< Sessanta novelle popolari montalesi
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XXXVIII XL



NOVELLA XXXIX


Uliva (Raccontata dalla Luisa vedova Ginanni)


'Gli accadette una volta che un ricco Ebreo, rimaso vedovo con una bambina di latte, bisognò che questa bambina su' figliola la desse a rilevare in una casa di contadini cristiani; ma però il contadino in sulle prime nun voleva pigliarlo l'incarico. Dice: - I' ho degli altri figlioli mia e i' nun posso aducarla la vostra bambina in nella vostra credenza; anco in soltanto a praticarsi tra di loro, 'gli è impossibile che lei nun s'avvezzi a' nostr'usi. Arrispose l'Ebreo: - No; me l'avete a tienere la mi' creatura, e nun vi dubitate, ch'i' saprò ricompensarvi delle vostre fatiche. Tienetela accosì insin che lei nun ha dieci anni finiti: ma se doppo quel tempo vo' nun mi vedete vienine a ricercarla, allora fate pure come vi garberà; vole dire ch'i' nun torno più e la bambina resta con voi. Si trovorno dunque d'accordo l'Ebreo e il contadino, e l'Ebreo se n'andiede per i su' 'nteressi 'n paesi dimolto lontani. La bambina ebrea l'allattava la donna del contadino, e siccome 'gli era bonina e garbosa, gli mettiede lei un grand'amore, un amore di mamma come a quegli altri su' figlioli veri, sicché la bambina presto 'gli andette ritta, ruzzava 'n famiglia e faceva le faccendole adatte via via alla su' età: ma nimo gl'imparò mai le regole del Cristiano, e salvo la veduta delle divozioni e la sentita delle preghiere, lei nun ne sapeva nulla della nostra Santa Fede, e accosì 'gnorante crescette per insin a' dieci anni. Ma arrivo il tempo fissato da su' padre l'Ebreo, i contadini con l'animo in iscombussolo gli aspettavano ugni mumento di [325] vederselo apparir lì a ridomandargli la figliola. Nunistante degli anni ne passorno tavìa undici, ne passorno dodici, ne passorno tredici e quattordici, e l'Ebreo nun comparse; lo credettano morto addirittura. Dice la donna: - Mi pare che si sia traccheggio abbastanza e l'Ebreo non s'è visto. In scambio di dieci degli anni n'èn' fuggiti quattordici; dunque, nun s'ha più a trandugiare al battesimo di questa bambina. Difatto, la feciano dapprima 'struire per bene alla chiesa e doppo la battezzorno con gran trionfo e baldorie, e la gente c'era fitta com'il lino allo spettacolo della cirimonia, e alla bambina gli messan nome Uliva. E siccome que' contadini la riguardavan per su' figliola legittima, pensorno di mandarla a scola, che imparasse i lavori da donna e anco a leggere e scrivere; e l'Uliva in poco tempo si sfranchì, e quando la fu a diciott'anni, lei era propio una ragazza ammodo, aducata, bona e bella, sicché ognuno ne rimaneva incantato a scontrarla per istrada e parlarci d'ugni cosa. Oramai tutti gli stevan contenti e insenza sospetto da que' contadini, quando una mattina senton di repente picchiare all'uscio di casa, e a male brighe che ebbano aperto, deccoti ricognoscono l'Ebreo babbo della ragazza Uliva. Dice lui: - I' son vienuto a ripigliare la mi' figliola. Scrama la mamma: - Che! Vo' dicesti, che se nun tornavi dientro dieci anni no' se ne facessi quel che ci garbava, e che la bambina 'gli era nostra. E' son ora più di diciott'anni che nun vi s'è visto, e nun potete avere codeste prutenzioni. L'Uliva si battezzò e lei è cristiana. - Oh! di questo a me nun me ne 'mporta, - arrispose l'Ebreo! - S'i' nun son vienuto prima, è segno ch'i' nun potiedi; ma la figliola è mia e la rivoglio. - Che! nun vi si dà di sicuro, - gridorno