sulla piazza le fece bruciare vive addirittura. Il postiglione, il camberieri e il fratello del Re gli ebban di gran regali, e al popolo fu dato un desinare togo con salvaggina e altre cose prelibate, e accosì finirno le disgrazie della Rosina.

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