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NOVELLA XXIV
- Contento nimo nel Mondo
(Raccontata dalla Luisa vedova Ginanni)
Che direbbe lei? Che ce ne fussano della gente contenta nel mondo? Che! ognuno ha la su' ascherezza. La stia dunque a sentire se nun è vero. C'era un Re, ma nun c'era verso che lui fusse ma' contento; lui la su' contentezza nun l'aveva: con la moglie nun stevan d'accordo e sempre si battibeccavano, che era propio una disperazione; e tavìa nun gli mancava nulla, e della grazia di Dio in casa sua ce ne stramoggiava; una dovizia, via! Che ti fa quel Re? Chiama il su' fido camberieri e gli dice: - S'ha a andare a girare per il mondo, se si potessi trovare se de' contenti ce n'è in qualche lato. Almanco per aver questa consolazione di vedere qualcuno un po' contento. Presano una cassetta sotto 'l braccio, tutta piena di gioielli, d'anellini, di buccole per gli orecchi, e poi travestiti da orefici partirno da casa, e cammina cammina loro non si fermorno che quand'e' furno dimolto lontani; e accosì camminavano tutt'i giorni di qua e di là con quel mestieri d'orefici, ma della gente contenta a modo nun ne trovavan mai. Chi steva in nimicizia con la moglie, chi co' figlioli, chi aveva a ridosso i parenti; ce n'erano che leticavano pe' tribunali, o si tipizzavano col prossimo. Insomma, chi più, chi meno, la su' croce bisognava che se la portassino in sulle stiene; dappertutto de' malcontenti. Un giorno questi du' viaggiatori sentiedan dire d'una città, in dove ci comandava un Re, che lo chiamavano il Re delle contentezze, sicché dunque delibberorno di fargli visita, perché con quel nome loro si ficuravano che quel Re fusse dimolto contento. Si mettiedano in cammino, e arrivi alla città di quel Re, si [224] presentano al su' palazzo e subbito gli fecian passare a udienza. Il Re gli ricevette i forastieri da par suo e comperò de' gioielli, e poi gli orefici gli garborno tanto, perché gli parseno gente per bene, che lui gli volse con seco a desinare. Quand'ebban finito di mangiare e che gli eran satolli, discorsano del più e del meno in quel mentre che bevevano il caffè, e il Re dalle parole e dalla su' allegrezza in nel viso almanco pareva contento. Guà! n'aveva il nome delle contentezze! Dice quello che era travestito da orefice di fora via: - Lei, Maestà, nun si pole lamentare; sta bene e nun gli manca nulla. Dunque, 'gli è per questa ragione che lo chiamano il Re delle contentezze? - Eh! sicuro, questo pare. Ma vienite con meco e vi farò vedere i mi' contenti. Vienite vienite. S'alzano da tavola e il Re innanzi a girare per tutto il palazzo, pieno d'oro, di pietre preziose, una ricchezza che cavava gli occhi soltanto a guardarla; poi arrivorno a un salone, giù fondo - anco qui c'è fondo, ma lì al paragone fondo, che la fine quasimente nun si vedeva. Dice il Re: - Decco là quelle tre belle donne che lavorano: una è la Regina, la mi' sposa, e quell'altre dua sono le su' camberiere che gli tiengan compagnia; nun ce n'è altre di simili in tutto il mondo. Avere' io a esser contento con quel tocco di sposa? Una bellezza di sposa, via! Trovatene un'altra, se vi rinusce, d'una bellezza splendente a quel mo'. Tutti assieme si avvicinorno allora; ma più che il Re s'accostava e la su' sposa principiava a allargar le braccia e a tremolare in tutta la persona, e quando lui gli era dinanzi a petto, la Regina si trasmutava in una statua. Dice il Re: - Decco le mi' contentezze! Una bellissima sposa, che nun la posso toccare, perché lei subbito diventa una statua. I' sono un omo sperso e 'l mi' Regno nun avrà eredi. Que' du' viaggiatori rimaseno isbalorditi a quello spettacolo, e quando si furno licenziati dalla Corte, disse il servitore al su' padrone: - Maestà, torniamo a casa e state con la vostra moglie; perché si vede che in nel mondo de' contenti nun ce n'è, e della miseria se ne trova più in casa degli altri che in casa di voi. Detto fatto ritornorno addietro, e il Re s'avvezzò a nun si lamentar più della scontentezza o s'accomidò a quello che Dio gli mandava.