a una voce i contadini. Insomma ci nascette un letigio, che finalmente l'Ebreo ricorse al Tribunale per avere le su' ragioni, e 'l Tribunale sentenziò, che la figliola nun gli si poteva innegare, e quella poera gente fu obbligata a ubbidire per forza alla legge. Figuratevi e' pianti e le disperazioni! Anco l'Uliva piagneva a calde lagrime, perché per lei su' padre era una persona 'gnota, e nun c'andeva volentieri con lui: ma gli conviense piegare 'l capo e dire addio a que' boni contadini, che per tant'anni gli avevan fatto da mamma e da babbo. In sul mumento della partenza però la donna mettiede in nelle mane [326] dell'Uliva il Libro dell'Uffizio della Madonna, e gli arraccomandò di star forte in nella Fede, e che almanco di niscosto lei nun si scordassi delle su' preghiere da cristiana; e accosì si separorno per sempre quelle du' anime, doppo tanto tempo che erano state assieme d'amore e d'accordo. L'Ebreo quando fu a casa soa, per prima cosa chiamò alla su' presenzia l'Uliva e gli disse: - Qui siemo ebrei e anco te; dunque l'obbligo tuo è quello di credere in quel che si crede noi. Bada bene alle mi' parole e fa' l'ubbidienza. S'i' ti veggo leggere in nel libro che t'ha dato la balia, il libro te lo butto in sul foco, e te ti bastono; e se poi in nella disubbidienza te ci ricaschi, i' ti mozzo le mane e ti mando fora di casa. Abbi giudizio, perch'i' nun fo per celia. Con queste paure sempre 'n mente la poer'Oliva dové 'nfingersi ebrea in nel pubblico; bensì lei diceva l'Uffizio della Madonna e le Letanie serrata 'n cambera sua e in quel mentre la camberiera 'gli abbadava che il su' babbo nun appariss'all'improvviso. Ma fu tutto inutile, perché l'Ebreo un giorno e' la trovò l'Uliva in sull'inginocchiatoio con quel libro aperto dinanzi, e subbito con rabbia glielo prendette e scaraventò dientro al foco, e doppo a lei 'gli randolò un carico di legnate insenza misericordia. Nunistante per questo cattivo trattamento di su' padre l'Uliva nun si sbigottì, e dalla camberiera fida se ne fece comperare un altro de' libri compagno a quello di prima e seguitava a leggerlo per su' conforto. Ma l'Ebreo pur troppo steva in sospetto contro la su' figliola, e daccapo la scoperse nell'appartamento con il libro, sicché a quella vista inviperito, nun istiede a dire, che c'è? Il libro al solito glielo scaraventò 'n mezzo al foco, e menata per forza l'Uliva in dove c'era un pancone, lì con una coltellaccia gli mozzò netto tutt'addua le mane, e doppo a spintoni la mettiede fora di casa sino a un bosco lontano, e lì ce la lassò dibandonata con la su' maladizione. La sciaurata dell'Uliva era mezza morta per gli strapazzi e il sangue perso, e di più pativa per la fame e per la sete, e per via delle mane tagliate nun poteva aitarsi in nissun modo, epperò si raccomandava l'anima a Dio concredendo di finirla per sempre da un mumento all'altro; quando in nell'alzar gli occhi gli parse di vedere tra gli alberi un gran fabbricato, e [ 327] andette in quel verso con la speranza di chiedere un po' di carità. Era il palazzo d'un Re, ma tutto all'intorno serrato da un gran muraglione alto e insenza porte, e dientro con un bel giardino e un frutteto, e dalla cresta del muraglione nusciva fora un pero burè carico di pera mature. Scrama l'Oliva: - Oh! se almanco mi toccasse una di queste pera! Ma come si fa a arrivarle? In quel mentre che lei diceva accosì e sospirava dalla brama di que' frutti, deccoti a un tratto si spalanca il muraglione e il pero abbassa