< Sessanta novelle popolari montalesi
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XXI. Manfano, Tanfane e Zufilo
XX XXII



NOVELLA XXI


  • Manfane, Tanfane e Zufilo


C'era una volta tre fratelli, e si chiamavano per nome Manfane, Tanfane e Zufilo; ma Zufilo 'gli era piuttosto 'mbecille che no al paragone di quegli altri dua maggiori, che erano dimolto furbi. Tutti questi fratelli facevano, come sarebbe a dire, l'arte di rallevare capi di bestie grosse, vacche, manzi, vitelli, tori, e la mandria la tienevano in combutta, insenza divisioni, ma ugni cosa assieme. Un giorno Manfane e Tanfane, che volevano diventar padroni dispotichi di tutta la mandria insenza farne parte al fratello più piccino, gli dissano a questo con furbizia, perché lui 'gli era giucco: - S'ha a partire la mandria. Un rinserrato per uno; i capi che ci vanno dientro saranno di chi ène il rinserrato. Si trovorno d'accordo in sul patto, e ognuno si mettiede di bona voglia a fare il rinserrato. Quelli di Manfane e di Tanfane erano di belle frasche tutte verdi e fronzolute, e Zufilo trascelse 'n scambio per il suo de' pali secchi e delle frasche insenza fogliame; sicché dunque la mandria 'gli andette tutta ne' rinserrati di Manfane e di Tanfane, e nel rinserrato di Zufilo non c'entrò altro che una vacca magra, che gli si vedevano tutte le costole. Zufilo disse allora alla moglie: - Che se ne fa egli di questa vacca secca allampanita? Nun ène forse più meglio ammazzarla e venderne poi la pelle in nella città? - Sì sì! - disse la moglie. - Ammazzala la bestia, che la si venderà a caro prezzio. Zufilo dunque diede di piglio a un coltello e scannò la vacca; e poi la scorticò per bene, e il coio lo fece seccare al sole, e quando il coio fu rasciutto, lui se lo metté in sulle spalle [206] e con la moglie con seco andiede alla città vicina, e dientro in nel murato badava a sbergolare per le strade: - Una bella pelle da vendere! I' la vendo pelo pelo un soldo. Ma tutti e' credevano che Zufilo fusse matto, e nimo lo volse comprare il su' coio; sicché s'era fatto già notte, e le botteghe si serravano, e i cittadini arritornavano alle su' case, insenza che Zufilo aesse possuto dar via quel coio. Dice lui alla moglie: - Che si fa egli qui? Gnamo via. Tanto il coio non c'ène da venderlo più a quest'ora. S'ha da ire a casa. E subbito s'avviano per una porta della città. Nusciti fora dall'abitato, Zufilo e la su moglie si trovorno per uno stradone lungo lungo tutto pieno d'alberi dalle parti, e cammina cammina viense buio fitto, e loro spersero la via; sicché arrivi un pezzo 'n su addove c'era un mucchio di querce, e, nel pulito, come de' siedili e delle tavole di pietra, dice Zufilo: - Moglie, nun ène capo di seguitare a ire. Mi pare più meglio di fermarsi qui e rampicarsi qui sur una di queste querce a riposare; che 'nsennonnoe gli animali ci poterebbano anche divorare. A bruzzolo poi no' si ritroverà la via per rimettersi a casa nostra. E detto fatto, loro s'arrampicorno su per una grossa quercia, e tra' rami ci s'assettorno come gli rinuscì; e Zufilo tieneva sempre il su' coio in sulle spalle. Gli eran dunque lì Zufilo e la su' moglie appollaiati in nella quercia, quando a un tratto decco un branco d'assassini. Accesan de' lumi, e tirato fora de' sacchetti di munete si mettiedano a siedere e a giocare su quelle tavole di pietra. Zufilo e la moglie, tutt'impauriti, badavano anco a nun rifiatare, per paura d'essere scopriti e ammazzati 'nsenza misericordia. Ma doppo un bel pezzo dice Zufilo: - Moglie, i' nun ne posso più. I' ho voglia di pisciare. Moglie, i' piscio. - Noe, per amor di Dio! Se te pisci, marito, no' siem morti! - disse la donna sotto voce. - Tant'ène, i' 'un la reggo, - dice Zufilo. - I' piscio. E giù per le rame Zufilo lassa ire una pisciata, che va a cascare in sulle tavole addove gli