giù le rame, sicché l'Oliva con la su' bocca potiede insenza coglierle mangiare dimolte pera, e quando fu satolla riviense nel bosco e il muraglione arritornò al su' posto. Scoperto dunque il miracolo, l'Uliva tutti i giorni all'undici desinava con quelle pera, e la notte dormiva alla meglio nel folto della macchia. Ma il Re una mattina volse anco lui assaggiare di quella rarità di frutta, e comandò al su' servitore d'andare a pigliarne qualcuna. Il servitore ubbidiente scese giù nel giardino, e visto lo sperpero delle pera rimanette istupidito e corse dal Re a raccontargli il fatto. Dice il Re: - C'è qualche animale che salta di notte il muraglione e nentra a rubbarmi le pera. Lo pagherò io. Con l'assinto d'acchiapparlo l'animale malestroso il Re e il su' servitore perdettan dimolte nottate in guardia del pero, eppure le frutta mancavan tavìa o gli eran morsecchiate qua e là giro giro, e nun scopersano il malfattore. Lo credo! All'undici nun gli viense 'n capo di badarlo il pero, che allora ci andeva l'Uliva. Sicché il Re finalmente fece in quelle vicinanze un capanno di frasche e ci si niscondette per bene con uno stioppo carico, con l'idea di tirare sul ladro, qualunque gli fusse capitato dinanzi. E steva già lui da un pezzo lì, quando al sono dell'undici vede il muraglione che si spalanca e il pero che abbassa giù le rame, e nentrare l'Uliva che con la su' bocca principiò a mordere ora una pera, ora un'altra. A quella vista il Re un po' voleva lassar ire la stioppettata, un po' lo trattiense la maraviglia, e più che l'Uliva gli parse una gran bellezza: pensò anco d'urlare per impaurirla e poi saltargli addosso e chiapparla, ma in quel mentre che lui s'arrizzava con questo pensieri, l'Oliva riprendette il valico e il muraglione si riserrò di rieto a lei. A male brighe in nel palazzo il Re chiama il su' servitore, [328] e assieme sortirno per battere 'l bosco e cercare dappertutto la ragazza ladra, e doppo girato di qua e di là gli ebban la sorte di scoprirla a diacere nel folto della macchia in dove lei dormiva. Dice il Re: - Che ci fai te qui? Chi siei te? Che ardimento fa quello di rubbare le mi' pera? Nun lo sai? Poco c'è manco ch'i' nun t'ho ripiego lì con una stioppettata. L'Uliva a tutte quelle domande arrispose tutt'umile e si rifece da principio a raccontare le su' disgrazie al Re, e da ultimo cavò di sott'al grembio i moncherini tavìa sanguinenti e gliegli fece vedere. Scrama il Re: - Poera ragazza! Che birbone chi t'ha concio a codesto mo'! Delle pera nun me ne 'mporta, ma mi 'mporta che te nun resti più qui dibandonata. Vieni dientro al mi' palazzo; c'è la Regina mi' mamma, che dicerto ti farà la carità di tienerti con seco e aitarti a campare. Accosì l'Uliva andette assieme al Re, che la mettiede in una cammera e po' la presentò alla su' mamma, insenza però dirgli delle pera e del muraglione che s'apriva per incanto, ma soltanto che lui aveva trovo questa ragazza con le mane mozze, e solingola in mezzo al bosco. Le donne, guà! massime le vecchie, ènno tutte un po' streghe, e tra di loro 'gli è dimolto facile che s'astino. Se ne arriscontrano poche che tra di loro si vogliano propio bene; son più rare de' cani gialli! La Regina al su' figliolo nun s'ardì innegargli di custodire l'Uliva, ma nun la vedde punto volentieri; la guardava con occhi malucani, e del mangiare gliene dava a spizzico, a mala pena perché lei nun morissi. Se n'era pur troppo accorta la Regina che al Re l'Uliva gli garbava per le su' bellezze e le su' maniere, abbeneché monca, e per ostacolargli qualche passo azzardoso intese che lui cercassi moglie. Dice: - Te con gli anni cominci a andare 'n là, caro il mi' figliolo, e 'gli è tempo che te pensi a accasarti con una Principessa par tuo per nun rimanere insenza eredi al Regno. Dunque piglia quattrini, piglia servitori, piglia cavalli e mettiti 'n giro e trovati moglie, che nun sarà davvero difficile. Donne per te ce n'è dovizia in ne' regni del mondo. Per nun dirgli di no assoluto a su' madre, il Re volse ubbidire al su' consiglio e stiede fora se 'mesi a visitare le Corti di dimolti loghi; ma siccome la brama d'una moglie cerca a quel mo' lui nun se la sentiva, di quante Principesse gli furno presentate, a lui nun gliene garbò nissuna, e riviense al su' pala zzo [329] insenza nulla concludere. La Regina 'gli era forte sdegnata, e lo rimbrontolò a bono; ma lui finalmente gli disse un giorno: - Senta, mamma, gli è tutto inutile che lei gridi e s'arrabbi. Principesse, n'avessi volsute! per il mondo nun ne manca. A me però nun mi garbano, e belle o manierate come l'Uliva io delle ragazze nun n'ho ma' riscontre; sicché il mi' fermo pensieri è quello di sposare l'Uliva. Scrama la Regina: - Come! una boscaiola mozzicata, che nun si sa nemmanco chi è! Te dunque voi disonorarti addirittura? Ma per ragioni bone e cattive che la Regina portassi nun gli rinuscì di rimoverlo il su' figliolo da quell'idea, e lui insenza più trandugiare fece le nozze con l'Uliva. La Regina vecchia dalla stizza e dall'aschero quasimente 'gli ebbe a stiantare in nel vedersi alle costole una nora di stirpe 'gnota; ma pure 'gli bisognò striderci per nun si mettere in contrasto manifesto con il Re; ma de' dispetti e degli sgarbi all'Uliva nun gliene rispiarmò punti, e l'Uliva prudente steva sempre zitta, anco quando la socera gli diceva qualcosa propio da arrivarla. Dunque, se 'n nel palazzo nun c'era l'accordo, almanco per nun parere tutti facevano a compatirsi. Infrattanto l'Uliva diviense pregna, e il Re 'gli aspettava con allegria che lei parturissi, quando a un tratto certi Re al confino gli mossano guerra e lui fu ubbligato a marciare co' soldati per battagliarsi a difesa del Regno: prima però d'andarsene, l'Uliva lui voleva lassarla con gran raccomandazioni in custodia della Regina; ma la Regina disse: - Io questo sopraccapo nun me lo piglio davvero. Domani i' vo via anco io dal palazzo e mi serro in un convento, e te provvedi a' fatti tua come ti garba meglio. Sicché il Re nun ci si confondette più con su' madre scontrosa, e soltanto s'arracomandò all'Uliva di scrivergli ugni giorno per il corrieri, perché lui ugni giorno gradiva di sapere le su' nove; e resti accosì d'accordo, il Re andiede all'accampamento, la Regina in nel convento che s'era trascelto, e l'Uliva rimanette in nella Corte con tutta le servitù. In nel modo fissato il currieri ugni giorno con una lettera dell'Uliva era dal Re; ma intanto la vecchia Regina tieneva delle spie, perché gli riportassino tutte l'azioni dell'Uliva, e quando seppe che l'Uliva con gran trionfo aveva parturito du' be' [330] bambini, con la scusa d'aitarla corse al palazzo, e attaccato un letigio con la su' nora, la sforzò malata a quel modo di sortire da letto, gli mettiede le creature una di qua e una di là in sulle braccia, e poi la fece riaccompagnare in nel bosco addove il Re l'aveva trova la prima volta, pena la testa a que' su' fidi che la servirno in questa barbarità e che si fussano arditi di