assassini giocavano. - Oh! - scrama uno di loro; - e' pioviccica. Ma 'un sarà nulla. Via, via! seguitiamo. E seguitano a giocare. Passa un altro po' di tempo e Zufilo dice: - Moglie, la mi scappa. I' ho voglia di cacare. - Poer'a noi! - dice la [ 207] moglie. - Ora poi, se te la fai, no' siem morti davvero. Trattiella. - Che! i' 'un posso. I' la fo. E sbottonati i calzoni, Zufilo lass'andare la cacata. Un degli assassini in nel sentire cascar robba si arrivolse in su, e po' disse: - È manna. Seguitiamo a giocare; nun è nulla. E seguitorno. Passa un altro po' di tempo e Zufilo dice daccapo: - Moglie, questo coio mi pesa; mi stronca le rene. Moglie, i' lo butto via. - Ma sie' te matto? - dice la moglie. - S'ha egli dunque da morire scannati 'n tutti i modi? Ora poi nun si scampa! Ma in quel mentre Zufilo lassa ire giù per le rame della quercia quel coio tanto secco a quel mo', che fece in nel cascare un fracascio indemonito. - Il diavolo, il diavolo! - cominciorno a urlare gli assassini, e fuggi via in un battibaleno, e lassorno lì tutte le munete in sulle tavole. Sicché quando nun ci fu più nimo, Zufilo e la su' moglie scesano dalla quercia, e rammucchiato l'oro e l'argento, lo messan dientro al coio; e già il sole spuntava, e al lume del giorno loro ritrovorno la strada spersa e in un mumento deccotegli arrivi allegri e contenti a casa sua. In nel vedere Zufilo e la su' moglie vienuti dalla città con quel coio tutto pienato di quattrini luccichenti, Manfane e Tanfane si divoravano dall'astio. - O com'ha' fatto - gli dimandorno - a diventar tanto ricco? Dice Zufilo: - Guà! I' son ito da' cittadini e i' ho venduto il coio della mi' vacca a un soldo il pelo. Allora in nel sentire questo racconto Manfane e Tanfane dissan tra di loro: - Anco noi si pole far più meglio del nostro giucco. Via! ammazziamo le più belle vacche della mandria, e se ne venderà il coio a du' soldi 'l pelo. Ammazzan dunque le vacche, le scorticano e poi vanno alla città, e lì urla che ti urlo: - Du' belle coia, chi le vole? A du' soldi pelo pelo. E deccoti una gran radunata di popolo a quello sbergolìo, e lì a contrastarsi: - Oh! che siete matti? Aresti a essere come quello dell'altro giorno. Ate anco cresciuto la chiesta! Oh! che credete che i cittadini ènno mammalucchi? E poi 'mproperi a' malcapitati, e finirno col rimandargli fora delle porte a son di calci e di legnate, sicché Manfane e Tanfane tornorno a casa tutti pesti e malconci. In quel frattempo Zufilo n'aveva pensata un'altra in nella [208] su' zuccaccia mezzo citrulla. Pigliò un barile insenza un fondo e l'empiette in bon dato di sterco umano, e in vetta ci stese un piano di miele sopraffino; poi 'gli andiede alla città e principiò a urlare per le strade: - Cacca mielata bona, ohé! Chi la vole? De' minchioni per le città ce n'è stati ugni sempre, sicché uno gli disse a Zufilo: - O galantomo, che vendi tu? E lui: - Guà! cacca mielata. La volete? Insomma, quel babbaleo di cittadino comperò il barile pieno insenza nemmanco guardarlo dientro e glielo pagò a Zufilo sprofumatamente; e Zufilo gli disse con quella su' malizia da bue: - Ora i' nun posso stare a aspettare che voi lo votate il barile. I' vierrò per esso stasera, quando i' ho finito le mi' faccende in nella città. - Sie sie, d'accordo, e a rivedersi a stasera. Ma chi s'è visto s'è visto, e Zufilo ci ha da ritornar anco a ripigliarlo il barile vòto. Manfane e Tanfane persano il capo, quando veddano Zufilo che ugni sempre rivieniva dalla città carico di quattrini: astiosi come loro erano, l'invidia se gli mangiava vivi. Dunque gli andorno incontro a Zufilo e uno di loro gli domandò: - Ohé! D'addove gli ha' te cavi tanti soldi? - Guà! - gli arrispose Zufilo. - I' hoe fatto accosì e accosì. I' gli ho uti in sulla cacca mielata. Provatevi anco voi a far come me. - Sì sì, che no' si proverà