parlarne. Doppo scrisse al su' figliolo, che la su' moglie in nel partorire 'gli era morta assieme alle creature, e perché la bugia fosse creduta, ebb'anco la Regina la bella furbizia d'ordinare tre fantocci di cera, di fargli fare il funerale 'n chiesa e di mandargli a seppellire nella Cappella reale; i su' pianti poi per inganno del popolo nun finirno mai, abbeneché finti. Il Re, figuratevi che pena! Nun si sapeva dar pace a quella disgrazia. In ugni mo', che questo era un tradimento di su' madre nun gli viense ponto in capo; ma da quel vero mumento lui steva sempre a sospirare e lamentarsi della cattiva sorte che 'gli era tocca nell'esser fora alla guerra. Per ritornare all'Uliva lassata co' su' bambini in sulle braccia monche 'n mezzo al bosco, lei camminò per un pezzo insenza trovar nulla per isfamarsi e levarsi la sete che la divorava: s'arreggeva 'n piedi a fatica e pareva a ugni passo che dovessi lì cascar morta istecchita; ma finalmente arrivò a una bozza d'acqua e una Vecchina lì chinata ci lavava de' panni. Dice l'Uliva: - Bona donna, mi faresti la carità di strizzarmi un di codesti panni molli giù per gola, ch'i' mi sento morire dalla sete. Arrisponde la Vecchina: - Noe, accosì nun lo vo' fare. Piuttosto bevi com'i' t'insegno. Buttati 'n ginocchioni e tira su l'acqua con la tu' bocca. Dice l'Uliva: - Oh! che nun lo vedete ch'i' nun ho le mane e tiengo 'n braccio le mi' creature? Ma la Vecchina ostinata: - Nun vol dire: provati e meglio per te. Nun ci fu versi, l'Uliva se volse bere dovette mettersi 'n ginocchioni, e 'n quel mentre che lei si piegava 'n sulla bozza, deccoti! uno doppo l'altro gli sdrucolano i bambini dalle braccia e gli spariscono sotto l'acqua. - Oh! i mi' bambini, i mi' bambini! Soccorretemi, i mi' bambini gli affogano! Oh! poer'a me! - sbergola l'Uliva. Dice la Vecchina: - Che! nun aver paura, che nun affogano. Ripescagli. - Ma com'i' poss'io? - scrama disperata l'Uliva. - Nun [ 331] lo vedete che le mane i' nun l'ho? Soccorretemi voi, per carità! Dice la Vecchina: - E tu gli ha' a ripescar da te. Tuffa giù i moncherini e cercagli. L'Uliva dunque mezzo smemorita attuffò i su' moncherini dientro l'acqua, e, stupore! prima gli arritornorno le su' mane intere e poi con quelle riacciuffò i bambini, che viensan su' vispoli e sani come lasche. Dice la Vecchina: - Ora vattene pure, le mane per aitarti da te nun ti mancano più. Addio. L'Uliva nun trovava parole capaci per ringraziare quella Vecchina del su' bene, ma pure gli disse quel che lei seppe meglio e doppo seguitò per il bosco a ire 'nnanzi a caso; e, cammina cammina, quand'era quasi buio arrivò a una palazzina, che pareva nova, bellina, pulita, insenza lusso, ma nun ci si vedeva nissuno che l'abitassi e l'uscio steva spalancato. L'Uliva, vogliolosa di riposarsi al coperto co' bambini e con l'idea di chiedere un po' di pane per isdigiunarsi, rientrò in quella palazzina e 'n sul focolare ci vedde un pentolino di pappa per le su' creature e altre robbe più di sostanza per lei; mangiò dunque e doppo se n'andiede a letto, e insomma prendette possesso dell'abitazione che nun aveva padroni, e lì sola ci steva lavorando e a custodire i figlioli, che crescevano, si pole dire, a vista d'occhio. Sicché lassamela pure in quel logo con la pace sua e torniamo a quel Re su' marito. Il poero Re rivienuto dalla guerra a casa trovò tutti che piagnevano, e più su' madre finta. Lei gli disse: - Che vo' tu, ci vole pacienza! Questi èn' casi che si danno pur troppo. 'Gli è dimolto raro che le donne, quando partoriscono accosì per coppia, nun moiano loro e le creature; e anco l'Uliva dovette sbasire da' patimenti assieme a figlioli. E il Re a questi discorsi sospirava e si strapazzava, e nun sapendo come divagarsi, un giorno prendette lo stioppo per andare a caccia. Quando però su' madre lo vedde a quel mo' ammannito per sortire, lei nun voleva che nuscisse, perché aveva paura che lui nel bosco inciampassi nell'Uliva co' su' bambini morti di stenti o di fame: ma il Re alle ragioni di su' madre nun gli diede retta, e diviato scendé le scale e doppo poco 'gli era nel più fitto della macchia. Girò il Re per un pezzo che già nun ci si vedeva più, e di repente principia una tremenda burrasca d'acqua, di toni e di [332] saette, sicché 'l Re si credette 'n fine della su' vita. Scrama: - Meglio accosì! l'avrò finito di penare, perché insenza la mi' Uliva che ci fo io 'n questo mondo? Ma pure, abbeneché sia facile la proposta d'ammazzarsi, poi a pensarci su si brama d'aspettare dell'altro il brutto mumento; e anco 'l Re, che era molle come un pucino bagnato, in nel trovarsi disperso per quel bosco con la paura che gli animali salvatichi lo divorasseno, gli viense di natura l'arrampicarsi su d'un albero alto e di rimanere lassù 'n vetta appollaiato insino alla levata del sole. A male brighe accomido, in nel voltar gli occhi per ugni verso a un tratto gli parse al Re di scorgere lontan lontano un lumicino. Guarda più attento e vede che nun isbaglia punto, sicché scambio di passar la notte in disagio tra le rame, pensò meglio d'andarsene là a domandare un po' di ricovero al coperto, e sceso che fu, a forza d'inciamponi finalmente giugnette propio alla palazzina in dove abitava l'Uliva. Picchia 'l Re all'uscio e dice: - Apritemi, ch'i' sono un galantomo. I' ero a caccia e la burrasca m'ha chiappo allo 'mprovviso e non so con questo buio in che logo mi trovo. Datemi un po' di ricovero, bona gente di casa. Al picchio e a queste voci l'Uliva aprì e subbito ricognobbe il Re su' marito; ma siccome lui nun fece mostra di ricognoscer lei, accosì l'Uliva stiede zitta, e soltanto con gran premuria lo menò in cammera, poi gli accendé un bel foco, lo rasciuttò per bene dal molle della pioggia, e da ultimo gli ammannì da cena, e a tutte queste faccende gli devano aiuto i su' ragazzi. Il Re in nel frattempo badava a guardarla l'Uliva; un po' gli pareva che nun gli fosse nova la su' fisonomia, un po' s'imbrogliava nel giudicarla per la su' moglie perché gli vedeva le mane intere; i ragazzi gli erano in quel mentre d'attorno al Re e gli saltavano addosso e l'accarezzavano; e lui piagneva e rideva a tutte quelle feste, e diceva sospirando: - Anco io potevo avergli de' bambini accosì per consolarmi! Ma mi son morti con la mamma e tutto, e mi lassorno solo e disgraziato. Di lì a un po' l'Uliva, che principiava a intenerirsi, nescì dal salotto per mettere 'l foco nel letto del Re e i ragazzi la seguirno con la scusa di dargli mana. Allora l'Uliva gli disse: - Quando no' si ritorna di là, domandate ch'i' vi racconti una novella; anco s'i' ve lo niego col volervi appiccicare uno sti affo, [333] perché smettiate di seccarmi, vo' avete a pregarmi sempre della novella. Badate d'ubbidirmi per filo e per segno. Arrisposano i ragazzi: - Sì sì, mamma, vi si contenterà. E 'nfatti i ragazzi rivienuti in nel salotto con l'Uliva cominciorno a bociare: - Mamma, arraccontateci una delle vostre novelle maravigliose. - Ma che vi pare! - dice