dicerto. S'ha da fare anco più meglio di te. E subbito accomodano de' barili di sterco coperto per bene con del miele sopraffino, e il giorno doppo a bruzzolo via! in verso la città. - Si vende cacca mielata. Chi la vole? Ohé! Ma per su' disgrazia capitano dinanzi alla bottega di quello che avea compro la cacca mielata da Zufilo; lui gli sente e salta fora con un randello infra le mane: - Brai Mei! - scrama. - Aresti a essere della listessa genìa di quell'altro che mi mettiede 'n mezzo. Ma, per zio! ora me la pagate. E picchia ch'i' ti picchio insenza rembolare; nun gli dette nemmanco il tempo d'arrispondere. Tutta la gente corse a quel chiasso, e giù addosso a Manfane e a Tanfane, che propio gli ebban dicatti di mettersi a scappare a più nun posso, e gambe mia nun è vergogna! I barili gli scaraventorno per le terre, e loro arrivorno a casa con l'ansima e alleniti, tutti pesti con un palmo di lingua fora de' denti e più morti che vivi. [ 209] Quando poi si furno un po' rimessi, Manfane e Tanfane e' dissano fra loro: - Eppure questo giucco ci hae minchionato a quel Dio! E come lui ci hae minchionato! E per da' volte in fila. Ma gli s'ha a far pagare a questo birbone. Dice Manfane: - Ammazziamolo. Tanfane però s'apponette: - Che! 'gli ène fratello. Sarebbe un peccato troppo grosso d'ammazzare un fratello. Piuttosto sa' tu quel che ho pensato? Cuciamolo dientro un sacco e po' si porta in sulla spiaggia del mare, e lì o i pesci o l'acqua lo meneranno via, e accosì non se ne saperà più nulla. Presto sì trovorno d'accordo Manfane e Tanfane, e agguantorno allo 'mprovviso quello sciaurato di Zufilo, e lo ficcan per forza in un sacco, e ce lo cucian serrato alla rinfranta; poi di peso se lo caricorno addosso e, arrivi al mare, lo lassorno dibbandonato in sulla sciabbia. Era quasimente buio e Zufilo dientro al sacco mugolava e piagneva come quando uno si rammarica; sicché un pastore con delle pecore, che passava di lì vicino per rimenarle al chiuso e in quel mentre sonava uno zufilo, sentette a un tratto quel frignolìo e si fermò per cognoscere d'addove vieniva, e s'accorgette del sacco con quell'omo serrato. Dice: - Chi sie' te? E che ci fa' tene costì dientro? Chi siei? E Zufilo da furbo: - I' nun ho volsuto sposare la figliola del Re, e m'han barbo in questo sacco in sulla spiaggia del mare per insino a che i' nun dico di sì. Ma io la figliola del Re nun la voglio. - Che bue! - scrama il pastore. - Se me la profferiscano a me, i' la piglio subbito. - Guà! - gli arrispose Zufilo, - secondo i gusti. Fa' accosì. Apri il sacco e nentraci nel mi' posto. Domani loro tornano a sentire s'i' ho mutato pensieri, e se te sie' nel mi' posto, quella bella sorte toccherà a te, e i' nun te n'avrò astio. - D'accordo! - dice il pastore, e scuce Zufilo e neutra in scambio suo nel sacco, e Zufilo ce lo serra ben bene a cucito doppio; poi piglia lo strumento del pastore e fistiettando va via con le pecore. Quel poero pastore rimaso lì sulla spiaggia aspettava, ma invano, che arrivassano gli ambasciatori del Re. Aspetta! gli hann'anco da vienire. La notte poi si sollevò una tempesta e portò via il sacco col pastore dientro, che nun se ne seppe mai più nulla. Infrattanto Zufilo tull'allegro deccotelo a casa con le pecore, e zufolava da lontano. Manfane e Tanfane restorno [210] rimbecilliti a quello spettacolo; gli pareva sì e no che fusse Zufilo. Ma quando lui fu vicino lo ricognobban pur troppo, e gli andorno incontro per sapere come avea fatto a nuscir dal sacco, e chi gli aveva dato tutto quel branco di pecore, Zufilo gli arraccontò alla bona ugni cosa, sicché quelli, disperati di nun poter vincerla con Zufilo, s'ammazzorno fra di loro e addio! E accosì Zufilo rimanette padrone del baccellaio e campò tavìa in godimento per dimolto tempo.

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