l'Uliva. - Ora è troppo tardi, e questo signore si seccherebbe, stracco com'è a stare a sentire delle giuccate da ragazzi. - Ma sì, mamma, fatecelo questo piacere - dissano secondo l'accordo i ragazzi. E l'Uliva: - Se vo' nun vi chetate, i' vi do un par di stiaffi. Ma allora il Re nentrò di mezzo e disse: - Ma contentategli pure questi be' vostri figlioli. I' nun n'ho voglia di dormire; mi garba la vostra presenzia, perché mi ricorda la mi' povera moglie, e a sentire una bella novella ci ho gusto anco io. Raccontatela pure, ch'i' l'ascolterò dimolto volentieri. Pregata dunque a quel mo', l'Uliva si mettiede a siedere e diede principio alla su' novella, e questa era il racconto della su' vita passata; il Re via via che lei diceva, ugni tanto scramava: - Tirate 'nnanzi. E poi? E abbeneché capissi che si trattava dell'Oliva, steva sempre in ne' dubbi per via delle mane; finalmente domandò: - Ma delle mane che ne fu egli? - Le mane a quella sposa della novella, - arrispose l'Uliva, - gli arritornorno per virtù della Vecchina che lavava i panni alla bozza nel bosco, e la sposa con le su' mane rinsanichite deccola dinanzi a' vostr'occhi, Maestà. - Dunque vo' siete l'Uliva e questi i bambini mi' figlioli? - disse 'l Re, e s'abbracciorno e baciorno tutti con grand'allegrezza, contenti d'essersi ritrovati doppo tanto ma' tempo. Dice il Re: - Ma ora bisogna ritornare al mi' palazzo, e la Regina mi' madre la pagherò io secondo il merito delle su' birbonate. - Oh! questo poi no, Maestà! - disse l'Uliva. - Se lei mi vole propio bene, mi deve imprumettere sulla su' parola, che alla su' mamma nun gli darà nissun gastigo, e neppure noia. Lei, poera vecchia, ha le su' idee; forse credé di far bene per lo 'nteresso di Sua Maestà. Dunque la lassi campare, ch'io per me nun gli vo' male alla Regina e gli perdono di tutto core. Intesi a questo mo', la mattina il Re con la su' famiglia arritornò al palazzo, ma della su' scoperta nun gli disse nulla alla Regina. Lei gli andiede [334] ' ncontro quando lo rivedde, e scramò: - I' credevo che te fussi morto. Addove sie' stato tuttala notte con quella burrasca? Arrisponde lui: - I' ero a star bene, mamma. - Come? - domandò la Regina 'nsospettita. Dice il Re: - I' ho trovo albergo 'n casa di bona gente, che m'ha tienuto allegro e consolato. Fu la prima volta ch'i' ero contento doppo morta l'Uliva. Ma l'Uliva, nun è egli vero, mamma, che morì? - Che domande ènno le tue? - disse la Regina. - Il popolo tutto pur troppo fu anco presente al funerale e alla sepoltura dell'Uliva e de' su bambini. Dice il Re: - Ma questa sepoltura addov'è? Insegnatemela, ch'i' ci metta de' fiori sopra e m'inginocchi lì per amore alla mi' sposa. Scrama la Regina incattivita: - Te mi pari un lercio e uno schifo a vienir fora con questi sospetti, che tu ha' l'aria di nun ci credere alle mi' parole. Allora il Re un po' riscaldato arrispose: - 'Gnamo, nun v'arrabbiate, mamma, e finimola con questi fingimenti. Badate qui s'i' ho ragione di sospettare! E 'n quel mentre nentrano l'Uliva co' ragazzi. La Regina rimanette di sasso, e all'ardire di prima corse dietro la paura del gastigo; ma l'Uliva fu lesta a dire: - Lei nun abbia temenza. Del male nun s'ha idea di farglielo. Oramai quel che è stato, è stato, e i' nun me n'arricordo più. Tutti pace e d'accordo per il seguito. Accosì s'abbracciorno e si perdonorno tra di loro l'offese, e stieduno assieme insenza letigi per il resto della vita.

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